La radice della guerra

Il messaggio contro corrente nelle lettere degli anni Sessanta tra Dorothy Day e Thomas Merton, figure esemplari di statunitensi citati da papa Francesco nel discorso al Congresso. Una diversa prospettiva che vede nel ricorso alle armi l'esito di una società post cristiana
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Per comprendere lo spessore del messaggio che arriva da due poco conosciuti personaggi statunitensi additati come esempio nella visita di papa Francesco negli Usa, si può partire dal successo che, pochi anni addietro, ha riscosso,in quel Paese un testo di teoria politica dato alle stampe dall’editrice dell’Università di Chicago. L’Autore è il generale Petraeus, che ha ricoperto i ruoli di comandante delle truppe Usa in Afghanistan e di direttore della Cia. Si tratta di un manuale di guerra che attinge prevalentemente dai concetti chiave delle scienze sociali, l’antropologia in particolare, per poter raggiungere l’obiettivo di «andare a letto la sera con meno nemici di quanti ne avevi quanto ti sei svegliato» attraverso la conquista del consenso raggiunto con l’inculturazione da sperimentare nei luoghi di conflitto.

Rimane il fatto che gli armamenti restano il fattore decisivo in una guerra che, una volta dichiarata non può avere un termine predefinito, come la storia ha più volte dimostrato. Lezione che il presidente Obama conosce bene se si ritorna al discorso pronunciato all’atto di ricevere il Nobel per la pace nel 2009. Un testo che riassume la drammaticità della tensione tra la considerazione secondo la quale «gli strumenti della guerra contribuiscono a preservare la pace» e la consapevolezza che «questa verità deve coesistere con un'altra, e cioè che la guerra, per quanto giustificata possa essere, porterà sicuramente con sé tragedie umane».

È a partire da questa visione “realistica” che si può comprendere  il riaffiorare, per i tipi della Marquette University del Wisconsin, in attesa della pubblicazione in italiano, delle tracce di un pensiero radicalmente alternativo in tema di guerra e pace presente comunque nel Nord America.

Si tratta dell’epistolario di Dorothy Day, fondatrice assieme a Pierre Maurin, del movimento dei Catholic Workers capace di mettere assieme la scelta non violenta con l’impegno per gli esclusi e i diseredati. Una vita avventurosa quella della Day che ha offerto lo spunto anche per un bel film del 1996 che non ha avuto circolazione in Italia. Andando all’origine di una trama culturale presente nella maggior potenza politica occidentale, è interessante l’emergere dell’impegno sociale di una donna, per la quale è in corso il processo di beatificazione, in quel movimento degli “Industrial  Workers of The World”, meglio noti come Wobblies, che proprio nell’orizzonte di una solidarietà mondiale giungevano a rifiutare ogni guerra. Una realtà molto diffusa ad inizio del secolo scorso ma praticamente eliminata con la forza negli anni tra i due conflitti mondiali.

Nel carteggio di Dorothy Day ha un posto speciale quello con il monaco trappista Thomas Merton, molto noto negli anni Sessanta, che dal suo eremo del Kentucky riuscì a far circolare poche copie dattiloscritte di un testo per il quale aveva ricevuto il divieto di pubblicazione. L’opera, “La pace nell’era post cristiana”, stampata solo nel 2005, mette in evidenza il predominio di un «neopaganesimo materialistico con una patina cristiana» che non può non cedere ovunque «all’egemonia del nudo potere». Tutto il sistema del riarmo, una «mentalità da suicidio», non è altro che «il risultato dello spirito laicista, irreligioso e pragmatico che ha minato l’intera struttura morale dell’occidente» davanti al quale, per i cristiani, esiste la tentazione di «lasciar la decisione a qualcun altro» credendo erroneamente che «i capi sappiano meglio». La tragica acquiescenza per cui secondo Merton, non si sono levate voci contrarie, se non appunto i Catholic Workers e pochi altri, al gratuito e inutile utilizzo della bomba atomica in Giappone.

Ma per andare ancor di più alla radice della questione, secondo Merton, occorre affrontare quel pessimismo sulla natura umana, proprio di una certa interpretazione del cristianesimo in base alla quale «è impossibile per gli uomini vivere senza entrare in conflitto violento » tra loro. Non a caso il monaco trappista citava ad esempio di pensatori che difendevano la «guerra come necessità pratica e inevitabile» il grande teologo Reinhold Niebuhr che è tra gli autori di riferimento del presidente Obama. E, difatti, nel discorso da Nobel del primo Presidente di colore vi è una dichiarazione esplicita «devo affrontare il mondo così com'è …una cosa dev'essere chiara: il male nel mondo esiste» per arrivar a dire che «non sono state solo le istituzioni internazionali, non sono stati solo i trattati e le dichiarazioni a portare stabilità al pianeta dopo la fine della seconda guerra mondiale. Nonostante gli errori che abbiamo commesso, il dato di fatto puro e semplice è questo: gli Stati Uniti d'America hanno contribuito per più di sessant'anni a proteggere la sicurezza globale, con il sangue dei nostri cittadini e la forza delle nostre armi».

 

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