La violenza sulle donne e il femminismo pedagogico

22 ottobre: sgozzata. 20 ottobre: presa a martellate. 19 ottobre: uccisa con un colpo di pistola. 16 ottobre: accoltellata. L'emergenza femminicidi continua. Il contributo di una lettrice indignata
femminicidio

Su 80 donne morte violentemente in Italia dall’inizio dell’anno al 29 agosto, solo 14 non sono state vittime di femminicidio, inteso come omicidio maturato all’interno di una relazione che dovrebbe essere di amore. E poi ci sono le donne che subiscono abusi e soprusi fisici e psicologici e le vittime di stupro, il cui numero non è mai dato sapere con precisione. E tra esse una ragazzina violentata da un gruppo di uomini per due anni nell’indifferenza di chi sapeva ma non ha parlato. Sono dati che suscitano rabbia, dolore e voglia di fermare questa barbarie.

 

Ma la rabbia, l’indignazione, l’incredulità maggiori nascono dal rendermi conto che ci sono donne (spesso madri) che non difendono altre donne (spesso figlie, addirittura le loro figlie), anzi alcune volte le attaccano. Per vergogna, per quell’innata capacità che noi donne abbiamo di giudicarci e metterci sempre le une contro le altre, per paura di metterci contro il “potere” maschile o semplicemente per ignoranza, proprio noi donne riusciamo a dire che quelle di noi che sono uccise o stuprate “se la sono cercata” e, dopo tutto, forse se lo sono anche meritato.

 

Io non ci sto! Non ci sto a colpevolizzare le mie simili quando è chiaro che la colpa è di uomini che non sanno amare, che non sanno cosa sia l’amore e non hanno la minima idea di cosa significhi il rispetto dell’altro. Non ci sto a dare la colpa a donne, ragazze e bambine, che stanno cercando di capire chi sono e stanno provando a trovare il modo migliore per vivere la propria vita, magari piena di difficoltà agli altri ignote. E non ci sto a dare la colpa agli uomini, a tutti gli uomini in generale, perché non tutti sono dei “mostri” e io ho la fortuna di conoscerne molti che sono ben altro.

 

Ma allora la colpa di chi è? Della televisione? Della cultura? Delle famiglie che non seguono i figli o della scuola che non educa alle differenze di genere? Dei pregiudizi che non riusciamo a mettere al bando? Ci penso da un po’, cerco di farmi un’idea di quello che sta accadendo oggi e di quello che è sempre accaduto in Italia, così come in tutto il mondo. E l’unica risposta che riesco a darmi è che bisogna ripartire dall’educazione.

 

Dirò di più, bisogna ripartire da un femminismo pedagogico. Per le vittime di femminicidio, per le ragazzine stuprate a cui viene detto che “se la sono cercata”, per tutte le donne che subiscono abusi di ogni tipo e non hanno la forza di reagire, ma anche per i tanti uomini che non sanno amare le donne perché nessuno lo ha insegnato loro. Per tutti costoro c’è bisogno di un nuovo femminismo. Un femminismo non di protesta, ma pedagogico, che educhi le nuove generazioni alla comprensione della parità tra uomo e donna, nel riconoscimento delle differenze reciproche, e alla creazione di rapporti improntati al rispetto reciproco.

 

Non quindi una pedagogia delle differenze di genere, di cui si sente parlare da anni in ambienti femministi, non è quella che ci serve: le differenze tra i generi le conosciamo bene e non ha senso né fingere che non esistano né sottolinearle ulteriormente. E non ci serve neanche una pedagogia del gender, come si sbandiera da più parti in questi ultimi anni: ulteriori complicazioni non renderanno i nostri figli maggiormente capaci di capire chi sono e come vogliono vivere la propria vita relazionale e sessuale. La priorità è un’altra.  Occorre un nuovo tipo di educazione, che formi nuove generazioni di persone realmente capaci di vivere in modo nuovo tutti i rapporti con gli altri, chiunque essi siano.

 

Un’educazione che deve partire dalle nostre case, da noi donne, madri di oggi o di domani. Noi donne, infatti, abbiamo il dovere di educare le nostre figlie a pretendere il rispetto degli altri, dicendo loro che un uomo che ci ama non ci impedisce di uscire con gli amici e con le amiche, non dice che è meglio restare a casa invece che proseguire gli studi, non ci picchia perché geloso, arrabbiato, stanco o qualunque altro stupido motivo, non ci uccide perché ci ama troppo per lasciarci andare via. E abbiamo il dovere di insegnare ai nostri figli maschi che le donne valgono esattamente come loro, che non sono solo corpi da sfruttare per il proprio piacere o oggetti di loro proprietà, che non sono tutte prostitute solo per il fatto di essere donne, che oltre al corpo possiedono una mente in grado di funzionare, anche piuttosto bene.

 

Abbiamo il dovere di insegnar loro che quando una storia d’amore finisce si soffre, ma poi si può andare oltre e lasciare che anche l’altro continui la propria vita. Dobbiamo insegnare alle nostre figlie e ai nostri figli che tutti, uomini e donne, godiamo degli stessi diritti e meritiamo lo stesso rispetto.

 

E dobbiamo smettere di guardare le altre donne con cattiveria, pronte a notare il minimo segno di trucco sbavato o di grasso addominale. Smettere di svalutare le donne per dar maggior credito a ciò che dicono/fanno gli uomini solo perché sono uomini e hanno sempre gestito loro il potere e il prestigio. Smettere di giustificare i soprusi degli uomini e la loro violenza nei nostri confronti.

 

Smettere di accettare che ci guardino o parlino di noi con malizia (quando va bene). Non si può più accettare che per offendere qualcuno si chiamino in causa, con epiteti tutt’altro che gentili, la madre o la sorella. Non si può più accettare che donne si vedano costrette ad uccidersi perché qualcuno mette in rete immagini della loro vita sessuale come vendetta per un tradimento o la fine di una storia, o “semplicemente” per incoscienza.

 

A coronamento di tutto questo, con l’aiuto di uomini capaci e volenterosi, abbiamo il dovere di far vedere la bellezza di essere uomini e donne sani, capaci di relazioni fondate su un amore anch’esso sano… e di esempi, per fortuna, ce ne sono tanti!

 

 

(Cristina Buonaugurio: psicologa e psicoterapeuta, Analista Transazionale Certificata, Docente invitata Università Pontificia Salesiana)

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