La vita come un’illusione teatrale

Il rapporto tra realtà e illusione è il tema della commedia “La grande magia” di Eduardo De Filippo. Una lezione di verità in cui la risata indulgente sui vizi e i difetti dell’umanità si trasforma in una caustica denuncia dei miserevoli comportamenti umani e delle loro conseguenze. La regia è dello spagnolo Lluís Pasqual. Al Teatro Argentina di Roma

«Ho voluto dire che ogni destino è legato al filo di altri destini in un giuoco eterno: un gran giuoco del quale non ci è dato scorgere se non particolari irrilevanti». Con queste parole, sottolineando la componente della solidarietà, Eduardo De Filippo commentava la sua commedia che, al suo debutto, aveva lasciato perplessi critica e pubblico. Nel 1948, a Trieste, fu un insuccesso. Lo stesso a Roma, due anni dopo, con l’accusa di eccessivo condizionamento pirandelliano (siamo dentro al tema realtà e finzione). Commedia, appunto, di pirandelliana memoria, spietata e disincantata, La grande magia è, con la figura dell’illusionista Otto Marvuglia, l’erede ideale del ciarlatano di Sik-Sik, l’artefice magico.

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Il sipario si apre sulla terrazza fronte-mare dell’hotel Metropole. Qui troviamo blateranti pettegole e falsi clienti complici dell’incantatore professor Marvuglia, sovreccitati per l’imminente spettacolo di magia da lui ideato appositamente per organizzare una becera congiura: far sparire in un sarcofago egizio la signora Marta Di Spelta. L’istrione e ruffiano mago – che si fregia del titolo di “professore di scienze occulte, celebre illusionista di suggestione e trasmissione del pensiero” -, ha concordato il trucco con lei e il suo amante, il fotografo Mariano, per liberarsi, almeno un quarto d’ora, dal geloso e opprimente marito Calogero. Lo stratagemma però sfugge di mano all’illusionista poiché l’amante ne approfitta e la fa scappare con lui. Quando il marito reclamerà la moglie chiedendo di farla riapparire ponendo così fine alla magia, Marvuglia, per rimediare, gli farà credere che lei è contenuta dentro una scatola: potrà aprirla, e rompere così l’incantesimo, solo se convinto dell’onestà della consorte, altrimenti non riapparirà mai più. Non solo. Convince il credulone di aver realizzato anche su di lui un esperimento: che il tempo si è fermato, che crede di invecchiare, e che tutto ciò che gli succede intorno è frutto della sua immaginazione. Il raggiro si protrae per quattro anni, con il poveretto – sul quale continua a speculare l’illusionista – che non si staccherà mai dallo scrigno.

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Invecchiato e con i capelli bianchi, Calogero ha ormai imparato a convivere con l’illusione, mentre la sua famiglia, credendolo pazzo, vorrebbe farlo interdire. In un susseguirsi di dialoghi surreali e ambiguità, si giunge all’epilogo con l’adultera ravveduta che torna dal marito. Questi, però, non accetta l’improvvisa evoluzione della realtà. Pur di non ammetterla, sceglierà di non aprire la scatola. E fa mandare via la coniuge per sempre, fingendo di non riconoscerla. Quella che ha visto è ancora una “immagine mnemonica” di “moglie che torna”: solo la sua illusione, conservata gelosamente nella scatola chiusa, è degna di certezza.

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La morale de La grande magia è una beffa tragica, costruita sul ragionamento. È la percezione della vita come illusione in cui le parole e il linguaggio, così come la riflessione, hanno una parte importante e in cui tutti sono immersi senza accorgersene. Anche i sentimenti più profondi e fondamentali, così, possono finire col naufragare nel dissolvimento fantastico e possono essere salvati solo mediante una fede tenace e disinteressata nei confronti degli altri. Commedia raramente messa in scena, ha avuto notorietà solo dopo la morte dell’autore grazie allo storico allestimento di Giorgio Strehler nel 1985, con due grandi attori come Renato De Carmine e Franco Parenti (un altro allestimento più, relativamente, recente è stato quello diretto e interpretato da Luca De Filippo).

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A ripresentarla oggi nel suo pirotecnico gioco delle parti, è la regia dello spagnolo Lluís Pasqual che ne fa uno spettacolo, nel complesso, di ottimo artigianato teatrale. Tutta la scena è una ribalta, con fila di lampadine sul proscenio e in alto, insieme a pareti e pavimento di specchi; i costumi colorati Anni Trenta; un trionfo di tendaggi rossi; un duo musicale e canterino a fare da “siparietti” tra un tempo e l’altro (ma il coinvolgimento del pubblico in un ritornello vocale da coro si poteva evitare). Lo spettacolo però non va oltre una tradizionale messinscena. Nel suo oscillare tra diversi generi che vanno dal naturalismo alla farsa, strizzando l’occhio al grottesco, e con alcune accentuazioni forzatamente comiche (vedasi, per esempio, la caricatura del brigadiere, dal gridato accento siciliano), si avverte la mancanza di una linea registica e una direzione ben precisa (tra il resto risulta inspiegabile l’aver eliminato la figura della giovane Amelia, malata di cuore infantile che muore precocemente). Bravi comunque gli attori tra cui i due protagonisti: Nando Paone nel ruolo di Marvuglia, e Claudio Di Palma il quale imprime al suo Calogero, nella crescente follia illusoria, particolari sfumature espressive e gestuali.

 

“La grande magia”, di Eduardo De Filippo
regia, scene e costumi Lluís Pasqual
con Nando Paone, Claudio Di Palma, Alessandra Borgiam, Gino De Luca, Angela De Matteo, Gennaro Di Colandrea, Luca Iervolino, Ivana Maione, Francesco Procopio, Antonella Romano, Luciano Saltarelli, Giampiero Schiano
musiche dal vivo eseguite da Dolores Melodia, Raffaele Giglio.

Produzione Teatro Stabile Napoli – Teatro Nazionale

A Roma, Teatro Argentina, dal 18/12/2019 al 5/1/2020

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