La Spagna dei “villancicos” natalizi

Le composizioni poetico-musicali natalizie della tradizione popolare raccontano una Spagna antica e contadina, anche se mantengono ancora oggi tutto il loro fascino. Comparsi nel XV secolo, forse hanno origini più antiche
Villancicos
Un presepe tradizionale spagnolo

23 dicembre: in Spagna si affrettano gli ultimi preparativi per la cena della vigilia di Natale, la cena di Nochebuena, la cena in famiglia che mette in moto dentro e anche fuori dalla geografia nazionale spagnola migliaia di persone. Alcuni, pochi, si godranno anche la gioia di essere stati fortunati con i premi della Lotteria di Natale, due giorni prima. La grande maggioranza, però, si godrà semplicemente la fortuna di potersi ritrovare con parenti e amici. E soprattutto con i propri cari.

La notte del 24 dicembre ha una forte connotazione religiosa, la nascita del Bambino Gesù, e molti parteciperanno alla messa di mezzanotte, la «messa del gallo» come la chiamano qui, anche se in tanti posti viene anticipata di una o due ore. Tanti altri però hanno abbandonato questa tradizione e restano a casa a “fare famiglia”, tra aneddoti da raccontare, dolci da assaggiare e canti legati alla festa.

I canti natalizi spagnoli, se confrontati a quelli di altre parti, hanno un contenuto forse meno evangelico, e anche meno “dottrinale”: sembrano ispirati da una semplice contemplazione dei fatti suscitati dalla devozione.

Un esempio: «La Vergine sta lavando con un pezzo di sapone, le sue mani hanno prurito, mani del mio cuore». Si direbbe che chi ha composto questo testo fosse davanti a uno di quei presepi che comprendono diverse scenette, in una delle quali una lavandaia ha attirato l’attenzione del poeta e mosso le sue emozioni. Un altro esempio: «Saltano e ballano i pesci nel fiume, saltano e ballano per veder nascere Dio». Qui si percepisce un certo spunto francescano, con la natura (i pesci) che danza per un intervento soprannaturale. E anche questo: «I re stanno già arrivando per quella strada, stanno già portando al bambino le minestre col vino». Certo, la rima dei versi condiziona il testo, che la traduzione non rende, ma è pure vero che l’autore riteneva più importante portare a quel bambino appena nato, che giace in una mangiatoia, qualcosa da mangiare, e non oro, incenso e mirra.

Sono canti sorti dalla devozione popolare in tempi lontani, quando in famiglia, forse davanti al fuoco, o davanti alle statuine del presepio, o attorno alla tavola dopo cena, arrivava il momento di festeggiare il senso del Natale. Sono chiamati villancicos, probabilmente perché la loro origine è legata agli abitanti delle «ville», cioè dei paesini di campagna, per lo più contadini dell’ambiente rurale. Canti che venivano accompagnati non da strumenti da orchestra, ma da tamburello, zambomba (simile alla caccavella o al putipù della tradizione popolare del sud Italia), mortaio o la tipica bottiglia di liquore con la superficie ruvida che viene rastrellata con un cucchiaio. Strumenti semplici ma sufficienti per impostare il ritmo e invitare al canto.

Una cosa è comunque sicura: fare festa mossi dalla figura di un bambino disteso nella culla è un motivo di portata universale, che accomuna tutte le culture. È la vita che continua a farsi strada nonostante le sciagure che stiamo vivendo. E la vita che nasce merita sempre di essere festeggiata e celebrata.

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