La voce di Arthur

L'insolita richiesta di un amico arrivato da lontano.
Telefonini

Arthur è arrivato da molto lontano, quarant’anni fa, per studiare il greco antico. È slanciato e trasparente come un arciere elfico. Parla molte lingue dell’Oriente e dell’Occidente. I suoi capelli, sempre più biondi, sono lunghi fili ordinati. Non alza mai la voce ma ha parole veloci e squillanti. La sua casa è fuori, tra la gente. Nella stanza dove vive da solo c’è la presenza silenziosa del mondo: un chiostro rovesciato.

Fin da giovane, Arthur legge e scrive, e da questo cava il pane per la sua giornata. Vive dell’essenziale e invecchia molto lentamente. Due volte all’anno lascia queste terre affollate e torna dalla sua gente che non ha mai smesso di amare. Dice, sorridendo, che deve andare a parlare con la sua commercialista. Molti amici sono scomparsi dal mio orizzonte. Lui ritorna sempre da quei luoghi molto lontani.

 

Nell’alta torretta dove mi rifugio d’estate, ogni due giorni apro la mia posta elettronica. Ho staccato tutti i telefoni. Non sentirò nessuno per quaranta giorni. Ho scritto a tutti: «Ci vediamo a settembre», ma potrebbero capitare occasioni di lavoro…

«C’è posta», sta scritto sullo schermo. È Arthur che dal suo Paese lontano mi chiede di aiutarlo a fare testamento; a settembre, quando entrambi torneremo. Mi rassicura: «No, no, sto bene in salute, ma ho litigato con una delle mie sorelle, la cocca di mamma, ha un carattere impossibile e la mia commercialista mi ha detto…».

Ah, quell’inatteso, assurdo, colloquio… scritto! Almeno avessi sentito la voce di Arthur; avremmo scherzato, sarebbe stato più facile! Fra tre anni vado in pensione, deciso! Che brutto lavoro il mio!

 

La pagina settembrina del mio calendario sta per scadere. Sono davanti allo schermo a fare dei conti. Sul led del cellulare che lampeggia accanto a me appare “Arthur”; premo il tasto “viva voce” e, quasi a volermi scusare, gli dico subito che sì, sono pronto ad incontrarlo per scrivere insieme il suo testamento.

«Lo faremo – dice una voce di Arthur a me nuova –, ma ti ho telefonato per una cosa più triste: ieri sera ho saputo che quella mia sorella si è suicidata. Lei voleva, tanti anni fa, diventare suora cattolica. Non l’hanno voluta neppure come suora. Vorrei far dire una messa per lei. Tu sai, non sono battezzato e non credo in Dio, a me non importerebbe ma a lei sì… Potrei io, un senza Dio, far dire una messa per una suicida? Ero certo che, da credente cattolica, non avrebbe mai compiuto un gesto così estremo. Perché ci ha fatto questo? Credevo di non sentire più niente per lei, ora so che è mia sorella. Penso che la sua scelta non sia stata lucida. Non è colpevole. Soffriva troppo».

 

La voce di Arthur mi giunge come quella del mio Dio, misericordiosa. Allora gli dico che, secondo me, nessun prete potrà mai rifiutarsi di accontentare un ateo che gli chiede una messa per la sorella suicida ed, anzi, azzardo: «Come te, pagano, greco del nord, che si dice senza fede, ma che ora sovrabbonda di speranza e di carità, potresti battezzarmi, così io sento che in questo preciso istante la tua voce, come una freccia che grida, muove alla misericordia il mio Dio di misericordia. Tu hai già fatto qualcosa di molto potente per la tua sorella. Hai chiesto misericordia per lei a un Dio che non conosci. Vai ora, subito, dal prete e digli che tu, ateo, gli “ordini” (non chiedi) una messa per la tua sorella suicida. Gli porterai assai più dell’obolo e ti ringrazierà. La messa cristiana sarà detta da un penitente».

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