Rebecca era bella. Come Sara, Rachele e tante altre donne ebree che hanno segnato la storia biblica. Rebecca era sterile. Come Sara, Rachele e tante altre donne ebree che hanno segnato la storia biblica. Perché la storia del popolo d’Israele è un affare del Signore, mica un fatto naturale. Così tante nascite nella Bibbia sono degli autentici miracoli. Con Rebecca il miracolo è doppio. Lei è incinta di due gemelli. Che già nel suo ventre si urtano e si combattono. Al parto, il primo ad affacciarsi alla vita è un bambinetto «rossiccio e tutto come un mantello di pelo». Esaù. Subito dopo esce Giacobbe, che tiene stretto nella manina il calcagno del fratello. Fa subito capire che tipo è. Determinato a non mollare la presa, a non arrendersi in situazioni che lo vedono perdente. Ribaltandole alla grande.
Nella Bibbia i nomi dicono tutto. Il nome Giacobbe in ebraico significa “egli-afferra-il-calcagno”. Ma poiché “afferrare il calcagno” significa anche “soppiantare”, il suo nome significa pure “egli-soppianta”. Esaù è soprannominato Edom, che significa “il rosso”. La parola Edom in ebraico ha un’assonanza con adom (da cui Adamo) che indica il colore rossastro della terra argillosa con la quale, secondo la Bibbia, Dio fece il primo uomo. Perché lo chiamavano così? Mah! Facciamo alcune ipotesi. La prima è semplice. Esaù è chiamato Edom perché aveva il pelo rosso. La seconda ipotesi vorrebbe invece spiegare l’origine del popolo degli Edomiti (Idumei), di cui Esaù-Edom sarebbe il capostipite. Gli Edomiti erano grandi nemici di Israele, abitavano le zone del Negev fino a quella che sarà la strabiliante città di Petra, dove il terreno è ricoperto da pietre rossastre. Una terza ipotesi si rifà al piatto di gustose lenticchie rosse che un esausto Esaù, di ritorno dalla caccia, implorò al fratello Giacobbe. Il quale gliele diede, ma a caro prezzo. In cambio della primogenitura. Esaù era così affamato che accettò senza battere ciglio. Lui confidava sul fatto che la primogenitura nella loro società non era una cosa banale, risolvibile con un accordo fra fratelli. Doveva essere suggellata dalla benedizione del padre. Che garantiva la protezione della divinità sulla discendenza e sul clan, di cui il benedetto sarebbe diventato il nuovo leader. In famiglia la faccenda della benedizione era spigolosa. Perché il marito di Rebecca, Isacco, aveva un debole per Esaù. Voleva concedere a lui la sua benedizione. Mentre Rebecca tifava per Giacobbe. Chi la spunterà fra i due coniugi? Provate a indovinare. Rebecca era un’autentica mamma ebrea. Determinata, a dir poco. Approfittando del fatto che Isacco era vecchio e quasi cieco, durante un’assenza di Esaù per caccia, uccise due capretti e li cucinò come piaceva al marito. Conosceva il potere della sua buona cucina. Poi con la loro pelle ricoprì le braccia di Giacobbe così da farlo sembrare peloso, e lo rivestì con gli abiti da cacciatore del fratello. Quindi lo introdusse al marito Isacco per la benedizione. Lui gli chiese: «Sei proprio tu, il mio figlio Esaù?». Giacobbe guardò la madre, che gli fece un cenno risoluto col capo. Così Giacobbe mentì: «Sì, sono io». Isacco era dubbioso. Evidentemente temeva qualche tiro mancino dalla fedele mogliettina. L’odore, non c’era dubbio, era quello di Esaù, ma gli palpò le braccia per assicurarsi che fossero pelose. Poi il capretto e il buon vino fecero il resto. Isacco diede la benedizione a Giacobbe. Quando Esaù tornò dalla caccia s’accorse d’essere stato giocato. Ma non c’era più nulla da fare. La parola era stata data. E all’epoca la parola era una cosa seria.
Per sfuggire alle furie del fratello Esaù, Giacobbe dovette andarsene all’estero e restare presso parenti per diversi anni. Infine decise di rientrare in terra di Canaan. Fu durante quel viaggio di ritorno che si guadagnò il soprannome. Avvenne in un modo un po’ strano. Doveva attraversare un fiumiciattolo chiamato Iabbok, un’affluente del Giordano. Era notte. Tutta la sua carovana era già passata dall’altra parte del torrente. Era rimasto lui, ultimo. Era solo. Nel buio gli si fece incontro un uomo che iniziò a lottare con lui. Lottarono tutta la notte. Al mattino erano esausti. L’uomo gli domandò: «Come ti chiami?». Rispose: «Giacobbe». L’uomo gli disse: «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!». Lo benedisse e scomparve. Accidenti! Quello con cui aveva combattuto non era un uomo. Era Dio. E lui aveva pure vinto. Giacobbe si tenne ben stretto quel nome nuovo. Da quel momento si fece sempre chiamare Israele. Anche i suoi discendenti si aggrapparono a quel nome, e da allora si chiamarono figli di Israele. Pure la terra su cui aveva combattuto e vinto con Dio prese il suo nome, Terra d’Israele.
È singolare che nel grembo di Rebecca c’erano i due poli opposti: Israele e Edom, che nella tradizione ebraica rappresenta i nemici di Israele. Nel suo pancione c’era quindi tutto Israele e tutto ciò che non è Israele. La scelta di Rebecca si dimostrò determinante per il futuro del popolo ebraico e dell’Alleanza con Dio. Nell’occasione della benedizione lei fu certamente più lungimirante del marito Isacco, anche se si comportò in modo spregiudicato. O almeno, intraprendente. E la Bibbia loda l’intraprendenza. Lo farà anche Gesù in diverse parabole.