La trascuratezza archeologica

I siti storici non hanno una grande protezione nei Paesi mediorientali, a causa delle esigenze dei costruttori e dello scarso interesse dei governi per i resti di antiche civiltà, soprattutto per quelli dell'impero romano.
Palmyra Siria

È nota la trascuratezza dei siti archeologici di tanta parte della regione mediorientale. Anche quelli protetti nella lista dei luoghi patrimonio dell’umanità dell’Unesco spesso e volentieri non godono della protezione che necessiterebbe a siti particolarmente importanti per la storia dell’uomo. Non sono solo le guerre a mettere in pericolo i reperti che testimoniano la presenza di antiche civiltà in diversi Paesi del Medio Oriente, come è accaduto troppe volte in Iraq, in Siria e in Libia, ma spesso e volentieri la minaccia viene dagli imprenditori edili che trovano il modo di convincere i governanti che tante vecchie pietre non hanno nulla di interessante per una comunità rispetto alla crescita come funghi di alti palazzoni a prezzi milionari.

Sono sotto gli occhi di tutti le rovine profanate di città come Leptis Magna in Libia, come la Piana di Ninive in Iraq, o ancora come Palmyra in Siria. Atti deliberati di guerra che hanno rischiato di distruggere i resti di città che, nell’antichità, erano state tra le più importanti della regione. Ma non è la guerra la principale minaccia. In particolare sono sotto attacco le tante rovine romane sparse attorno al Mediterraneo, non solo in Paesi in conflitto. Penso alla trascuratezza estrema che vige in siti come Nikopolis in Grecia, o al centro di Beirut, in cui la maggior parte dei cantieri aperti per il rifacimento del centro della città dopo le guerre dell’ultimo quarto del secolo scorso, sono stati portati avanti nonostante quasi sempre apparissero negli scavi dei reperti archeologici di epoca sostanzialmente romana, ma anche della precedente civiltà fenicia.

Le autorità chiudono gli occhi, o per trascuratezza o per corruzione. Fa sperare una decisione del Consiglio di Stato libanese che ha bloccato l’esecuzione di due decisioni del ministro della Cultura uscente (il Libano non ha ancora un governo dopo le elezioni di maggio), Ghattas Khoury, per lavori eseguiti nel quartiere di Bachoura. Khoury aveva autorizzato lo scorso marzo una società di proprietà pubblica, Alia & Co, a smantellare e portare altrove gli scavi scoperti su un appezzamento di terreno: un lunga muraglia e una necropoli romana risalenti al primo secolo dell’era cristiana. Scoperte fatte nello scavo delle fondazioni per un vasto complesso immobiliare.

L’accusa è di abuso di potere, avanzata dall’Associazione per la conservazione del patrimonio libanese contro il ministro della Cultura che avrebbe dato il suo consenso allo smantellamento dei resti pur non avendone la facoltà. La legge afferma in effetti che «durante e dopo gli scavi, i resti possono essere smantellati solo in virtù di una decisione preliminare della Direzione generale delle antichità, sulla base di un rapporto documentato di esperti che mostrano la natura delle scoperte e la loro importanza». Secondo la legge, «quando le scoperte sono di grande importanza, la decisione sul loro destino spetta al ministro della Cultura, su proposta del Direttore generale delle antichità». Ora, è quest’ultima relazione quella che manca.

Non si sa come andrà a finire la questione di Bechoura. Probabilmente si troverà un escamotage per procedere allo smantellamento. La questione di fondo rimane: l’Unesco non basta più a proteggere il patrimonio dell’umanità di fronte al capitalismo galoppante. Servirebbe una piattaforma internazionale per la protezione della nostra storia.

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