La tomba azzurra

Trevignano. Dalla chiesa parrocchiale dell’Assunta, abbellita da affreschi di scuola raffaellesca, la vista è imprendibile verso le acque del lago di Bracciano dalle apparenze pacifiche, ma in realtà infide, per la natura vulcanica dell’invaso. Un aereo precipitato nel suo ventre non è mai più stato rintracciato sui fondali scoscesi. Inghiottito, scomparso. Così come centinaia di bagnanti nei decenni. Quarant’anni fa, proprio qui concluse la sua vita terrena un giovane uomo bresciano, trentatreenne rampollo della nota famiglia dei Folonari, quelli del vino: Era bello, alto, innamorato, come lo ricorda oggi una donna ora matura, allora adolescente attenta alla bellezza. Innamorato della vita, certo, dell’infanzia e della purezza, avido di perfezione, appassionato di musica e d’arte, della profondità dell’animo umano, della immediatezza della relazione. Soprattutto, innamorato di Dio e di nessunissima altra cosa, come soleva ripetere agli amici. Vincenzo l’innamorato; e perciò anche l’inquieto, come può esserlo chi gioisce nella presenza dell’amato e trepida per la sua assenza. Aveva doti a iosa, il giovane Vincenzo, non ultima quella di coltivare nel fondo del suo animo il segreto dell’eterna fanciullezza. Per questo sapeva stare coi bambini e con gli adolescenti, e anche coi giovani. Sì, proprio stare, anche senza far nulla, senza applicare raffinate arti peda gogiche o avanzate tecniche educative. La sua era una presenza che attirava per il suo stesso essere: lo si ricorda perciò sempre attorniato di bambini e adolescenti negli incontri estivi dei Focolari sulle Dolomiti. Mi passa sotto gli occhi, ad esempio, una sua foto ripresa dinanzi alla Pieve di Primiero, mentre tiene per le mani a destra un adolescente e a sinistra un bambino, in un gioco di sguardi che racconta la vera pedagogia: attesa, scoperta, ricerca. E sere nità e gioia. Quelle che vengono dalla certezza di un amore più grande. Ricordano di una gita, di un ragazzino che non voleva avanzare alla prima difficoltà dell’ascesa. Vincenzo si fermò, gli si avvicinò, lo rassicurò: sì, era possibile tornare indietro. Però, che peccato non raggiungere la mèta, non apprezzare la bellezza della vetta… Sarebbe bastato cadenzare il passo, così, con regolarità. E le sue lunghe gambe, avvolte negli immancabili pantaloni di velluto a coste, presero ad avanzare a piccoli passi, imitati dal bambino affaticato, orma nell’orma. Passi quasi ridicoli, se non fosse per il fatto che racchiudevano il segreto della trasmissione del sapere e della vita: l’amore che insegna. Sulla sua vita sono stati scritti libri ed opuscoli, a cominciare da un volumetto scritto in punta di penna e coll’affanno nel cuore da Igino Giordani (1), all’indomani della scomparsa inattesa, quasi sgomento esistenziale, del giovane Folonari, chiamato familiarmente Eletto. Cosa dicono tali pagine? Che quel giovane uomo veniva da una delle famiglie più note di Brescia, imparentata col futuro papa Montini; che la sua infanzia era stata avvolta di serenità e rigore, ricca di spunti d’arte e cultura, di sport e di lavoro, in una nidiata di otto fratelli e sorelle per la gioia di papà Luigi e mamma Speranza; che aveva conosciuto il focolare assieme alle sorelle Giulia e Camilla rimanendone affascinato, o addirittura abbagliato; che perciò aveva voluto trasferirsi in quel di Roma per poterlo frequentare; che aveva studiato chimica, per poi dirottare sulle più confacenti filosofia e teologia; che aveva donato al movimento gli 80 ettari di terreno in località Loppiano, a Incisa Valdarno, dove nacque in seguito la prima cittadella dei Focolari; che aveva pre corso i tempi della nascita della realtà giovanile in quel dinamico movimento in forte espansione; che aveva lavorato nella casa editrice Città Nuova; che il 12 luglio 1964 aveva intrapreso una gita in barca sul lago di Bracciano, calandosi in acqua per un bagno ristoratore… Se ne riparla ora, in occasione del 40° anniversario della sua scomparsa, a Trevignano. Mons. Carmelo Benedetti era parroco in quel 12 luglio 1964, e lo è anche oggi. Ricorda come fosse ieri l’incontro con Vincenzo e l’adolescente che lo accompagnava nella fatale gita domenicale. E poi la messa dell’addio, funerale senza salma, di fronte all’immensa tomba del lago. Una chiesa piena, allora, come ancor più stipata appare quest’oggi, affollata all’interno e sul sagrato da seisette ottocento persone. Giovani erano i presenti nel luglio 1964 dopo che, in una settimana di sgomento e di sospensione, i migliori sommozzatori avevano cercato il suo corpo, invano; giovani e giovanissimi sono quelli di oggi, a far corona alle teste bianche e brizzolate dei ragazzi e delle ragazze d’allora. E da questa scena di comunione tra diverse età emerge fatalmente il segreto del testimone passato da generazione in generazione in quel popolo nato dal Vangelo che è il Movimento dei focolari. Vincenzo quel testimone lo aveva trasmesso per primo, o tra i primi, assieme alla sorella Camilla, consentendo così a Chiara Lubich di intuire cosa fare con quei ragazzi e quei bambini che si aggregavano spontaneamente attorno ad ogni focolare. Nel suo messaggio per la giornata, la stessa Chiara lo ricorda: A Eletto si deve soprattutto la nascita del movimento giovanile. Lo possono testimoniare gli exragazzi di allora, a cui egli si è sempre dedicato con un amore tutto speciale, mettendo in evidenza nell’Opera la realtà, la vitalità e l’importanza della formazione delle nuove generazioni. Trevignano ha rivissuto così il giorno della scomparsa di Vincenzo Folonari con la serenità ormai acquisita di un’opera compiuta, di una certezza. Ricorda il giovane che lo accompagnava in barca, nel momento della tragedia, Gabriele Bighignoli: Quella giornata era cominciata con un atto d’amore di Eletto, che aveva voluto portarmi in gita, recente orfano di madre com’ero. E si era conclusa con un altro suo atto d’amore, quando, vistosi ormai perso nei gorghi gelidi del lago e vedendo la mia totale imperizia nel governare la barca, mi aveva rassicurato, incitandomi a cercare di riguadagnare la riva, mentre lui sosteneva di essere già avviato verso la spiaggia da cui eravamo partiti. Mentre sapeva già di aver perso la battaglia coi flutti. Giulia, Lisa, Bruna, Marco e Paolo i fratelli Folonari presenti con figli e nipoti, di sangue e spirituali sottolineano i tratti del suo carattere, ri percorrono gustosi episodi d’infanzia (il miele prodotto artigianalmente da Vincenzo usando, per proteggersi, la maschera da scherma del padre), aspirazioni profonde (la sete di perfezione che sempre manifestava), profezie impensabili (vorrei morire a 33 anni, come Gesù, confidò più volte)… Scrive per l’occasione anche il vescovo di Brescia, e messaggi arrivano da lontano e da vicino. Così è della scia di luce del giovane uomo, bello, alto e innamorato, passato da quest’acqua azzurra a questo cielo altrettanto azzurro. Un giorno Vincenzo aveva suggerito ad un piccolo amico: Ogni volta che un aereo in cielo lascia una scia luminosa, pensa a me, e prega per me. In questo 12 luglio 2004, un minuto dopo mezzogiorno, mentre la stele che lo ricorda viene benedetta sul sagrato della chiesa parrocchiale col prezioso sfondo del lago, un aereo sorvola i presenti accalcati nel breve spazio disponibile; la sua scia è luminosa come poche. UN VOLTO LIETO Amo pensare a Vincenzo come ad uno dei frutti della Chiesa bresciana che il Signore mi ha affidato. È una chiesa caratterizzata da una singolare presenza di laici che hanno inciso nella chiesa e nella società. Laici animati da una grande spiritualità, provenienti da famiglie cristiane autentiche, dove anche il benessere era motivo di solidarietà, condivisione, generosità… Si può dire a ragione che la sua morte prematura sia stata quasi una immolazione, un sacrificio che ha contribuito a far crescere la pianta del movimento. Una pianta che continua a dare frutti e nella quale la chiesa confida per un’opera grande: ridare all’Europa un’anima cristiana e al mondo uno spirito di unità, fraternità e pace. Questo carisma del Movimento dei focolari ben sembra risplendere sul volto giovane di Vincenzo, sorridente e lieto, capace di amare Dio e i fratelli con totalità. Mons. Giulio Sanguineti vescovo di Brescia

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