La resistenza civile di Massimo Borghi

In vista dello Slot Mob cittadino di Grosseto, numero 245, raccontiamo la vicenda di un sindaco del grossetano che si è opposto al dilagare dell’azzardo di massa. Un contributo alla biografia collettiva del nostro Paese. Prima parte.

Sabato 14 dicembre è prevista a Grosseto uno Slot Mob cittadino, un evento di consumo collettivo presso un bar libero dall’azzardo, con tanto di festa in piazza, testimonianze, spettacoli e giochi autentici. Si tratta di una tappa dell’importante impegno portato avanti sul territorio dal Coeso, cioè dalla Società della Salute dell’Area socio sanitaria Amiata Grossetana, Colline Metallifere e Grossetana, un consorzio sorto tra i comuni della Zona socio sanitaria e l’azienda sanitaria Usl Toscana Sud Est. Un esempio del gioiello del servizio sanitario pubblico che in questo caso, con iniziative a tappeto nelle scuole e nel tessuto associativo provinciale, ha affrontato il fenomeno dell’azzardo nella sua dimensione sociale, non solo come una questione di patologia di alcuni soggetti più fragili. Una prospettiva adeguata che emerge dalla storia di Massimo Borghi, forse il primo sindaco, proprio nel grossetano, che ha cercato di porre un argine all’industria dell’azzardo di massa. Una vicenda emblematica di resistenza civile.

borghi

Gavorrano è un paese di poco più di 8 mila abitanti in provincia di Grosseto. Un territorio esteso con le sue 10 frazioni. Fa parte di quella parte di Italia solitamente trascurata dalle cronache. Area agricola in prevalenza in quella parte della Toscana, relativamente vicina a Roma, che sembra un mondo a parte con l’immaginario dei butteri a cavallo. Grande giacimento di pirite con le sue miniere, poi chiuse negli anni ’80, luogo ideale per coltivare una coscienza politica operaia fisiologicamente di sinistra. Non la tradizione anarchica dei cavatori di marmo di Carrara, per intenderci, ma nel dopoguerra il Pci prendeva l’80% dei consensi con 10 sezioni attive e centinaia di iscritti.  È qui che si svolge una storia che ci dice molto della nostra situazione attuale. Massimo Borghi, appassionato di moto, ha organizzato viaggi a dure ruote fino in Uzbekistan, di professione è un vigile urbano, arrivato da pochi mesi alla pensione, ma è conosciuto per il suo impegno sociale e per aver fatto il sindaco a Gavorrano esponendosi all’avanzare di un fenomeno, l’azzardo di massa, che ormai ha caratteristiche endemiche.

Borghi si è formato nel partito comunista toscano da quando aveva 16 anni.  Famiglia di estrazione contadina. Ha privilegiato l’impegno nella base e anche quando ha fatto il presidente del consiglio provinciale dal 1999 al 2008 si è prodigato in iniziative ad impatto culturale. Da laico ha promosso il tavolo interconfessionale per rispondere al clima di paura insorto dopo il 2001 e poi molte attività con le scuole. A fine mandato non aveva neanche più il partito perché si è fermato sulla soglia dell’ultimo passaggio dal Pci, Pds, Ds e Pd. Ma nel suo paese ha molti amici e sostenitori che lo invitano a presentarsi come candidato sindaco alle elezioni comunali del 2008.

Perché ha accettato?
Non volevo fare l’amministratore. Per me la politica è partecipazione. Non quella che termina con un comizio, ma quella che si costruisce giorno dopo giorno. Si trattava di costruire biblioteche popolari. Spazi per i giovani perché non andassero a “malestro” come si dice da noi. Soffrivo nel vedere, invece, la casa comunale ridotta come un luogo non percepito come condiviso dalla comunità. Per me è naturale l’impegno collettivo. Ho fatto, dai 23 ai 31 anni, il segretario di un partito con 600 iscritti attivi, dei quali 100 appartenenti alla Federazione giovanile.

Con quale formazione tipo di formazione culturale?
Molto lo devo agli anziani della mia famiglia che mi hanno insegnato tanto, ma avevamo anche una scuola di partito a Cascina con i docenti che venivano apposta dalla università di Pisa.

Insomma poi ha deciso di concorrere?
È così. Ho fatto l’errore di accettare le primarie dove ho vinto ma mi sono vincolato ad una lista comune che poi ha espresso la maggior parte di consiglieri che non mi hanno sostenuto. Con il senno di poi avrei fatto una lista autonoma per poi contarci ai seggi. Sta di fatto che vinco le elezioni con la percentuale di consenso più alta nella provincia. Per prima cosa apro il comune notte e giorno per ascoltare tutti i cittadini che volevano parlare per segnalare esigenze, richieste e proposte. Tra giugno e settembre ricevo 2983 persone. Ho ancora l’elenco con nome e cognome. Mi stava a cuore ristabilire il rapporto reale tra le istituzioni e le persone, di qualsiasi orientamento politico. Il comune è dei cittadini, anche fisicamente. Non solo del sindaco e di chi ci lavora.  E in questo momento emerge la questione dell’azzardo.

Cosa venne fuori?
Una cosa che mi colpì molto. Erano donne per lo più. Mi hanno raccontato storie di sofferenze familiari culminate con la separazione per colpa della dipendenza da azzardo. C’era chi aveva perso la casa. Figli costretti a lasciare la scuola perché i genitori erano ormai sul lastrico. Storie importanti per un sindaco. Anche se la chiusura delle miniere aveva avuto l’effetto di lungo termine di produrre mancate entrate, una crisi economica e poi il vero e proprio dissesto finanziario delle casse comunali. Mi chiedevo però cosa avrei potuto fare e ho aperto gli occhi su una piaga che non conoscevo. Personalmente non ho mai fatto neanche la schedina del Totocalcio e ora prendevo cognizione della fila dei consumatori di azzardo nei bar del paese, in un clima sociale sempre più immiserito.

E che poteri aveva un sindaco?
Pochi, troppo pochi. Mi sono limitato a fare una ordinanza che prendeva atto della realtà, non potendo toccare le autorizzazioni già concesse. Ho solo impedito di dare il permesso all’occupazione di suolo pubblico e al prolungamento di orario a nuovi esercizi commerciali con l’offerta di slot machine. Una cosa semplice ma inizia il finimondo. Mi chiamano esperti, psicologi, medici, scuole e associazioni da tutta Italia complimentandosi con la scelta compiuta per invitarmi parlarne, ma sul territorio di Gavorrano cominciano i guai. Viene subito da me il capogruppo del Pd a dirmi che avevo rovinato l’economia del paese, come se si trattasse di Campione d’Italia (sede di un famoso casinò, ndr). Rincararono le accuse i colleghi sindaci, alcuni con successiva carriera da deputati, che mi dissero di aver esagerato perché loro non avvertivano affatto il problema. Anche una mia amica, collega di una cittadina vicina mi disse la stessa cosa e allora la invitai a vedere fuori dalla finestra per rendersi conto della presenza di una grande sala slot aperta davanti la sua casa comunale. Fui trattato come un cretino ma la mia popolarità cresceva nella società ma anche tra le forze dell’ordine che vedevano in questa scelta un freno alla malavita.

Fine prima parte.

Leggi qui la seconda parte dell’intervista

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