La “Trattativa” Stato-mafia vista da Sabina Guzzanti

La regista ha il merito di non voler lasciare inascoltate le domande che la gente si pone sul reale contatto delle istituzioni con la rete mafiosa. Il film ha tuttavia la pecca di voler vedere il male tutto solo da una parte
Il cast del film la Tattativa di Sabina Guzzanti

Qualcuno si può essere chiesto perché parliamo con un certo ritardo del film-inchiesta di Sabina Guzzanti “La trattativa”, dedicato al rapporto Stato-mafia dagli anni novanta in poi. Diminuite un po’ le polemiche che  accompagnano la Guzzanti – che riesce comunque ad essere ogni anno a Venezia (!) – si può con mente più tranquilla dire che il docufilm della regista-attrice ha dalla sua il merito di non voler lasciare inascoltate le domande che la gente si pone sul reale contatto delle istituzioni con la rete mafiosa, come hanno svelato le indagini – che la Guzzanti assicura, nel suo caso, essere molto precise – e i “pentiti”.

Impostato come una inchiesta teatrale con un gruppo di attori che si alterna a documenti filmati, il lavoro della regista vede passare in rassegna personaggi arcinoti, da Falcone e Borsellino a Napolitano, Caselli, Mancino puntando l’obiettivo in modo particolare sull’asse Berlusconi-Dell’Utri. È su questo punto, a mio parere, che  l film presenta la sua visuale ideologica, dato che si tratta di una insistenza ripetuta da anni secondo uno schema consolidato e ripresentato, in modo diverso, ma puntuale (vedi il film Belluscones), al Festival del cinema di Venezia.

Chi scrive non è certo di simpatie destrorse, tuttavia viene da chiedersi il motivo di tanta insistenza che non riguarda tuttavia, allo stesso modo, persone dell'area di “sinistra”. Anche se il film finisce – meno male – con la figura di padre Puglisi e il suo sorriso di morente all’assassino (è la parte più bella e vera forse) -, il lavoro della Guzzanti  pare rimanere legato ad un certo schema mentale che vede il male tutto o quasi da una sola parte. 

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