La tecnologia raccontata dal cinema

La scienza applicata non è il male, è solo capace, se usata male, di infettare le ferite che ci portiamo dentro da sempre. Adoperiamola per esaltare i rapporti umani, non per sostituirli. Un’occasione per approfondire il tema con l’arrivo un film del grande Herzog sul tema di internet, un documentario dal titolo Lo and Behold
da vinci

Ricordate Leonardo da Vinci in Non ci resta che piangere? Inventava il treno e poi condivideva il brevetto con Troisi e Benigni: «trentatré, trentatré e trentatré» diceva loro sorridendo, felicissimo di aver facilitato la relazione tra esseri umani, quel bisogno primario soddisfatto prima con carretti, poi con navi, treni, automobili e aerei, o più semplicemente con inchiostro e carta, per mettere in moto pensieri e sentimenti.

All’uomo è sempre piaciutoinventare e scoprire, mettersi in viaggio verso il nuovo per combattere la distanza che crea insicurezza e sofferenza. E a forza di cercare, di intuire e di scoprire, un bel giorno t'ha inventato l'informatica, il digitale, ed è stata gran rivoluzione. «Fantastico» diceva Steve Jobs nel primo film a lui dedicato, quello del 2013, quando finalmente sfornava il primo Mac. Era il 24 gennaio 1984, l’alba di un mondo sempre più piccolo, di una guerra sempre più vinta alla distanza che separa e rende fragili.

Nel ’96, con Il ciclone, Pieraccioni maneggiava un telefonino gigantesco che funzionava solo se suo padre russava: archeologia tecnologica, ma anche primi segnali di una mutazione antropologica certificata pure da Verdone l’anno prima, con la mitica battuta «Non mi disturba affatto». Il protagonista di Ovo sodo, nel ‘97, inviava una mail da Livorno a Boston, molto prima che dalla Cina, via Skype, Ricky Memphis spiegasse a Elio Germano che «co tutto e’ riso che c’hanno i cinesi, nun sanno fa i supplì».

Il film è L’ultima ruota del carro, del 2013, di poco successivo a Che bella giornata di Checco Zalone, che con una buffa canzoncina ironizzava sul social più famoso del mondo: «Se inventavo io facebook, una regola avrei messa, niente foto sul profilo se sei cessa». Era la registrazione di una consolidata abitudine ad aggiornare gli altri di ogni nostra novità, del costante contatto (relativo) tra noi. Era il cinema popolare che mostra i cambiamenti nel costume e che non si esime dal raccontare una rivoluzione infinita, sempre più veloce, leggera, semplice.

Un giorno sarà inutile la domanda che un personaggio de La bellezza del somaro rivolge in casa di amici: «Avete wireless?» Sarà ovunque e saremo sempre più “vicini” e “disturbabili”. Anche più felici? Difficile rispondere pure per il cinema, che mostra i pericoli, gli inganni ma anche le grandi possibilità: da una lato ecco i ragazzini di Disconnect, del 2012, che hanno puntato un loro compagno di scuola con Ipad e telefonino sempre in mano; eppure solo, tutt'altro che felice. Lo hanno incastrato spacciandosi per una certa Jessica, puntando sul suo disperato bisogno d'amore e di socialità. Gli spediscono una foto di Jessica nuda e gli chiedono di ricambiare con un gesto identico. Il ragazzo si fa coraggio e cade nel tranello: la sua foto fa il giro della scuola e lui, non sopportando il trauma, si impicca. Non solo la rete, in questo caso non facilita la relazione, ma l'altissima velocità con cui viaggia quell'informazione non ha alcun tipo di controllo e il suo gigante rimbalzare ha effetti devastanti.

Dall’altra parte ecco il recente La corrispondenza di Giuseppe Tornatore: storia d’amore dove la tecnologia aiuta due amanti lontani a sentirsi vicini e a comunicarsi senza pause il sentimento. Quando poi una malattia si porterà via l’uomo, egli preparerà l’addio con una serie di filmati, mail ed sms fatti arrivare alla sua amata cadenzati, a morte avvenuta, aiutandola così ad uscire da un momento terribile e ad andare incontro al suo futuro. La tecnologia di Tornatore è un sostegno pulito ed è interessante come il regista accompagni al digitale le lettere scritte a mano dal protagonista, sottolineando una continuità tra vecchio e nuovo, di fatto entrambi veicoli di un contenuto sempre identico: il bisogno di relazione e di amore. Il virtuale di Tornatore non annuncia scenari inquietanti come quelli immaginati da Her di Spike Jonze, del 2013, ambientato in un futuro prossimo dove la tecnologia può far innamorare di una donna senza corpo, della voce di un computer che elabora dati ad ogni chiacchierata e impara a comprendere tutto di noi; non ci delude mai, è perfetta, almeno fino a quando non gli chiediamo di aver bisogno di essere amata.

Her fa pensare che senza corpo e senza reale non andiamo da nessuna parte, sebbene il trionfo tecnologico possa illuderci che la simulazione valga il reale, che la comodità valga la bellezza, e che un rapporto dove l'altro ci tocca e ci giudica sia impegnativo fino a diventare impraticabile. Nel lontano 1998, ai protagonisti di C'è posta per te capitava di iniziare con le mail e di aver paura di passare ai fatti. Poi, come impone la commedia romantica, tutto andava a posto; nello stesso anno, quelli di Viola, primo film italiano sul tema della rete, dicevano che «il mondo fuori è pazzo, è cattivo».

Beh, il mondo fuori, di carne e complessità, è indispensabile, perché nulla soddisfa come una relazione completa. La tecnologia non è il male, è solo capace, se usata male, di infettare le ferite che ci portiamo dentro da sempre. Adoperiamola per esaltare i rapporti umani, non per sostituirli, ed eviteremo di fare come il tizio de La bellezza del somaro, che getta in acqua il portatile dell’amica, dopo che questa se ne è stata tutto il tempo a connettersi con il mondo anziché godersi la compagnia di chi le stava accanto. In ogni caso, è in arrivo un film del grande Herzog sul tema di internet, un documentario dal E’ stato presentato al Sundance e aggiungerà di certo spunti interessanti a questa riflessione.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons