La tentazione di Montezemolo

Le opposizioni in stato di precarietà. Gli elettori indecisi sono al 40 per cento. Così il manager potrebbe entrare in politica.
Luca Montezemolo

Un pur breve compendio dell’attualità politica obbliga a guardare in tante direzioni: al flusso immigratorio che continua senza sosta, in un quadro di perdurante instabilità dei Paesi del Nord Africa (e non solo); all’Europa che parla quasi ad una sola voce ma nel senso che si sente solo quella del Paese più forte, senza perseguire obiettivi comuni; ai lavoratori precari che manifestano in piazza per chiedere di essere ascoltati; alle imprese che, per bocca della loro presidente Marcegaglia, si dichiarano «più sole che mai»; ai dati Istat sulla disoccupazione che registrano un balzo in avanti… e si potrebbe continuare.

 

Il governo naturalmente cerca di fare la propria parte, ma la critica che gli viene mossa, di occuparsi troppo di giustizia invece che del resto, è condivisibile e, in fondo, ne focalizza la debolezza. La maggioranza parlamentare, quella dei numeri, si dimostra compatta anche nei momenti difficili, ma su altri tavoli la partita che la coalizione di governo gioca è decisamente più complessa (e l’affaire Geronzi, presidente in uscita di Generali, lo dimostra). Pertanto si respira continuamente un’aria di precarietà, di incompiutezza, fino alla sensazione di stallo, che rende altamente attendibile la tesi in base alla quale il governo tiene solo perché manca un’alternativa.

E in effetti lo stato di salute delle opposizioni non è brillante, strette come sono tra la frustrazione dei lavori parlamentari, dove continuano a subire le scelte della maggioranza senza poter davvero incidere, e la tentazione (almeno per alcune) della piazza continua. Certo, con la nascita di Fli la consistenza numerica si è accresciuta, ma a prezzo di una ulteriore frammentazione. Tant’è che al momento non si intravedono né un progetto organico, né una coalizione credibile, alternativi all’alleanza Pdl-Lega.

Le due competizioni elettorali alle porte, amministrative (maggio) e referendum (giugno), possono servire a misurare l’efficacia delle opposizioni e a verificare la bontà dei sondaggi più recenti, che ne registrano un certo recupero. Tuttavia, i sondaggi non possono tranquillizzare nessuno, perché ormai è diventato stabile un dato che da solo rende instabili tutti gli altri: la percentuale relativa agli indecisi, ormai attestata al 40 per cento.

 

È un numero che non può lasciare indifferenti. E se la capacità di attrazione dei partiti attuali, vecchi e nuovi, nei confronti di questi elettori appare debole, se si considerano le ipotesi di alleanza, cresce il rischio che il dato si consolidi in astensionismo: i partiti di opposizione infatti, pur teoricamente vincenti nella somma aritmetica, non offrono sufficienti garanzie per l’azione di governo in coalizione. Le esperienze dei governi di centrosinistra hanno lasciato troppo sotto choc gli italiani, per poter riproporre un coacervo di partiti e gruppi alleati “contro”, ma incompatibili “per”. Tanto più che i volti da proporre sarebbero in gran parte ancora gli stessi.

Al bisogno di innovare e di voltar pagina sembra voglia quindi pensare Luca Cordero di Montezemolo, di cui si dà per certo l’ingresso in politica. È il “papa straniero”, come viene definita l’ipotesi di un candidato leader per l’opposizione, che non sia espressione dei vecchi quadri dirigenti dei partiti? Non si direbbe. Montezemolo non si propone individualmente, anzi sta organizzando una rete civica che porti ad una lista autonoma dai partiti, riproducendo su scala nazionale quella che è ormai diventata una formula ordinaria di candidatura a livello comunale, provinciale e persino regionale. Una lista civica alle politiche, dunque.

 

Che significato ha? Montezemolo punta a quella parte del Paese più tradizionalmente ancorata ai valori del merito e della legalità, il cui senso civico e delle istituzioni è sufficientemente robusto da far mantenere uno stile di vita integro sul lavoro e persino sulle tasse, ancora disposta a fare sacrifici per il bene comune, e quindi con un senso di appartenenza nazionale vivo (e non escludente). La stessa area già contesa da Fini, Bersani, Casini, e che non di rado vota Pdl ma si trova a disagio per l’eccesso di populismo che si nutre della “pancia” del Paese, mettendo a rischio le istituzioni.

 

E forse il tentativo di una lista che mira a coinvolgere persone nuove e integre, saltando i sistemi capillari di potere partitico che fanno scudo al loro impegno, può costituire una chance anche per l’elettorato deluso o indeciso. Speriamo che ciò interroghi i partiti e li aiuti a ritrovare la loro genuina vocazione.

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