La riscoperta della comunità

Recupero dei territori abbandonati e welfare generativo. Le profezie de “L’Italia che non ti aspetti” nel tempo della pandemia
Comunità

Nel 2018, a partire dal Sud, grazie all’esperienza della Caritas di Benevento, abbiamo lanciato un manifesto “politico” per rispondere all’emergenza dell’abbandono delle aree interne del Paese (Il 73% dei comuni italiani), l’invecchiamento della popolazione e il dissesto ambientale. L’irrompere del coronavirus ha mostrato il valore profetico di quelle intuizioni fino a costituire la base  di una proposta nazionale, in continuo aggiornamento, costruita da un vasto insieme di realtà e accessibile su www.perunnuovowelfare.it.

La riscoperta dei piccoli centri 

Durante il lockdown, chiusi in casa e bloccati nelle nostre città, abbiamo visto con invidia chi viveva in un piccolo paese con tanto spazio verde attorno, senza necessità di prenotare la spesa a domicilio e potendo respirare l’aria della campagna di fronte invece del cemento.

Come dice don Nicola De Blasio (direttore della Caritas sannitica), nel deserto è più ricco chi ha una borraccia d’acqua e non chi ha in mano una valigia piena di soldi. Il Pil della città è certamente più alto di quello della campagna ma non è aumentata la felicità. È vero il contrario: più è grande un centro urbano e più problemi legati alla solitudine vengono riscontrati dalle politiche sociali e sanitarie. Le città sono lo specchio della disuguaglianza, con i loro centri per ultraricchi e le loro periferie per gli ultraproveri che hanno dovuto affrontare il fermo totale delle attività in case piccole e condomini senza verde.

Abbiamo riscoperto che la vita in paese può essere molto democratica: tutti hanno potuto godere di ampi spazi ed i servizi sono uguali per tutti, senza distinzione di “censo” e di reddito.

Ma non sarà facile parlare di “nuovo abitare” senza tre movimenti interiori. In primo luogo abbandonare le certezze di un modello di vita per costruirne un altro che deve affrontare nuove insicurezze, dai trasporti pubblici scadenti ai servizi sanitari distanti o assenti e soprattutto la disparità nell’accesso ai servizi telematici a partire da internet veloce. Occorre poi rinunciare alla grande varietà di offerte commerciali esistenti in una città e, infine,  re immaginare la vita scolastica e sociale  per i nostri figli in luoghi diversi dai contesti urbani.

Eppure questo cambio di rotta è inevitabile. Nel mondo le decine di megalopoli raccolgono 20 milioni di abitanti e negli ultimi decenni la loro crescita è insostenibile.

Dal 23 maggio 2007 gli abitanti delle città hanno superato quelli del resto dell’intero pianeta. Secondo l’Onu viaggiamo sul 54% di popolazione urbana e nel 2050 avremo circa 2 miliardi di abitanti negli slums (le periferie sovraffollate delle città metropolitane).

Per cambiare direzione occorre intervenire per ridurre l’immensa sperequazione tra territori disabitati, ma fertili,  e quelli sovraffollati e cementificati. Le risorse del Recovery fund dovrebbero andare anche nella direzione di rendere più facile e accessibile la vita nei piccoli centri rurali e investire su pratiche di ripopolamento  di vaste aree abbandonate.

Abbiamo 8 milioni di case vuote in Italia. Non servirà costruire nuove volumetrie ma conservare e restaurare il patrimonio immobiliare esistente.

Uscire dal sovraffollamento irrazionale delle nostre grandi città significa anche gestire meglio gli shock pandemici a cui potremmo essere periodicamente sottoposti: intere aree rurali non solo hanno reagito meglio e con più facilità in termini di organizzazione prevenzione e di inclusione ed attenzione sociale  delle persone isolate. Lo hanno fatto con grande senso di responsabilità perché privi di focolai , come l’intera “area bianca” dei piccoli paesi del Sud Salento.

Oggi le sfide della globalizzazione consistono nel ripensare “l’abitare”. Le piccole comunità accoglienti saranno certamente più protette e sicure se saranno accompagnate ad investire il proprio naturale capitale sociale fatto di legami tra le persone e con la terra.

Il Sud

Assieme alle aree rurali, anche il Sud è venuto alla ribalta . Con il Covid 19 abbiamo capito che i modelli efficienti di welfare , quelli basati sulle politiche da “posto letto in struttura protetta” hanno i piedi di argilla. Il Meridione,  rispetto al Nord ha un welfare naturale basato sulla prossimità. I dati parlano chiaro, per ogni RSA in Campania ce ne sono sei in Lombardia, e per una struttura del genere  in Molise ce ne sono almeno sette tra Veneto e Trento. È un welfare insostenibile quello che si basa sull’efficienza della delega e non sulle comunità resilienti ed inclusive. Dove gli anziani hanno continuato a vivere nelle loro case, con un modello di assistenza sociale di prossimità,  i dati dei contagi erano molto inferiori rispetto alle “strutture protette“.

Da queste evidenze è nata la proposta condivisa nel pieno dell’emergenza di alleare tutti i sostenitori di un welfare diverso, generativo, comunitario, basato sull’efficacia delle relazioni prima che sull’efficienza delle prestazioni. È stato fisiologico l’incontro tra chi sostiene un cambiamento dei modelli economici ( come La Scuola di economia civile la rete di Next Nuova Economia per tutti) con chi si occupa di povertà educativa ( come Azione Cattolica Italiana e Forum delle Disuguaglianze) di ambiente ( come Legambiente e Associazione nazionale di BioAgricoltura Sociale) e chi cura diversi aspetti del welfare ( Le Acli, le Reti della Carità, il Cnca, l’Auser, il Volontariato Vincenziano,  La Caritas Italiana e tanti altri) assieme alla competenza del gruppo Vita. Senza dimenticare le istanze per un “disarmo” delle spese belliche dell’Italia.

Le nostre proposte hanno incontrato l’interesse del Governo, dell’Associazione dei comuni italiani e della commissione di esperti guidata da Vittorio Colao. I primi risultati di questo dialogo sono abbastanza positivi. Nella conversione in legge del decreto rilancio c’è il riferimento alla promozione dei sistemi di welfare di prossimità e ai budget di comunità e di salute (per la prima volta in una legge nazionale), mentre c’è ancora tanto da fare in altri ambiti come, ad esempio, il contrasto della povertà educativa. Sono un milione e trecentomila i  minori disconnessi dalla scuola con danni incalcolabili dovuti al fermo dell’attività.

ll cantiere è quindi aperto e la società civile responsabile esiste per costruire il bene comune

Budget di salute (BdS). Cosa è

Sistema che prevede la trasformazione degli attuali costi previsti dai LEA (livelli essenziali di assistenza garantiti dal servizio sanitario nazionale) in capitale assegnato a ciascun soggetto e finalizzato ad obiettivi visibili e rendicontabili di migliore qualità di vita. Il progetto prevede la cooperazione anzitutto della persona e della sua famiglia insieme alle istituzioni (Comuni e ASL) e a organizzazioni non profit.

Si tratta di costruire progetti personalizzati di presa in carico dei soggetti più fragili (a partire dagli anziani) capaci di incidere sulle determinanti sociali della salute per dare risposta ai bisogni di cura, di alloggio, di socialità, nonché di formazione e lavoro. L’esperienza dei BdS ha creato nuove opportunità di lavoro rigenerando il tessuto sociale in aree di progressivo declino.

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