La vertenza della Portovesme approda al ministero

Sono in corso al dicastero delle Imprese e del Made in Italy le interlocuzioni per trovare una soluzione alle difficoltà dei due stabilimenti sardi, dove quattro dipendenti sono da giorni su una delle ciminiere in segno di protesta. Anche le diocesi dei territori coinvolti hanno preso posizione.
Operai fuori dallo stabilimento di Portovesme (foto diocesi di Iglesias)

La vertenza della «Portovesme srl», stabilimento nel Sulcis, ha varcato il Tirreno ed è approdata al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, dopo la clamorosa protesta di quattro dipendenti che da giorni sono a 100 metri su una delle ciminiere dell’impianto industriale, unico in Italia a produrre zinco e piombo.

La protesta è iniziata lo scorso 28 febbraio a poche ore dalla cassa integrazione che sarebbe scattata per gli oltre 1300 dipendenti tra diretti e indotto, dei due stabilimenti: quello di Portovesme e quello di San Gavino Monreale, nel Campidano.

Alla base della scelta aziendale i costi dell’energia lievitati: dai 50 euro a Megawattora si è passati gli attuali 700, che di fatto mettono fuori mercato le produzioni sarde.

Da qui la richiesta della Glencore, azienda svizzera che controlla la fabbrica nell’Isola, di trovare una soluzione al caro energia; ma anche di sostenere il processo di riconversione verso nuove produzioni, in particolare di accumulatori al litio, visto che il mercato europeo è servito solo da prodotti in arrivo dall’Oriente.

Lo scorso fine gennaio un verbale di accordo era stato sottoscritto da Regione, azienda, Confindustria e sigle sindacali, per scongiurare la fermata degli impianti; garantendo la sospensione di qualsiasi incremento della cassa integrazione per i lavoratori della «Portovesme srl» e, in caso di accordo sui costi dell’energia, della ripresa delle attività.

La vertenza di questi giorni ha le stesse caratteristiche di quella scoppiata oltre un decennio fa sempre nel Sulcis: Alcoa. Anche in quel caso i costi energetici e le sanzioni dell’Unione Europea alla multinazionale americana, che produceva alluminio, ha determinato la chiusura della fabbrica, il licenziamento degli oltre 500 operai diretti e di altrettanti nell’indotto. Solo negli ultimi due anni la fabbrica ha riavviato le produzioni, dopo un accordo sul prezzo dell’energia elettrica e il rilevamento dell’impianto da parte della svizzera Sider Alloys.

Alla notizia della chiusura dello stabilimento è scattata la mobilitazione, con sindacati, sindaci e la Chiesa che hanno chiesto all’azienda di far marcia indietro e al Governo di intervenire.

Per i sindacati occorre che il Governo faccia la sua parte, portando al tavolo i gestori dell’energia nel Paese per trovare un accordo sul prezzo, almeno per i due anni che occorrerebbero per la riconversione dell’impianto. «Un primo elemento – ha detto Fausto Durante, segretario regionale della Cgil – è come garantire un prezzo sostenibile dellenergia, non solo alla Portovesme srl, ma a chiunque voglia fare impresa industriale in Sardegna. Il secondo elemento è rappresentato dal ruolo che il Governo ha nei confronti del principale gestore di energia elettrica nel Paese, Enel, che come ben sappiamo ha un riferimento nell’Esecutivo nazionale. Spero che ci sia la possibilità di far pressione sul gestore affinché venga incontro alle richieste per un prezzo calmierato».

Sulla vertenza le diocesi di Iglesias e di Ales-Terralba hanno manifestato la loro vicinanza. Nel primo caso il cardinale Arrigo Miglio, amministratore apostolico, ha preso posizione. «È importante – ha detto – che si capisca, a tutti i livelli, che i posti di lavoro non sono solo una questione economica, ma di dignità della persona umana. Serve un cambio culturale verso la ricerca del bene comune con il lavoro al centro».

Sulla stessa lunghezza d’onda l’Ufficio di Pastorale sociale e del Lavoro della diocesi di Ales Terralba, nel cui territorio ricade lo stabilimento di San Gavino Monreale. «Ancora una volta – si legge in una nota – il nostro territorio si trova interessato da un grande disagio nel mondo del lavoro». «Da più parti – ricorda don Marco Statzu, direttore dell’Ufficio – diversi segnali sembrerebbero paventare la drastica diminuzione o addirittura la chiusura della linea di trasformazione dei metalli nella sede della Portovesme srl a San Gavino Monreale, la nostra Fonderia”. Ancora una volta oltre 150 famiglie (1300 buste paga, considerando anche lo stabilimento di Portoscuso, tra dipendenti e indotto) temono di vedere andare in fumo lo stipendio mensile, il lavoro di una vita, la stabilità economica e sociale».

«Non è messo a repentaglio soltanto il lavoro dei singoli – conclude la nota – ma la tenuta sociale di un territorio, che già attraversa lunghi decenni di crisi e che rischia di aggravare ulteriormente la situazione, giacché ormai da decenni è venuto a mancare tutto il grande comparto industriale legato al mondo delle miniere e allindustria pesante».

La parola è ora al Ministero (le interlocuzioni sono in corso al momento in cui scriviamo, ndr) che dovrà trovare una soluzione ad una vertenza che da tempo segna il tessuto industriale della Sardegna. La possibilità di realizzare produzioni industriali nell’Isola è vincolata alla disponibilità di costi energetici accettabili: non si possono produrre banane ai poli e ghiaccioli ai tropici. Le industrie energivore hanno necessità di prezzi accettabili dell’energia.

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