La signora Huawei al “Checkpoint Charlie”

Dopo 3 anni di arresti domiciliari in Canada, la “signora Huawei”, Sabrina Meng, è stata rilasciata ed è tornata a casa, in Cina, chiudendo per il momento una vicenda che ha il sapore di una storia di spionaggio dei vecchi tempi più che di una disputa commerciale e giudiziaria che ha coinvolto Canada, Usa e Cina.
A supporter of Huawei CFO Meng AP Photo/Ng Han Guan

Nella Berlino Est degli anni della guerra fredda, esisteva un punto di passaggio, famoso in tutto il mondo, dove i prigionieri delle due parti in conflitto, venivano scambiati. Lo scambio avveniva di notte, lontano da occhi indiscreti. I prigionieri politici, o militari che fossero, venivano scambiati, seguendo un protocollo molto rigido: passo dopo passo e senza mosse false.

Ora, dopo la fine della guerra fredda, il Checkpoint Charlie è un museo da visitare, con foto e reperti che riportano a quei momenti storici di un conflitto che ha visto il mondo diviso tra Est ed Ovest, tra “buoni e cattivi” (ruoli interscambiabili a seconda dei punti di vista). E oggi: è solo storia lo scambio di prigionieri importanti tra vecchie e nuove super-potenze? Pare di no.

Canadian Prime Minister Justin Trudeau embraces Michael Kovrig (CTV via AP)

Nella notte tra il 24 ed il 25 settembre scorso è avvenuto uno scambio eccellente, ma stavolta nei cieli della Cina e del Canada, tra la cinese Sabrina Meng, direttrice finanziaria di una delle più grandi aziende al mondo di telecomunicazioni, la Huawei, nonchè figlia del suo fondatore Ren Zhengfei, e i cosiddetti “due Michaels”, due cittadini canadesi. Si tratta di Michael Kovrig, un ex diplomatico (al momento dell’arresto consulente) e di Michael Spavor, ufficialmente imprenditore. Entrambi i canadesi furono arrestati in Cina con l’accusa di spionaggio poco dopo l’arresto all’aeroporto internazionale di Vancouver di Sabrina Meng, il 1° Dicembre 2018, su richiesta del Dipartimento di Giustizia statunitense, con l’accusa di violare le sanzioni di embargo in vigore contro l’Iran attraverso un’azienda sussidiaria di Huawei, tramite un’affiliata della banca internazionale Hsbc.

Meng Wanzhou, chief financial officer of Huawei (Darryl Dyck/The Canadian Press via AP, File)

Una vicenda andata avanti fino a pochi giorni fa e che ha visto tre Paesi, Cina, Canada e Usa confrontarsi su di una questione non molto chiara, seppure molto pubblicizzata. Sabrina Meng ha ammesso delle responabilità nella vicenda ma senza dichiararsi colpevole, ed è stata rilasciata con la promessa che entro 14 mesi le accuse contro di lei saranno ritirate dal Dipartimento di Giustizia Usa, riabilitando il suo nome e chiarendo il suo ruolo nella vicenda. Così affermano vari comunicati anche da parte cinese, che ribadiscono però come tutta l’accusa contro Sabrina Meng sia solo una mossa politico-economica, volta a contenere il vantaggio tecnologico di un’azienda che dal 2019 è al primo posto mondiale per il numero di dispositivi mobili venduti nel mondo.

E questo senza contare la tecnologia 5G, in cui Huawei è leader mondiale. Forse la vera questione di questi arresti eccelenti ed eclatanti, rientra nell’ottica della famosa politica Usa di contenimento della Cina, una sorta di conflitto economico lanciato da Trump e ripreso dall’amministrazione Biden. Forse le ragioni profonde vanno ricercate altrove: potremmo dire nella preparazione del mondo che verrà, quello dei prossimi 20 anni almeno.

La questione è relativa all’alta tecnolgia dei semiconduttori, ovvero quella dell’Intelligenza Artificiale di tutto quanto già usiamo, e ancora di più useremo nei prossimi 20 anni. Lavatrici, automobili, computer, sale operatorie, fabbriche, porte automatiche, cioè tutta l’elettronica di cui ci stiamo circondando, compresi i 5 miliardi di telefonini usati dall’umanità. I fantastici e costosissimi microprocessori, difficili da produrre, sono manufatti realizzati da poche aziende situate in uno schieramento politico ben preciso: l’ovest del mondo, tutti partner del gruppo Nato, per intenderci.

La Cina è il secondo consumatore di semiconduttori al mondo, poco dopo gli Usa, ed è facile prevedere che presto arriverà a superare il mercato statunitense. Ma è attualmente molto indietro nell’acquisire la capacità produttiva della tecnologia dei semiconduttori. La Cina assembla e impacchetta i dispositivi a semiconduttore, per spedirli in fabbriche dislocate nel mondo intero, ma non li produce in grandi quantità. Le prime 15 aziende produttrici di dispositivi a semiconduttore si trovano in Usa (8), Europa (2), Corea del Sud (2), a Taiwan (2) e in Giappone (1).

Da notare che il volume totale in dollari di questi dispositivi raggiunge il quarto posto nel commercio mondiale, dopo il greggio, il petrolio raffinato e le automobili. La Cina ha soltanto 2 aziende che producono semiconduttori: la Smic a Shanghai e la Huawei a Shenzhen. Entrambe sono sul palcoscenico mondiale, ma nessuna di loro è tra le prime 15 aziende del settore. Huawei, con i suoi 180 mila dipendenti (700 dei quali solo per la ricerca) è di proprietà degli stessi dipendenti che ne sono gli azionisti. È la candidata più probabile ad essere il primo nuovo produttore mondiale di semiconduttori.

Ma le sanzioni stabilite da Trump contro la Cina hanno tarpato le ali a Huawei e Smic è indietro di almeno 3 o 4 anni. Ai cinesi occorreranno da 1 a 3 trilioni di dollari di investimenti ed un grande staff per competere con l’Occidente in questo settore, futuro dell’era tecnologica. Ma l’Occidente vuole restare in vantaggio, anche se ha bisogno della Cina per la mano d’opera e per le eccezionali infrastrutture di spedizione, uniche al mondo.

Intanto lo scambio dei prigionieri eccellenti è avvenuto sopra le nostre teste, con due aerei: stavolta niente ponte tra Berlino Est e Berlino Ovest, la sfida ritorna nelle fabbriche e nei laboratori di ricerca. Noi consumatori che viviamo lontano dalla Cina, dal Canada e dagli Usa, possiamo optare per un consumo moderato e contenuto, sapendo che, dietro alla scelta di un certo prodotto che acquistiamo ci sono molte persone che lavorano, grandi capitali investiti e numerose storie a volte poco chiare. Possiamo però aiutare il mondo a non avere necessità di alcun “checkpoint charlie”: un mondo dove si collabora per il bene comune.

 

 

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