La radice della precarietà

La ricchezza dell’uomo non sta nel potere. Una diversa prospettiva per dare risposta adeguata alle emergenze sociali 
Il Papa a San Marino

Una breve notizia sul papa che parla di giovani e precarietà può scivolare via come una buona intenzione che si può concedere al campo delle esortazioni. Ma se si ascolta interamente l’omelia di Benedetto XVI nello stadio della Repubblica di San Marino si comprende come il soggetto preso di mira sia un altro. Chiamiamolo potere, o più evangelicamente ricchezza.

 

Perché, come dirà ai giovani, esiste una precarietà preziosa che ci mantiene umani. Quella per cui «guardando in noi stessi con verità, con sincerità e con coraggio intuiamo la bellezza, ma anche la precarietà della vita e sentiamo un’insoddisfazione, un’inquietudine che nessuna cosa concreta riesce a colmare». È il segno di una «sana inquietudine» che permette di allargare gli orizzonti, di porsi «le domande fondamentali sul senso e sul valore della vita», di avere un cuore come «finestra spalancata sull’infinito».

 

Le radici delle molteplici precarietà che affliggono, invece, i giovani «prima fra tutte quella del ruolo sociale e della possibilità lavorativa» nascono da una società dove si «si è insinuata la tentazione di ritenere che la ricchezza dell’uomo non sia la fede, ma il suo potere personale e sociale, la sua intelligenza, la sua cultura e la sua capacità di manipolazione scientifica, tecnologica e sociale della realtà».

 

Il volto edonista e manipolatorio della società colpisce alla radice quel segno di trascendenza e dignità inalienabile della persona. Alla fine le «presunte ricchezze si rivelano inconsistenti e incapaci di reggere la grande promessa del vero, del bene, del bello e del giusto», fino a generare un contesto dove si sperimenta la fatica di portare avanti un percorso educativo credibile e in cui le famiglie, i coniugi per primi, «vivono una diffusa fragilità psicologica e spirituale».

Ad una minaccia così radicale non si può rispondere perciò con i buoni propositi ma con una decisa conversione che rifiuta la seduzione del vitello d’oro, cioè di un «dio manovrabile» dal potere dell’uomo sull’uomo ma aprirsi al Dio che si rivela «misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà».

 

Il papa ha proposto perciò come esempio l’azione de due scalpellini, Marino e Leone, che provenendo dalla Dalmazia evangelizzarono quelle terre distribuite, ora, tra Marche, Romagna e la piccola Repubblica di San Marino.

La nuova prospettiva contenuta in quell’annuncio ha condotto alla «nascita di una cultura e di una civiltà incentrate sulla persona umana, immagine di Dio e perciò portatore di diritti precedenti ogni legislazione umana». Ci sono tutte le premesse per una sana e laica declinazione dello sguardo che il papa ci invita ad avere su questo tempo.  

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