L’acqua era per l’altra

Scrutavo angosciata, nel suo lettino di ospedale, mia figlia Roberta di appena 20 mesi. Da qualche tempo non riusciva a camminare, non era più capace di stringere nulla con le sue manine, come se avesse perso ogni forza; inoltre aveva la febbre e chiazze scure costellavano il suo corpicino tutto gonfio. Di che male soffriva? Neppure i medici erano riusciti a capirlo. Giovane mamma alle prese col primo grave problema di salute capitato ad uno dei nostri figli, ero in grande ansia, nonostante il sostegno morale di mio marito. Nella stessa stanza era ricoverata una bambina di otto anni, figlia unica. Siccome era grandicella, i suoi genitori a differenza di me con la mia non avevano ottenuto il permesso di rimanere a vegliarla durante la notte. Li vedevo perciò andare via dopo l’orario di visita, piuttosto afflitti. Era però di conforto per loro sapere che, nei limiti del possibile, avrei fatto le loro veci presso la figlia. Intanto l’emergenza ci aveva ancora più uniti, mio marito ed io: in modo particolare ci affidavamo alla Madonna, con la quale avevamo da sempre un rapporto filiale di fiducia. Del resto, il nostro viaggio di nozze non aveva avuto Lourdes come meta? Quella notte mi spaventai: la compagna di stanza di nostra figlia aveva la febbre alta, sembrava stesse soffocando e a momenti mostrava il bianco degli occhi. In quell’istante mi attraversò la mente un pensiero: Ma io ho l’acqua di Lourdes!. Ne avevo infatti con me una boccetta, che pensavo di riservare a Roberta. Che fare? Usare quell’acqua per l’altra? Ero come di fronte ad una scelta da cui dipendeva la salvezza o di Roberta o di quella bambina. Un pensiero assurdo, certo: Maria non fa parsimonia di grazie, e poteva benissimo intercedere per entrambe. Forse però era necessaria questa mia prova come piccola moneta da pagare. Tutto si svolse in tempi molto rapidi: l’accorrere di un’infermiera, la mia telefonata a casa per chiedere più intense preghiere. Dopo di che bagnai il petto dell’altra bambina con un po’ di acqua di Lourdes. Erano le due del mattino quando la piccola, che sembrava in fin di vita, venne trasferita in una cameretta singola. Sarebbe riuscita a sopravvivere? Era come un’altra figlia, per la cui vita trepidavo. Verso le cinque (ma questo l’avrei saputo in seguito) arrivarono i genitori di lei, ignari di quanto era accaduto in quella notte di angosce. Stupiti di trovare la bambina sfebbrata e addirittura con appetito, con gioia si affrettarono ad andarle a comperare delle banane. Ma l’infermiera in cui si imbatterono al ritorno non mancò di rimproverarli: come, con la figlia in quelle condizioni, loro le portavano da mangiare? Naturalmente fu lei la prima a sorprendersi appena verificato il miglioramento. Erano le 8,30 quando sopraggiunse anche il medico. Non trovando più in camera la piccola paziente, chiese all’infermiera della bambina morta. E l’altra a indicargliela fuori, che sgambettava lungo il corridoio del reparto. Sconcertato, il medico domandò chiarimenti ai genitori e anche lui alla fine parlò di miracolo. Giorni dopo pure nostra figlia cominciò a migliorare, fino alla completa guarigione. Nessuno mai ha saputo spiegarci di quale male si trattasse, un male sparito misteriosamente così come s’era manifestato. Ma una spiegazione ora l’avrei, mentre a distanza di anni ripercorro questi fatti. In fondo, senza la necessità per Roberta di ricoverarsi in ospedale, non avrei conosciuto l’altra bambina e forse la Madonna non si sarebbe potuta servire del mio tramite per ottenere la grazia della sua guarigione.

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