La vera letizia di Valentino Vadagnini

La semplice storia di un cappuccino che ha vissuto tutta la sua vita in unità con Chiara. Un protagonista realizzato della storia dei religiosi del Movimento dei Focolari.
Valentino Vadagnini

Valentino, da giovane laureato in diritto canonico e diritto civile (1961), era un insegnante dei Cappuccini a Trento, assieme a Bonaventura e Floriano poco più anziani di lui. L’avventura spirituale della terziaria francescana Silvia Lubich, che prese il nome di Chiara, era già da qualche anno maturata e stava portando frutti ovunque. È in quegli anni che Valentino conosce l’Ideale dell’unità, prima da Bonaventura e poi dalle prime focolarine.

I primi passi 

Ciò che lo colpisce immediatamente fu la presentazione, fatta da Chiara, di Gesù crocifisso e abbandonato, che è anche il punto cardine del suo fondatore san Francesco. 

Nel 1967 fu uno dei 25 religiosi europei di varie Congregazioni che in una località trentina, sul Bondone, diedero vita alla “branca” dei religiosi dell’Opera di Maria. 

Nel 1968 chiese a Chiara una Parola di vita personale, come si userà fare spesso nel Movimento. La risposta non si fece attendere: “Quello che fino ad oggi era per me un guadagno, lo ritengo una perdita a cagione di Cristo” (Fil 3, 7). Per Valentino questa Parola risuonò come una chiamata, una vocazione, un compito, una luce per impostare tutta la sua vita. 

Nel suo diario dell’11 aprile del 1970, scrive: “L’anima è sempre in una pace e gioia profonda. Un anticipo della ‘vera letizia’. E forse mai come in questi giorni mi sono sentito tanto unito a Gesù. E questa sera ho sentito anche, per la prima volta dal di dentro, che questa è una via alla santità. Che Gesù vuol farmi santo. Che mi ha messo nell’anima il desiderio della santità.

E mi pareva di scoprire in modo nuovo il mio rapporto con San Francesco. È una cosa che fino ad ora non ho mai sentito così chiaramente. Non so fino a che punto sia vera. Comunque sta di fatto che è stata la luce dell’Ideale a farmi capire San Francesco. Prima non l’avevo capito se non come una persona da imitare dal di fuori, in maniera piuttosto esteriore… È stata la folgorazione di Gesù Abbandonato nel lontano ’61 che mi ha aperto l’anima di San Francesco, la sua Madonna Povertà e la Perfetta Letizia. Gli ultimi avvenimenti mi hanno fatto scoprire che, in piccolo finché si vuole, questa stessa anima l’avevo dentro anch’io, frutto del lavoro piuttosto energico di Gesù in questi ultimi anni, specie in questi ultimi tre e quest’ultimo. Poi questa sera mi si è chiarita nell’anima una cosa piuttosto grossa, ma che comunque mi par vera. Almeno in me è così. Mi sono scoperto cioè più ‘fratello’ che ‘figlio’ di San Francesco, non generato da lui, ma ambedue generati dalla stessa Madre…

Non so come dire. Una scintilla di fronte al sole, certo, ma la stessa anima. Ho constatato cioè che è stato l’Ideale a mettermi nell’anima quella stessa realtà che era in San Francesco. Per cui ritrovo in me la realtà di Francesco, (il ‘saper perdere’, la Desolata, l’essere Maria = tutte le virtù negative, che altro non sono che ‘povertà’ e, naturalmente, Gesù Abbandonato) sì, ma nello stesso tempo mi trovo tanto distinto da lui, e quindi anche tanto libero di seguire la mia via, non legato ad una imitazione esterna, figlio della libertà come lui.

È la prima volta che mi vengono in rilievo queste cose. Finora non avevo mai pensato al mio rapporto con il fondatore in particolare. L’Ideale mi ha affascinato, l’ho sentito la mia via, constatavo che man mano che penetrava in me mi rendeva fratello di Francesco, ma era una cosa a cui non facevo tanto caso: a me interessava l’Ideale e basta…”. 

Tra i Cappuccini 

Intanto tra i suoi Cappuccini ricevette sempre più ruoli di responsabilità: formatore e responsabile dei chierici, guardiano, provinciale. A causa della sua accoglienza dell’Ideale di Chiara, nacquero delle tensioni tra i frati stessi. La Chiesa stessa stava valutando l’autenticità del nuovo carisma. Come può un religioso che ha già un suo carisma ecclesiale “aderire” ad un altro carisma ancora sotto il vaglio della Chiesa? 

Valentino, con uno dei suoi tipici squarci di cielo, e una mente dilatata su tutta la realtà cappuccina, annota nel suo diario: “È nato in me un paragone curioso e spero non irriverente. Nei confronti della Provincia noi ‘religiosifocolarini’ siamo come Maria nei confronti di Giuseppe dopo la Concezione. Maria aveva una realtà dentro grandiosa e che interessava da vicino anche Giuseppe e tutto il suo destino. Eppure Maria non ha parlato. In un primo momento Giuseppe ha pensato di ripudiarla, logicamente, perché era ‘giusto’: ormai con lei, ora che era incinta, non aveva più nulla a che fare. Solo Dio poteva chiarirgli la realtà che era nata in lei e il disegno su entrambi.

Quando ci rimproverano di aver abbandonato il francescanesimo, intuiscono una realtà, perché l’Ideale è una nuova vocazione che va al di là della vocazione francescana. Ed è logico, ‘giusto’ il loro atteggiamento di ripudio: sentono che il carisma francescano viene da Dio e che va conservato nella sua genuinità, senza essere tradito.

Lo Spirito Santo, sposandosi Maria non ha annullato la vocazione di Giuseppe, ma l’ha completata e sublimata… Anche nell’Ideale noi sentiamo che la vocazione francescana, come qualunque altra vocazione, viene realizzata nelle sue immense potenzialità dal carisma dell’unità. Solo che questa cosa non possiamo essere noi a spiegarla… Il nostro compito è essere Maria anche in questo momento della nostra vita”. 

Dopo qualche tempo, Valentino potrà scrivere a Chiara: “Nella Provincia il clima si è rasserenato tanto: tutti ci stimano veramente, sinceramente, nonostante noi! Molti religiosi che un giorno erano uniti all’Opera ora non lo sono più esternamente (siamo rimasti in quattro) ma siamo uniti sul piano della vita. Anche questo sentiamo che in fondo è una grazia, perché ci costringe ad avere tra noi un rapporto sul piano soprannaturale. Il nostro rapporto con l’Opera non è contestato, ma al contrario è ammesso come pacifico per chi lo desidera…”. 

Uno dei suoi primi saluti da provinciale, Valentino lo indirizzò a tutti i frati, in vista del 750° anniversario della morte di san Francesco: “Il compito più urgente che abbiamo ora, a parer mio, nei confronti della Fraternità Provinciale è di superare definitivamente ogni contrapposizione, ogni rimasuglio di divisione, perché un regno diviso in se stesso va in rovina. Per far questo è necessario non giudicare… non guardare alla pagliuzza dell’occhio del fratello… Occorre pazienza, benignità, bontà, longanimità che sono frutti dello Spirito e producono carità, pace, gaudio… Occorre superare ogni prepotenza, ogni pretesa, ogni durezza. Solo così si diventerà operatori di pace e la Provincia avrà il suo vero Natale: una nuova presenza di Cristo fra noi”. 

Con i religiosi nella Chiesa 

È difficile dire a parole quello che fu Valentino per tanti religiosi di tante Congregazioni, perché aveva amore per tutte le Famiglie religiose maschili e femminili. Molti giovani religiosi furono suoi discepoli di scuola o da lui aiutati nei difficili tempi della contestazione. 

Non si risparmiò mai, quando si trattava di seminare e coltivare il seme dell’unità nei cuori dei religiosi con incontri personali e per molti anni di gruppo. Lo fece con profonda armonia e sapienza nella Chiesa e per la Chiesa. 

Dice di lui Simpliciano, frate bellunese: “Valentino era un capocordata, una guida sicura, semplice e solida. Sapeva dialogare e condurre per mano ciascuno. Era insieme un papà bravo e forte e una mamma accogliente e dolce. Era un maestro autorevole e un fratello vicino. Con molti religiosi del Veneto, data la distanza, coltivava relazioni epistolari.

Per i giovani religiosi aveva una speciale attenzione: si può dire che i Gen-Re sono nati da lui. Oltre agli incontri lungo l’anno preparava con cura le scuolette estive di 15 giorni, in cui tutti eravamo coinvolti. Giorni stupendi, indimenticabili, di piena immersione nell’ideale dell’unità (Rio di Punteria, Enego, Susà di Pergine, Bondone, Fiera di Primiero…)

Aveva preparato per ogni nucleo di religiosi un malloppo di fotocopie per tutti i temi del-l’Ideale: una vera miniera di conoscenze e di formazione. Ci ripeteva con forza che dovevamo fare i ‘salti mortali’ per l’Ideale, gli incontri tra noi, ma con altrettanta grinta ci suggeriva come dare il meglio di sé nella vita quotidiana fratesca, che lui chiamava ‘in trincea’”. 

Per capire la sua stoffa di formatore, ecco un altro esempio nella sua risposta a Vittorio, un cappuccino di Venezia che gli manifestava le sue perplessità: “I tuoi fratelli di Ideale, quelli che vivono con te in comunità, amali, ma segui Dio. E non attenderti dall’unità con loro altro che Gesù Abbandonato: non importa che volto abbia! Può essere l’incomprensione, può essere il non capire, sia da parte tua, sia da parte loro: non importa! Siete come tanti legni che Dio ha messo in croce per accendervi sotto il fuoco: è naturale che il fuoco vi bruci!… Ma ricordati che il tuo ‘focolare’ non è altri che il Convento: un focolare che non ti sei scelto tu, ma ti ha dato Dio. Un focolare che è ‘Opera di Dio’, quindi ‘Opera di Maria’. E che sarete uniti tra voi nella proporzione in cui voi siete uniti ‘nel Superiore’ che è il tuo ‘capofocolare’ datoti da Dio. E che è così che sei anche unito veramente a Chiara…”. 

A servizio dell’Opera 

Alla fine del sessennio di servizio come provinciale Valentino scrisse a Chiara, sintetizzando la sua esperienza: “Ho terminato i miei sei anni di ‘provincialato’ e ora mi trovo con Padre Novo. In giugno dovrò partecipare al Capitolo Generale. L’esperienza che ho fatto in questi anni è stata molto forte, molto bella e, per certi aspetti, anche molto dura. Quello che sentivo di dover fare, era vedere Gesù in ciascuno, amarlo così com’era, cercando di evidenziare e sviluppare quanto di positivo riscontravo in loro.

Da questo è emerso anche il programma da portare avanti a livello Provinciale. Naturalmente non sempre e non in tutto ci sono riuscito, ma mi pare che i frati si sono sentiti amati e nella generalità è nato con loro un rapporto molto bello. La cosa che mi ha impressionato di più è stato il constatare quanto in fondo ognuno ama Dio e quanta onestà e bontà d’animo c’è in ciascuno. Mi sono reso conto di quanto Dio li deve amare.

Ora però il passato l’ho affidato alla misericordia di Dio, perché ho tante cose da farmi perdonare e lo vedo ormai tanto lontano. Sento forte l’urgenza di riprendere il ‘santo viaggio’ ex-novo e con animo rinnovato. Sento che il mio unico Ideale deve essere Dio verso il quale sono incamminato e che devo porre la mia dimora solo in Gesù Abbandonato. Spero che Maria mi conceda di essere veramente quel nulla che irradia solo l’amore scambievole e la presenza di Gesù Risorto fra noi…”. 

Siamo nel 1988 quando Valentino venne “donato” dalla Provincia Cappuccina all’Opera di Maria nella branca dei religiosi. In ottobre, con il permesso dei superiori, Valentino traslocava a Castel Gandolfo, al Centro dei religiosi, con sua grande gioia. In quella occasione scrisse a Chiara chiedendo, se riteneva opportuno, un nome nuovo (come era in uso anche nella tradizione francescana). La risposta arrivò subito. Chiara gli suggeriva di aggiungere al suo nome Valentino l’espressione “di Gesù Abbandonato”, come per sottolineare la sua scelta totalitaria ed esclusiva. 

In seguito il provinciale dichiarerà: “Quella di Valentino fu una preziosa attività con i religiosi. Devo dire che di questo suo apostolato ci parlava spesso con gioia ed entusiasmo; non vedeva nessun ostacolo, non misurava nessuna fatica”. 

Essendo vicino al Centro dell’Opera di Maria, dove si svolgono tutti gli incontri internazionali del Movimento e vicino a Chiara, aumentò anche la sua familiarità con lei. Un giorno le scrive: “Carissima Chiara, sei proprio una mamma! Stando con te ieri ho avuto la netta sensazione che tutto il passato veniva annullato, ma con una soavità tale che, mi veniva da pensare, se questa è la morte, è la cosa più bella che esista al mondo. Perché in realtà eravamo tutti una creatura nuova, secondo quel disegno di Dio che c’è sull’Opera per la Chiesa… Mi veniva chiaro che il nostro compito è di compiere uno dopo l’altro quei piccoli passi che tu, come mamma, ci indichi perché Gesù fra noi possa crescere e svilupparsi. Una cosa sento fortissima nell’anima. È nell’amore reciproco fra noi che dobbiamo crescere ora… Il mio rapporto con Novo è tanto bello. Mi sento capito da lui e vedrò di vivere sempre a lui unitissimo…”. 

Verso il Mozambico 

Improvvisamente però la situazione dei Cappuccini in Mozambico precipitò. La lunga guerra civile fece le sue vittime anche tra le file dei missionari: Saverio, Oreste, Francesco, Dario. Se non ci fossero subito degli aiuti, i Cappuccini si vedrebbero costretti a rimandare nei loro villaggi tutti i giovani candidati alla vita religiosa. 

Nell’estate del ’91 Valentino e Bonaventura passarono per Trento per avere notizie più precise e venne chiesto loro di andare in Mozambico e dare una mano. Scrive Valentino: “Per me è come se fossi stato messo al muro del-l’Eterno Padre. Non mi restava che dichiarare la mia disponibilità. Così ha fatto anche Bonaventura. Ho affidato tutto ai miei confratelli che erano stati uccisi e che ora sono nella Mariapoli Celeste. Per me è stato un colpo forte e inaspettato. Ho cercato di vivere bene il presente e mi sono ricordato della mia Parola di vita: ‘Quello che finora era per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a cagione di Cristo’”. 

Il 31 agosto ricevette la comunicazione del suo trasferimento a Maputo in Mozambico, per la formazione dei nuovi candidati africani alla vita religiosa. Prese un foglio e scrisse a Chiara questa sua nuova volontà di Dio. 

La risposta arrivò subito dopo: “Carissimo Padre Valentino, ecco che la volontà di Dio la porta lontano dal Centro, cambiando in un attimo piani e programmi. Insieme a lei abbiamo subito aderito a questa nuova disposizione dei Superiori, con la certezza che è l’amore di Dio che l’attende in Mozambico, anche se, le assicuro, è stata una grossa perdita. Ora che cosa vuole Dio da lei nei confronti dell’Opera?… Forse vuole che influisca perché l’Ideale entri ancor più nel suo ordine. Forse… vedremo. In ogni modo tutto è opera di Maria. E lei rimarrà sempre con noi lodando i piani di Dio che si manifesteranno comunque meravigliosi. Le rimango unitissima in Gesù. Chiara”. 

Arrivato in Mozambico, Valentino passò due settimane in Zambesia, per poi recarsi a Maputo. Forse per il cambiamento di clima prese un’otite acuta che lo rese quasi del tutto sordo, privandolo dell’unico mezzo che aveva scelto per comunicare con gli altri: ascoltare e imparare la lingua. Per meditazione lesse Monfort e offrì tutto a Maria. 

Valentino trovò che la situazione dei Cappuccini non era poi così tragica e che, come incaricato degli studenti, avevano già nominato un confratello di Bari. Così lui rimase libero di dedicarsi ai religiosi dell’Opera anche in Africa. Con grande entusiasmo incontrò i religiosi di Johannesburg, partecipò alla scuola del Camerun e di Nairobi. Anzi, nel mese di maggio 1992 potrà essere a Nairobi per l’arrivo di Chiara e per ricevere un incarico nella “scuola di inculturazione”. 

In questo periodo, però, si manifestò il male che lo porterà nel 1993 in Italia per l’intervento chirurgico e per trascorrere i successivi mesi di degenza in ospedale a Bussolengo (VR), assistito oltre che dal medico oncologo, anche dalla comunità dei focolarini della zona. Si spegne nel mese di agosto del ’94, a soli 57 anni. 

Quella notte del ’43 

C’è una lettera che rispecchia la sua anima limpida, evangelica, da vera letizia. Scritta ancora il giorno dell’Immacolata del 1963: “Carissima sorella Chiara, mancano poche ore alla mezzanotte e vogliamo passarle in unità con te, per ringraziare assieme il Signore. Domani celebrerò la Santa Messa per te, perché il Signore ti dia tutto quello che desideri. Io lo ricordo bene il giorno dell’Immacolata del ’43, perché era la prima festa della Madonna che passavo lontano dai miei nel Seminario Serafico dei Cappuccini. Ricordo che pregavo tanto la Madonna e pregavo il rosario e le chiedevo di farmi santo e di morire martire. Naturalmente, bambino di 12 anni, non sapevo quel chiedevo.

Certo ero lontano da immaginare che in quella notte, nel nostro stesso collegio, stava accadendo qualcosa che avrebbe cambiato il mondo e che avrebbe deciso anche della mia vocazione! Sì, la mia vocazione: l’ha resa chiara Gesù Abbandonato. Anche quando resistevo all’Ideale e vagavo nel buio alla ricerca di come vivere la mia vita di sacerdote e figlio di San Francesco…

Ma non avrei mai immaginato di scoprire un tale tesoro! Non avrei mai immaginato che si sarebbe realizzata alla lettera a mio riguardo il fatto evangelico di chi, avendo trovato la perla preziosa, vende gioiosamente tutto quello che ha per comperarla!

L’Ideale per me è stato il colpo di fulmine: ricordo ancora quali abissi mi si sono aperti quando le tue parole, lettemi da P. Bonaventura, mi hanno portato alla scoperta di Gesù Abbandonato. E quale impressione ha fatto in me il vedere per la prima volta in vita mia il vangelo vissuto in Palmira [una delle prime focolarine]: ‘Se non diventerete come bambini…’

Da quel giorno per me Palmira è stata come la mia madre, anche se allora non mi rendevo conto che era Maria che avevo incontrato e che mi ha dato la vita.

Grandi cose ha operato in me il Signore!

Che cosa grande pensare che anche a noi si possono applicare queste parole pronunciate dalla Madre di Dio!”. 

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