Laborde, scompare il protagonista de La città della gioia

Il giorno di Natale, a 93 anni, si è spento il gesuita francese François Laborde, che con la sua vita negli slums di Calcutta ha ispirato il celebre romanzo di Dominique Lapierre.

La città della gioia, di Dominique Lapierre, è uno di quei libri che hanno fatto la storia, un romanzo letto da milioni di persone in tutto il mondo, e successivamente arrivato anche sugli schermi con un film, sebbene piuttosto deludente rispetto al libro. Uno dei tre protagonisti del romanzo, ambientato ad Anand Nagar (la città della gioia), uno degli slums più abietti di Kolkata (Calcutta fino al 2001) era un prete francese, François Laborde, arrivato a Kolkata nel 1965. Padre Laborde, gesuita, era conosciutissimo nella metropoli indiana e in tutto il Bengala occidentale. È stato di fatto lui l’elemento ispiratore del romanzo di Lapierre. È morto il giorno di Natale in un ospedale di Midnapore, non lontano dalla grande città indiana, all’età di 93 anni. Con lui scompare un testimone della missione ma anche un uomo degli “ultimi””. Mons. Thomas D’Souza, l’attuale arcivescovo, durante il funerale ha ricordato che il prete francese era sempre disponibile per chiunque lo incontrasse o anche solo lo chiamasse al telefono. Non esisteva nessuna età, etnia, classe sociale e casta. Padre Laborde c’era sempre e per tutti.

Era nato a Parigi e, sebbene figlio della borghesia della capitale francese, fece il primo incontro con la povertà già a 9 anni, quando si accorse che il suo migliore amico viveva in condizioni penose. Ricordava che un giorno, invitato dalla famiglia del suo compagno, rimase allibito vedendo dove vivevano: al sesto piano di un casermone, con il ragazzo che dormiva in soffitta, su un letto pieghevole. Pur bambino, si rese conto che per capire i poveri era necessario vedere dove vivevano. Fu un momento decisivo che ritornò alla mente del giovane parigino quando, dopo un anno di studi filosofici alla Sorbonne, decise di lasciare tutto e di entrare Compagnia fondata da Sant’Ignazio per dedicarsi a coloro che erano veramente poveri. Diventò sacerdote nel 1951, ma la svolta vera avvenne quindici anni più tardi quando, a metà degli anni Sessanta, per realizzare uno studio di sociologia, arrivò in India. Si trattava di uno studio di alto livello, sotto il patronato dell’Unesco, per mettere a fuoco i “Rapporti fra marginalizzati e popolazioni integrate”. Rimase sconvolto da Calcutta, dove da anni Madre Teresa aveva già fatto la scelta di vivere con i più poveri dei poveri. Erano gli anni in cui nella metropoli indiana arrivavano ogni giorno migliaia di persone per via della carestia di alcune zone dell’India, e per le discriminazioni contro gli indù nel Pakistan Orientale (oggi Bangladesh). Padre François decise di restare nella metropoli indiana e lì ha vissuto fino al giorno di Natale di quest’anno.

Padre Laborde riconosceva che sono stati i poveri ad avergli restituito una fede forte, guardando come riuscivano a sopportare le difficoltà inenarrabili in cui si trovavano a vivere e a sopravvivere. Nel 1976, aiutato da un confratello gesuita, il cardinale Picachy, allora arcivescovo della metropoli indiana, riuscì ad aprire la prima casa per ragazzi diversamente abili e lo fece alla periferia della città bengalese dove, non lontano dalla stazione ferroviaria di Howrah, fondò anche un centro per bambini affetti dalla lebbra. Nacque un’associazione che divenne famosa non solo a Kolkata ma in tutto il Paese e oltre, la “Howrah South Point,” con sette centri di accoglienza, scuole specializzate, unità per la riabilitazione fisica e laboratori dove i ragazzi potevano apprendere un mestiere. E non mancavano numerosi programmi per aiutare le madri nel bisogno. In questi centri hanno lavorato fin dall’inizio persone di diverse religioni: indù musulmani e cristiani. Più tardi cominciarono ad arrivare anche volontari dall’Europa per collaborare con queste iniziative, pur con i limiti di durata concessi dalle severe politiche sui visti delle autorità indiane. Questo lavoro fruttò al prete francese anche la prestigiosa ‘Legion d’onore’, concessagli dall’allora Presidente della Repubblica francese Mitterand, nel 1969.

Intanto, era iniziato il rapporto con Dominique Lapierre che visitò Kolkata con l’idea di scrivere un romanzo sulla metropoli Indiana, allora sinonimo di povertà, fame, malnutrizione e malattie di ogni tipo. Lo scrittore francese cominciò a girare la città con il gesuita e a vedere ogni angolo con gli occhi di padre Laborde, soprattutto i vicoli angusti delle grandi bidonvelles. Lapierre trascorse ore e giorni a capire il lavoro del suo connazionale per riuscire a dare una voce ai diseredati. Ci sono voluti 17 anni ad uno scrittore di primissimo livello come l’autore francese per riuscire a mettere in romanzo la vita di Anand Nagar. Così “La città della gioia” vide la luce nel 1985 e fu un successo editoriale travolgente. Laborde, uno dei tre protagonisti, insieme ad Hasari Paul, l’uomo cavallo che tirava un classico risciò, e Max Loeb, giovane medico della Florida che trascorre un anno fra i diseredati di Kolkata, passa alla storia con il nome di “Paul Lambert”. Negli anni successivi Lapierre darà vita ad una fondazione per sostenere i progetti del gesuita, destinandovi metà degli incassi provenienti dalla vendita del suo libro in tutto il mondo.

Con la scomparsa di questo testimone proprio nel giorno del Natale 2020, l’anno della pandemia, finisce davvero un’epoca, che ha visto Kolkata al centro dell’eroismo di molti, cominciando da Madre Teresa, che hanno dato vita a progetti per la riabilitazione di bidonville e l’inserimento nella vita sociale di migliaia di persone che vivono ai margini della società. Testimoni che mostrano in modo indelebile che cosa sia veramente il cristianesimo vissuto per amare gli ultimi, senza nessuna discriminazione, in una società complessa e contraddittoria come quella indiana.

 

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