La tasse non pagate dal Vaticano

Campagna mediatica contro i privilegi fiscali che la Chiesa avrebbe. Sono quantificati tra i 3 e i 4 miliardi di euro l’anno ma sono completamente infondati. Perché accade?
Vaticano

E la chiamano estate, quest’estate in cui si parla solo di manovra aggiuntiva per fronteggiare la crisi economica e che, almeno sotto l’ombrellone, ha procurato solo un effetto depressivo e di sfiducia. Il primo sì al decreto legge giunge la sera del 12 agosto turbando i sogni estivi del fine settimana di Ferragosto.

 

È bastato un commento del direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, che domenica 14 agosto scrive: «C’è una grande assente che è e resta protagonista della tenuta e della risalita possibile del sistema Italia: la famiglia», per far scoppiare il primo temporale estivo mediatico. La prima avvisaglia parte dall’insospettabile Beppe Severgnini del Corriere della Sera, il pomeriggio del 14 agosto, quando su Twitter scrive: «Domanda per la Chiesa. Perché non rinunciare a qualche vantaggio fiscale in favore della famiglia, ignorata nella manovra di ferragosto?». Risponde prontamente il suo direttore Ferruccio De Bortoli con un: «Sì alla proposta sulla fine delle esenzioni fiscali per la Chiesa. Ritocco a manovra Ferragosto a beneficio famiglie». E difatti, il giorno dopo, proprio Beppe Severgnini firma un articolo sul Corriere della Sera in cui chiede alla Chiesa di rinunciare all’esenzione dell’Ici.

 

Il 17 agosto su Repubblica e Il Fatto Mario Staderini, segretario dei Radicali italiani, comincia il refrain che continua fino ad oggi e dichiara, tra l’altro: «Mettere mano ai privilegi del Vaticano. Eliminando l’8 per mille e esenzioni fiscali (Ici e Ires), il bilancio dello Stato potrebbe contare su 3 miliardi di euro all’anno in più». L’errore è così grossolano tanto da non sembrar vero: il Vaticano è uno Stato estero e non paga, come qualsiasi altro Stato estero, nessuna tassa all’Italia, mentre l’8 per mille riguarda la Conferenza episcopale italiana e le esenzioni Ici riguardano tutti gli enti non commerciali, non solo ecclesiastici, che rientrano nei fini di attività assistenziali, ricettive, culturali, ricreative, sportive e attività di religione o di culto. Così l’esenzione dell’Ires, l’imposta sui redditi delle persone giuridiche, riguarda molti enti non profit. Non è da meno Libero che con Filippo Facci scrive: «Non si capisce perché la Chiesa non dovrebbe fare la propria parte: fruisce di agevolazioni fiscali per miliardi e lo fa con furberie che a tratti profumano di raggiro». La stima delle tasse non pagate intanto raggiunge ora i 4 miliardi di euro. Una lievitazione di un miliardo in poche ore.

 

La questione più seria l’affronta il 18 agosto Marco Politi su Il Fatto: «Può la Chiesa italiana rifiutarsi di affrontare nella fase attuale la questione dell’8 per mille, che pesa sul bilancio dello stato per oltre mille milioni?». Propone una commissione paritetica per rivedere la somma del gettito e l’abolizione del doppio conteggio. Le quote Irpef, infatti, dei cittadini che non hanno espresso nessuna preferenza nella dichiarazione dei redditi, vengono riconteggiate e divise tra quanti hanno manifestato la loro intenzione di preferenza. In questo modo la Chiesa cattolica arriva a punte dell’87 per cento, anche se riceve solo un 35 per cento di preferenze. È un meccanismo che fu scelto nel 1985 con una legge a seguito del nuovo Concordato. Ma i pacta sunt servanda, i patti devono essere osservati, e se si volesse cambiare le regole servirebbe un nuovo Concordato. Con nuove regole decise da entrambi gli interlocutori. Ma si sa che l’obiettivo finale del pensiero radicale è l’abolizione stessa del Concordato, se si potesse anche della Chiesa stessa.

 

Da Madrid il 19 agosto il cardinal Bagnasco interviene a Radio Anch’io e torna su argomenti del tutto condivisibili: l’equità dei sacrifici, l’immoralità dell’evasione fiscale, la centralità della famiglia. Passano poche ore e l’avvocato Gustavo Raffi, il gran maestro del Goi, ovvero «la più antica e numerosa comunione della massoneria italiana», dichiara: « Lo Stato abolisca le esenzioni dell’Ici per i beni immobili della Chiesa non destinati al culto e di tutti gli altri enti che si avvantaggino di tale esenzione, così come è opportuno congelare per tre anni l’8 per mille fino al raggiungimento del pareggio di bilancio, come fissato nella manovra, destinando le risorse alla ripresa economica dello Stato». In serata anche Mario Staderini rincara la dose.

 

La mattina dopo Marco Tarquinio chiarisce su Avvenire che il partito radicale è «la metà esibita del marchio d’origine della campagna anti-Chiesa (e non profit). Raffi è, invece, l’altra metà del marchio, quella più discreta. Un film già visto. Ma vederlo di nuovo in circolazione con pronti e potenti strombazzamenti mediatici, un po’ di impressione la fa lo stesso».

 

E fa impressione che appena si evochi la famiglia e l’evasione fiscale scattano meccanismi di autodifesa culturali, ideologici e lobbistici, proprio quelli che andrebbero cambiati. Proprio ieri il cardinal Bagnasco sottolineava rivolgendosi ad ogni categoria di persone: «C’è bisogno di una grande conversione culturale e sociale» anche perché chi ha responsabilità nella vita pubblica e chi ha poteri e interessi economici «attraverso il loro operare, propongono modelli culturali destinati a diventare dominanti».I veri perché della campagna mediatica contro la Chiesa restano in parte oscuri, ma i mandanti e gli esecutori sono evidenti.

 

Anche da alcuni settori cattolici, al netto di tutte le falsità e esagerazioni che sono state scritte in questi giorni su certa stampa, si chiede però un sussulto di verità e trasparenza maggiore da parte della Chiesa e così, ad esempio, l’assessore alla Cooperazione internazionale della Giunta regionale toscana Massimo Toschi lancia un appello: «La Chiesa rinunci ad una parte dei suoi fondi per rendere di nuovo fecondo il cristianesimo nel nostro Paese, uscendo dalla prigionia dei privilegi e offrendo la risorsa di una etica pubblica, che ponga al centro la fraternità con tutti». Un gesto, anche simbolico, di rinuncia, per dare il buon esempio anche nella crisi economica. Ma questa non sarebbe certo la soluzione di tutti i problemi…

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