La visione di Costantino

Chi era davvero Costantino? Il corepiscopo dei cristiani orientali, venerato in Oriente e Occidente? Il politico che ha spiazzato senza scrupoli rivali dentro e fuori casa, a cominciare dal figlio Crispo, per dominare l’immenso impero, unico sovrano dopo i decenni dei Tetrarchi? Il genio che ha intuito la forza unificante del cristianesimo che ha favorito: per calcolo o fede? Sono queste e molte altre le domande che la rassegna riminese pone e documenta sul personaggio, noto al grande pubblico per l’Editto di Milano del 313 in cui concedeva la libertà di culto ai cristiani, dopo le persecuzioni di Diocleziano; per aver fondato la Nuova Roma, cioè Costantinopoli – oggi Istanbul -, facendone il centro di un Impero in cui Oriente e Occidente, antico e nuovo, si legassero in una visione unitaria di ampio respiro. Ma anche il protettore delle chiesa, i cui vescovi diventavano funzionari imperiali (con l’ambiguo fenomeno del cesaropapismo), il costruttore di basiliche a Roma e in Palestina, il creatore di un simbolismo imperiale di enorme fascino, il generale che percorre l’Europa a fortificare i confini dell’Impero e muore mentre va in guerra contro i persiani, nel 337. Costantino è figura poliedrica. Snodo fra epoche, anello di congiunzione fra romanità e cristianità, figura- simbolo dall’influenza secolare. Oriente e Occidente ne portano ancora i segni evidenti, perché con Costantino c’è un prima e un dopo, indubbiamente. Così, se a Roma, in Campidoglio, nel Palazzo dei Conservatori, restano i frammenti di un colosso dell’imperatore – il volto glabro, i grandi occhi fissi nell’eternità -, presso il Colosseo si drizza, accedendo alla trionfale Via Sacra, l’Ar- co costruito con materiali traianei di due secoli prima: a glorificare Costantino, nuovo Traiano ottimo principe, e segno di un recupero del passato anche artistico in chiave simbolica. E se il Medioevo conserva il bronzo equestre di Marco Aurelio credendolo san Costantino, l’oratorio dei santi Quattro Coronati nel secolo XIII illustrerà la legenda dell’imperatore convertito da papa Silvestro a cui dona il patrimonium Petri; mentre in pieno Cinquecento Leone X farà affrescare nelle Stanze una sala dove la storia dell’imperatore – dalla visione della croce in hoc signo vinces, alla battaglia gloriosa sul Ponte Milvio contro Massenzio, al battesimo -, vengono fissati come segno e giustificazione di un potere papale non solo religioso, ma che si considera continuatore dell’impero romano-cristiano di fondazione costantiniana. In Oriente, l’influenza è ancor più considerevole. Ben tredici imperatori porteranno il nome di Costantino – l’ultimo morirà eroicamente difendendo la capitale contro Maometto II – a riprova del suo forte carattere evocativo, in un contesto cerimoniale di assoluta ieraticità come testimoniano sculture oreficerie e mosaici dal secolo IV in poi; la città nuova Roma avrà (ancora conserva in parte) un Foro circolare dominato da una colonna di porfido – la pietra reale – centro ideologico della presenza imperiale e da un ingresso su cui si stagliava il gruppo marmoreo di Costantino, la madre Elena i familiari, la croce al centro. Basiliche palazzi ville faranno di Costantinopoli la città ideale dell’impero romano-cristiano, con tipologie architettoniche diffuse da Treviri a Colonia, da Spalato alla Spagna, da York alla Palestina. Costantino, o meglio i suoi architetti, proporranno nell’arco a tre fornici lo stilema sacrale che esalta la centralità dell’imperatoresimbolo, che vi si incornicia colla veste purpurea, il diadema in fronte, l’occhio grande, il profilo astratto: un simbolo di eternità. C’è infatti nella figura e nell’opera di questo imperatore un fortissimo senso dell’immortalità che certo deriva dalla tradizione romana ma che, cristianizzandosi, acquista nuovo senso e nuove configurazioni. Costantino unifica il culto al Sol invictus, il Sole vittorioso, con quello del Cristo, cui aderisce – sembra – abbastanza presto, con la coscienza che la nuova religione interculturale e interazziale serva da cemento unitivo alla diversità delle genti nell’Impero, i cui culti antichi vengono ormai contrastati. Il fare del cristianesimo la religione imperiale – con vantaggi e svantaggi per la fede – serve alla sua intuizione che ormai un mondo sta per finire e la storia ha intrapreso un cammino diverso. Per questo, l’imperatore ha a cuore la pace interna della chiesa. Presiederà il concilio di Nicea nel 325 assiso su di un trono d’oro, si occuperà materialmente di chiese, nomine, sinodi. Fin troppo, dando origine alla chiesa statale così duratura in Oriente. Intuirà che l’idea di Roma ormai è un simbolo unificante: di qui il carattere astratto dell’arte – dai mosaici ai sarcofagi alle sculture – e del linguaggio scritto, i provvedimenti legislativi ed economici, il favore dato al culto imperiale anche se cristianizzato. Non mancano ombre pesanti nella sua vita, che non ne fanno un modello di imperatore cristiano come invece è stato esaltato nei secoli. Ma la sua figura è diventata presto mitica. Il motivo non è difficile da scoprire. La sua scelta cristiana, politica prima che personale, la fondazione della nuova Roma, lo spostamento dell’asse imperiale dall’Occidente al centro del Mediterraneo fanno rilevare che Costantino aveva ben chiaro un orientamento unitario che legasse da un unico centro le molteplicità delle province, sia col recupero dei valori classici e sia con l’apporto delle linfe giovani cristiane. Fin che lui visse, questo fu possibile, grazie alla sua forte personalità. Poi, si arrivò ad un decentramento inevitabile, da cui hanno preso vita i due polmoni dell’Europa. Costantino resta tuttavia ancora oggi figura chiave del passaggio ad un nuovo tipo di romanità, ove l’utopia del recupero antico e della accoglienza del nuovo lo rende attuale e dà senso al titolo di grande come l’idea dell’unità per la quale – in un contesto non del tutto dissimile dal nostro – è vissuto. Costantino il grande. La civiltà antica al bivio tra Occidente e Oriente. Rimini, Castel Sismondo, fino al 4/9 (catalogo Silvana editoriale).

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