La storia di Marinella, morta di solitudine

Marinella Beretta è stata trovata morta nella sua casa, alle porte di Como. L'anziana era deceduta oltre due anni fa, ma nessuno se ne era accorto.

Il suo nome ricorda quello di un’altra donna, protagonista di una delle più belle e conosciute canzoni di Fabrizio De André. La “Marinella” del cantautore ligure, secondo quanto dichiarato da lui stesso in un’intervista, era ispirata alla vicenda di cronaca di una ragazza uccisa e “scaraventata nel Tanaro o nella Bormida”. Quella di Marinella Beretta, invece, non è una storia di cronaca nera, stando a quanto dichiarato fino ad ora dagli inquirenti. È una storia figlia di questo nostro tempo, di una società dai rapporti sempre più precari e sfilacciati, dalle tante solitudini “invisibili” che non occupano quotidianamente spazio sui mezzi d’informazione.

Marinella Beretta, 70enne, pensionata, originaria di Erba, abitava a Prestino, una frazione alle porte di Como. Aveva venduto la sua villetta a un cittadino svizzero, mantenendo in usufrutto il diritto a continuare ad abitarci. Dall’autunno 2019, secondo quanto dichiarato in questi giorni dai vicini di casa, era letteralmente scomparsa. Complice l’emergenza sanitaria che ha ridotto drasticamente le possibilità di incontro, nessuno aveva più visto quella donna dal mese di settembre 2019. Nessun familiare, parente lontano o amico è stato visto avvicinarsi in questi due anni e mezzo. La casa di Marinella, per i vicini e gli abitanti della zona, era una delle tante case vuote, verso le quali gettiamo lo sguardo distrattamente ogni giorno mentre camminiamo e siamo intenti nelle nostre cose.

L’allarme per le raffiche di vento di questi giorni in Lombardia aveva spinto i vicini a contattare il proprietario svizzero a cui Marinella aveva venduto la casa, per mettere in sicurezza gli alberi nei pressi dell’abitazione. Non riuscendo a mettersi in contatto telefonicamente con la donna, l’uomo avvisa le forze dell’ordine. Saranno i vigili del fuoco ad entrare nell’abitazione trovandosi di fronte il corpo di una donna, morta da almeno due anni e mezzo, in uno stato più che avanzato di decomposizione. Secondo le prime indagini, il decesso sarebbe avvenuto per cause naturali. La donna era seduta su una sedia, in soggiorno. Probabilmente sarà stata colta da un malore senza neppure avere il tempo e la forza di chiedere aiuto. Se mai avesse avuto qualcuno a cui rivolgersi.

Sono tanti gli elementi di questa tragedia dei giorni nostri che ci spingono ad andare oltre la mera narrazione del fatto di cronaca, che resta uno o due giorni e poi scompare, e oltre i commenti enfatici e a tratti “mielosi” che rischiano di suscitare immediata commozione senza farci fare un passo avanti. Perché il senso di vicende come quelle di Marinella è uno solo: cercare di creare le condizioni perché non si ripetano, perché non si continui a “morire di solitudine”. Perché, per quanto faccia poca notizia, c’è anche questo tipo di morte: la morte di solitudine.

Si muore di solitudine quando non si è più nelle condizioni di chiedere aiuto: quando non si hanno più voce, mezzi, interlocutori. Si muore di solitudine quando la comunità entra, anche involontariamente, nel tunnel del “dare per scontato”. Davano per scontato i vicini di casa di Marinella che la donna si fosse trasferita, che non abitasse più nella villetta. Così come il proprietario svizzero, che non riusciva da anni a contattarla telefonicamente, dava per scontato che la situazione fosse tranquilla. Tutti noi ogni giorno cadiamo nell’accomodante soluzione del “dare per scontato”.

Sono i numeri a descrivere la situazione di una società in cui storie come quella di Marinella sono tutt’altro che un fatto eccezionale. Un’ampia indagine sugli anziani lombardi dopo due anni di emergenza sanitaria, promossa dai sindacati dei pensionati di Cgil Cisl Uil, dal titolo “Più fragili dopo la tempesta? Ricerca sugli anziani in Lombardia: bisogni, desideri, risorse”, mette in luce alcuni dati significativi. Gli ultra 65enni in Lombardia sono circa 2,3 milioni e aumentano al ritmo di 40 – 50 mila all’anno: la pandemia ha inciso fortemente sulle loro condizioni di vita non solo da un punto di vista economico, ma anche sanitario, sociale, nelle relazioni, nella possibilità di ricevere aiuto, nell’uso del tempo e delle risorse che il territorio offre. Quasi un terzo degli anziani vive da solo: il 14% degli anziani ultraottantenni vive una sorta di “autoreclusione domestica”. Questo significa che oltre centomila anziani lombardi si trovano a vivere confinati in casa, con evidenti problemi nella fruizione dei necessari servizi quotidiani.

Oltre i numeri, ci sono le storie di persone, di vite sospese, di tante fragilità personali. E c’è un elemento decisivo che, nel bene e nel male, può fare la differenza: la comunità. Si può “morire di solitudine” laddove manca la comunità o una comunità non si comporta come tale. Si muore di solitudine quando, come papa Francesco ha detto domenica sera, ci commuoviamo di fronte alla sofferenza e alla solitudine in una dimensione tutta mediatica, virtuale; poi però “non tocchiamo”, non ci coinvolgiamo. “Ricordarne la vita è il dovere di una comunità che vuol restare unita”, ha detto il ministro alle Pari Opportunità e alla Famiglia Elena Bonetti commentando la storia di Marinella.

La sfida del post-Covid è fortemente sintetizzata in questa storia, la storia di Marinella: l’“altro da me”, la sua storia, i suoi diritti, non possono più essere dati per scontati.

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