La Turchia attacca i curdi, nuova emergenza in Siria

Sono cominciate le operazioni militari nel nord della Siria nei confronti della popolazione che più ha combattutto i terroristi, dopo che Trump, nonostante i distinguo susseguenti, nei fatti ha lasciato campo libero al grande sogno del presidente turco Erdogan: una “safe zone” in funzione anti-curda profonda 30 chilometri e lunga 450. In territorio siriano, ovviamente. I ricatti nei confronti dell'Europa

Il presidente turco Erdogan ci è riuscito. È dal 2015 che minaccia di invadere i territori curdi in Siria e stavolta lo ha fatto. Nel 2016 ne ha preso un pezzetto, poi un altro lo scorso anno. Se potesse si prenderebbe tutta la Siria, gli farebbe comodo per diversi motivi, ma sa che non può farlo senza l’appoggio di qualche superpotenza.

Il presidente russo Putin è scaltro: concede qualche spazio a Erdogan, ma su cose come questa non prende posizione, all’occorrenza si gira dall’altra parte, anche perché i curdi sostenuti dagli Usa sembra che non li abbia mai digeriti. È più facile con Trump, che non vede l’ora di ritirare i soldati americani dalla Siria.

E così il presidente americano ha ritirato il centinaio di soldati Usa dalla regione per lasciare mano libera ai turchi. Pressato, poi, dalla contrarietà dei vertici dell’esercito statunitense e addirittura da quella di vari parlamentari repubblicani, alla fine il 7 ottobre Trump ha twittato una frase il cui tono non ha bisogno di commenti: «Come ho già detto in precedenza, giusto per ribadirlo, se la Turchia fa qualcosa che io, nella mia grande e ineguagliabile saggezza (in my great and unmatched wisdom), considero oltre i limiti, distruggerò completamente e annienterò l’economia della Turchia, come ho già fatto in passato».

I curdi siriani sono circa un milione e vivono per lo più nel nordest della Siria, da sempre. Rappresentano circa il 4% dei curdi (gli altri vivono in Turchia, Iraq e Iran). Secondo il presidente turco il governo regionale dei curdi siriani è “colpevole” di contatti molto stretti con i curdi turchi e soprattutto con il Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan, che in Turchia è fuori legge. Erdogan considera terroristi tutti i curdi (non solo quelli siriani, ma a quelli iracheni ci penserà in seguito), una minaccia per lo Stato turco. L’insistente richiesta di Erdogan è quella di costituire una cosiddetta safe-zone in terra curda sotto controllo turco e con l’avallo Usa. Una fascia di sicurezza zone profonda circa 30 chilometri e lunga almeno 450. Se poi in questa zona di sicurezza ci sono numerose città curde non è un problema per lui. Afrin e al-Bab sono già in mano turca, e così si prenderebbe anche Derik, Qamishli, Ras al-Ayn, Tel Abyad e Kobane (la città del piccolo Alan Kurdi).

Il presidente turco Erdogan.
Il presidente turco Erdogan.

Cosa faranno poi i turchi in questa fascia di sicurezza non è difficile da prevedere, perché l’hanno già fatto ad Afrin: neutralizzeranno «i terroristi», che nel linguaggio di Erdogan non significa solo arrestarli, e questi terroristi sono potenzialmente tutti i curdi (donne, uomini, ragazzi, anziani, ecc.). La fascia di sicurezza, inoltre, consentirà a Erdogan di “deportare” (non è una parola troppo forte) qui un po’ di profughi siriani che gli stanno scomodi. Quanti? Un milione, forse due. In fondo sono siriani, e quindi secondo Erdogan si tratta di un semplice rimpatrio. Tanto più che l’Europa in questi anni non ha pagato abbastanza per il loro controllo (6 miliardi di euro), secondo lui.

Così dei 3,6 milioni di rifugiati siriani, più di metà li riporta in Siria, altrimenti dovrebbe lasciarli liberi di invadere l’Europa attraverso i Balcani (minaccia di farlo se l’Ue si opponesse alla creazione della fascia di sicurezza). In più, un paio di milioni di siriani arabi potrebbero col tempo “diluire” la presenza curda, una specie di pulizia etnica soft. La presenza dei rifugiati siriani in Turchia, fra l’altro, sarebbe la causa principale delle recenti sconfitte elettorali del partito di Erdogan (Akp) nelle elezioni amministrative di Istanbul e Ankara. Non ultimo, nella fascia di sicurezza non mancano le risorse petrolifere, che fanno sempre comodo.

Nell’azione di Erdogan non va sottovalutata, infine, una pretesa di “liberazione”, che si può individuare citando una affermazione emblematica fatta da Erdogan il 17 febbraio 2018 al Congresso provinciale dell’Akp: «Quelli che pensano di aver cancellato dal nostro cuore le terre da cui cento anni fa ci siamo ritirati in lacrime sono in errore. In ogni occasione diciamo che la Siria, l’Iraq e altri luoghi sulla mappa dei nostri cuori non sono diversi dalla nostra patria. Ovunque si ascolti la chiamata alla preghiera, lottiamo perché una bandiera straniera non venga brandita. Le cose che abbiamo fatto finora non sono nulla in confronto agli attacchi ancora più grandi che stiamo pianificando nei prossimi giorni. Dio lo vuole».

Non importa che i curdi non siano d’accordo, che si difenderanno come leoni, che si sentano e siano di fatto traditi dagli Usa che li hanno armati e sostenuti finché tornava comodo (le Ypg curde, come membri delle Forze siriane democratiche, hanno sconfitto sul terreno il Daesh, mai dimenticarlo). Non importa che nelle carceri curde ci siano migliaia di ex combattenti del sedicente Stato islamico e di foreing fighter, combattenti stranieri, che nel caos dell’occupazione turca potrebbero facilmente evadere. A Erdogan e Trump non importa neppure cosa ne pensino i siriani di tutta questa manovra.

 

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