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La via italiana del dialogo interreligioso e dell’ecumenismo

di Roberto Catalano

- Fonte: Città Nuova

Due giorni (13-15 novembre 2025) di riflessione che l’Unedi, organo della Conferenza Episcopale Italiana (Cei) per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, ha organizzato presso il Museo Storico Diocesano di Catania

MIGRANTI/SBARCHI/LAMPEDUSA ANSA/CIRO FUSCO

Molto spesso la formula di “via italiana” viene usata per esprimere la creatività e, anche, l’improvvisazione italica nell’affrontare questioni di diverso tipo: geopolitiche, religiose e sociali. Non fa difetto a questo panorama l’ambito del dialogo, sia ecumenico che interreligioso, sebbene si tratti di aspetti alquanto diversi.

In Italia, le questioni ecumeniche si sono sviluppate soprattutto attorno alla questione del rapporto con l’ortodossia, presente in molte zone del nostro Paese per retaggi storici con l’Oriente, ma più in particolare con Grecia e Turchia. In tal senso Bari e Venezia sono state da sempre poli importanti per questo. Le cose hanno, poi, preso una piega ben diversa con le migrazioni verso il nostro Paese provenienti dalla Romania e da altri Paesi dell’area balcanica. Oggi, proprio grazie a questo fenomeno migratorio, la presenza ortodossa in Italia è di assoluta rilevanza. L’altro polo ecumenico è senza dubbio quello con la Chiesa Valdese, presente ovviamente in Piemonte ma anche in altre parti d’Italia, e con una Facoltà Teologica di primo piano a Roma. A questi due ambiti ecumenici, si aggiungono naturalmente quello delle Chiese della Riforma, ma, anche qui per via dei flussi migratori recenti, quello sempre più diffuso delle Chiese Pentecostali, soprattutto di origine africana, e in particolare nigeriana.

Com’è noto, tuttavia, negli ultimi 30 anni, si è sempre più manifestata la necessità di aprire un dialogo con persone del mondo musulmano e con coloro che seguono tradizioni religiose e filosofiche dell’oriente, in particolare induismo e buddhismo, senza dimenticare la notevole presenza sikh, soprattutto in zone di allevamenti di bestiame e di coltivazioni agricole. Continuano poi i rapporti con il mondo ebraico, giunto nella nostra penisola nel II-I secolo a.C. e oggi presente non solo a Roma, dove risiede la comunità più numerosa, ma anche in molte città italiane.

Questa nuova localizzazione di tradizioni religiose, legate al fenomeno migratorio ma anche alla globalizzazione, ha colto di sorpresa l’Italia, sia da un punto di vista sociale che religioso. Nel corso degli anni si sono aperti osservatori per lo studio dei problemi e delle evoluzioni nella nostra società, e anche la Chiesa cattolica, non senza difficoltà, ha cominciato a interrogarsi sui rapporti da intrattenere e costruire con comunità di altre fedi e tradizioni. Proprio in tale ambito cattolico, nonostante la presenza di un ufficio della Cei inteso a sensibilizzare e orientare possibili iniziative di dialogo, i processi sono avvenuti a macchia di leopardo, spesso favoriti dalla presenza di vescovi sensibili a questo aspetto, o grazie a iniziative spontanee sul territorio.

Quello che emerge oggi, ad uno sguardo generale del panorama ecclesiale italiano in rapporto alle altre religioni, è proprio una “via italiana” che si concentra nel dialogo sul territorio, suscitato, favorito e animato da comunità parrocchiali, movimenti ecclesiali e gruppi spontanei che sollecitano una vicinanza con persone di diverse fedi. In alcuni casi si tratta di iniziative ormai pluridecennali e, dunque, consolidate, ma anche di altre nate quasi per caso e sviluppatesi in tempi più recenti.

Il lavoro attento e continuativo dell’Ufficio nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso (Unedi) della Cei, negli ultimi anni ha portato alla coscienza della necessità di maturazione di una linea pastorale comune da parte di tutti i vescovi italiani sul rapporto fra il mondo cattolico e quello dei fedeli di altre religioni, sempre più numerosi a fronte di un cattolicesimo sempre più etereo, anche in Italia, dove tuttavia non si raggiunge ancora una vera situazione post-cristiana, come da tempo avviene in altre nazioni nord e centro europee. Altro ambito che la situazione attuale sembra impattare in modo importante e che richiede un’attenzione efficace è quello dell’educazione religiosa, soprattutto nelle scuole, che pare essere ancora ignara della multireligiosità presente nel nostro Paese. Infine, a fronte di numerosi studi sulla situazione attuale del cristianesimo anche nel nostro Paese, ci si rende conto della necessità di un’adeguata riflessione sulle esperienze di dialogo per offrire categorie – sociologiche, teologiche e pastorali – che siano utili ad avviare una cultura consona alla multireligiosità e, soprattutto, alla costruzione di quella che papa Francesco chiamava “cultura del dialogo”.

Queste e altre riflessioni hanno animato i due giorni di confronto a Catania, dove si è evidenziata la “via italiana del dialogo”, spesso tipicamente improvvisata ma anche carica di generosità, creatività e intraprendenza. E, attualmente, nella necessità di un coordinamento sempre maggiore e di una riflessione e direttiva adeguata da parte dei vescovi italiani. La Cei è chiamata a rendersi conto di quanto, come all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso diceva un giovane teologo tedesco di nome Joseph Ratzinger, il futuro del cristianesimo sia legato al rapporto con altre tradizioni religiose. Si tratta di un impegno ineludibile, che oggi, come è stato fatto notare alla conclusione dei lavori, dovrebbe aprirsi al Mediterraneo, per non restare una semplice “via italiana” ma trasformarsi in una “via Mediterranea” capace di gestire e affrontare problematiche scottanti, come quella dell’immigrazione e della necessaria accoglienza e integrazione di coloro che arrivano da altri mondi, con tradizioni culturali e religiose che richiedono un rapportarsi positivo con la tradizione cattolica e le altre realtà cristiane presenti in Italia.

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