La Resurrezione secondo Caravaggio

La Cena in Emmaus presso la Pinacoteca di Brera. Un capolavoro dove il divino appare nella nostra storia quotidiana.

La tela fu dipinta dopo l’omicidio del Tomassoni avvenuto il 6 maggio 1606 a Roma dal pittore rifugiato, presso i Colonna, a Paliano o a Palestrina. Stupisce come un Caravaggio in fuga riesca a comporre un’ opera tanto intima, raccolta.

La presenza del “mistero della Resurrezione” (vangelo di Luca, cap. 24), si esprime con un tono di sorpresa, delicatezza e contemplazione di un fatto che può ripresentarsi oggi, per il pittore, in un luogo qualsiasi, anche in una taverna. Fa parte della Bibbia dei poveri e degli umili cara a Caravaggio.

La composizione, di formato orizzontale, richiama la pittura lombardo-veneta (Bassano, Moretto e Tiziano), e l’atmosfera ombrosa di Leonardo. Il Cristo, adulto, dalla fisionomia classica, sta benedicendo, dopo aver “spezzato il pane”: è il gesto da cui, secondo il Vangelo, i discepoli lo riconoscono per il maestro Risorto. Lo stupore si legge sul volto contadino dell’uomo seduto a destra, che si stringe con le grosse mani al tavolo, mentre ascolta, con un orecchio fin troppo grande – l’evangelista Luca? – le parole del Messia.

L’altro discepolo, dal viso in ombra, trattiene la sorpresa. L’oste e la serva, in piedi, hanno reazioni diverse. L’oste osserva curioso e interrogativo, la donna anziana (un tipo femminile che si ritrova in altre opere), dal volto rugoso, abbassa gli occhi umile e pensierosa. Sembrano due diversi modi, per il pittore, di accostarsi al mistero: la domanda, nell’oste, l’accoglienza, nella serva. Caravaggio, con tocchi essenziali di luce e di colore, dà vita anche a questi movimenti dell’ anima.

Sulla tavola, una tovaglia candida sopra il tappeto, del pane, una brocca di vino rosso, un piatto con un carciofo: il cibo della gente di campagna. Nessuna teatralità domina la scena, che ha infatti il sapore di una sacra rappresentazione familiare, essenziale. Il Cristo emerge delicatamente dall’ombra, sfiorato da una luce bassa e calda che, partendo da sinistra, illumina una parte del volto, scende sulla mano benedicente, si allarga sulla tovaglia e si sparge sui due personaggi in piedi, spingendosi in ombre sul petto dell’anziana. Lascia come ombra sul tavolo la sagoma di un pesce, antico simbolo cristiano, segno del suo passaggio.

Si crea quel taglio in diagonale della tela, tipico del pittore, che dall’oscurità fa nascere la vita. Ma il chiaroscuro è morbido, avvolgente, anticipa Rembrandt.

Caravaggio infatti non presenta il momento drammatico di un morto che si rivela vivo, suscitando spavento e stupore, ma l’apparizione-rivelazione, in tono volutamente discreto, del divino nella storia quotidiana. Qui l’evento sacro – il gesto del Cristo rimanda alla benedizione finale nella Messa – nella sua semplicità si carica di un contenuto spirituale profondo, comprensivo dell’uomo. Il Cristo concentrato, forse triste per l’incredulità dei discepoli e per il prossimo congedo, sparirà fra un attimo ed allora i discepoli “crederanno”.

Sobrietà emotiva, colori spenti, pennellate di poco spessore fanno di questa tela, che ha bisogno di esser osservata a lungo per venire compresa nella sua carica simbolica, un momento di alta religiosità. In particolare, essa pare concentrarsi su quel “vuoto”(lo spazio sulla sinistra), cui il pittore dona la personalità concreta del “mistero”. Un mistero concentrato nel volto abbassato di Cristo, mite e umile di cuore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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