L’addio del capitano

L’ultima giornata di campionato, caratterizzata dall’addio di alcuni giocatori simbolo di Juventus e Milan, ci riconcilia con uno sport che è ancora in grado di appassionare
del piero

Il calcio è bello, anche se a volte fanno davvero di tutto per farcelo dimenticare. Il calcio è gioia, è passione, anche se a volte sembrano prevalere solo sterili polemiche e forti interessi economici. Il calcio è duro a morire, anche se a volte, soprattutto in Italia, provano spesso a infliggergli il colpo di grazia definitivo. Ricordate? Avevamo iniziato la stagione di serie A con un incomprensibile sciopero dei calciatori. Poi, immancabili e “fastidiose” come le bollette da pagare, sono arrivate puntuali le solite interminabili e stucchevoli lamentele che, a turno, hanno visto protagoniste anche quest’anno un po’ tutte le squadre di casa nostra, da quelle più “blasonate” alle cosiddette “provinciali”. Motivo? Sempre il solito: un gol visto o non visto, un rigore dato o non dato, un fuorigioco esistente o meno. Infine, abbiamo assistito agli ennesimi episodi di violenza negli stadi, culminati nei fatti senza precedenti accaduti durante Genoa-Siena di qualche settimana fa, e, come se tutto questo non bastasse, ci siamo dovuti sorbire persino l’ultimo capitolo del calcio-scommesse.
 
Eppure sì, nonostante tutto anche da noi il calcio è bello, forse è ancora, addirittura, il “gioco più bello del mondo”. È bello quando riusciamo a mettere da parte la nostra “giacchetta” di tifosi e accettiamo con serenità il verdetto del campo, sia che si vinca sia che si perda. È bello quando ci fa abbracciare con un amico per un gol della nostra squadra del cuore. Ed è bello anche quando alcuni protagonisti del mondo del pallone, quelli che a volte troppo frettolosamente sono definiti “mercenari” solo perché pagati profumatamente dalle società di appartenenza, riescono a esprimere pubblicamente le proprie emozioni. Perché, a ben guardare, la maggior parte di loro è spinta dalla stessa genuina passione per questo sport di tanti semplici appassionati che non avranno mai la fortuna di esultare per un gol realizzato in serie A, ma magari lo faranno per quello messo a segno in una sfida a calcetto con gli amici disputata su un campetto di periferia.

L'addio di Alessandro Del Piero
Domenica pomeriggio, Torino, Juventus Stadium. Minuto 57 di Juventus-Atalanta, ultima passerella stagionale davanti ai propri sostenitori per la formazione vincitrice del campionato 2011-2012. Antonio Conte, il tecnico juventino, chiama il cambio: entra Simone Pepe, esce Alessandro Del Piero. La partita si ferma per due minuti che sembrano un’eternità. Il giocatore bianconero si sfila la fascia di capitano, alza le braccia al cielo e saluta il suo pubblico con un inchino, come fa solitamente un attore teatrale al termine di uno spettacolo. Poi lascia il campo andando a ricevere l’abbraccio dei compagni di squadra, la stretta di mano degli avversari e del direttore di gara. I quarantamila tifosi della “vecchia signora” presenti allo stadio intonano il coro che da anni rivolgono al loro idolo: «Un capitano, c’è solo un capitano». Alessandro li ringrazia ancora, trattenendo a stento la commozione derivante dall’aver indossato, per l’ultima volta in campionato, quella maglia (portata 704 volte in partite ufficiali!) che da diciannove anni è diventata, sportivamente parlando, la sua seconda pelle.
 
Del Piero si accomoda in panchina, ma la gente non smette di invocarlo.Sugli spalti sventolano bandiere, applaudono, sorridono. Molti piangono, senza vergogna. Sono lacrime vere, spontanee, frutto di una lunga storia d’amore, quella tra Del Piero e i tifosi juventini, con pochi paragoni in questo calcio moderno dove le bandiere sono merce sempre più rara e, proprio per questo, sono quindi capaci di suscitare nei tifosi un grande senso di riconoscenza. Alex si erge su un muretto della panchina, per raccogliere un'ultima volta tutto l’affetto della sua gente. Ma non basta, gli chiedono il bis. Così Del Piero “è costretto” a scendere sul terreno di gioco dove, lentamente, fa un giro di campo mentre i suoi compagni stanno giocando, e vincendo, una partita che per un po’ diventa solo lo scenario di contorno per lui, il capitano, il vero protagonista della giornata. Decine di sciarpe piovono dagli spalti, Alex cerca di raccoglierle tutte mentre la festa per lo scudetto “del ritrovato orgoglio bianconero” passa per un attimo in secondo piano. Alla fine saranno oltre quindici minuti di applausi ininterrotti, un’onda emotiva fortissima per chi ha assistito alla scena, tributo sentito a un uomo che ha davvero incarnato, sia dentro sia fuori dal campo, quello che una volta era definito “lo stile Juve”.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons