La quinta mafia

Una presenza silente, ma non troppo, a Roma e nel Lazio. Un dossier e un reportage per dare forza alla necessaria resistenza della coscienza civile
quinta mafia
A due passi della sede della Rai, in pieno centro di Roma. Qui, ad inizio aprile, è avvenuto un omicidio che nelle modalità e nella copertura dell’assassino con un prestanome, subito smascherato dagli inquirenti, ha mostrato una somiglianza con prassi mafiose ben conosciute dalle cronache italiane.

 

Altri episodi simili, avvenuti in periferia o nelle provincie del sud della regione, hanno destato meno attenzione, anche se, in questi casi, il collegamento con le holding criminali transnazionali sono state comprovate. D’altra parte è noto il successo mediatico delle serie televisive sulla banda della Magliana dove compare sempre il personaggio che assicura il collegamento con una cupola mafiosa da mille entrature nei poteri che contano.

 

È il fenomeno attivo nella regione Lazio che Libera da anni denuncia come la “Quinta mafia”, con fatturati altissimi nei settori di usura, traffico di stupefacenti, armi, prostituzione, rifiuti. Oltre, ovviamente, alla gestione pilotata degli appalti pubblici. Una realtà che cresce e si annida col favore del silenzio e la volontà di non vedere.

 

Come ha più volte affermato De Ficchy, magistrato nel 2007 della Direzione Antimafia: «Siamo sempre dietro al fenomeno, lo rincorriamo: colpa anche di quel buonismo per cui si dice che le cose a Roma vanno sempre bene. Invece sono trent’ anni che esiste l’emergenza». È noto d’altra parte che il vero esercizio di un dominio sulla vita delle persone non ha bisogno di gesti eclatanti, vuole la pace apparente secondo l’antica definizione di «tranquillità nell’ordine».

 

Un ordine che sa fa fare tabula rasa di ogni oppositore. Drammatico è, infatti, il contenuto di una lettera aperta del 2010 rivolta da Libera e Legambiente al presidente Napolitano, al ministro degli Interni Maroni, alla presidente della giunta regionale Polverini e a quello della commissione antimafia della Camera, Pisanu. Veniva denunciata in particolare la situazione nel sud del Lazio descritto come «teatro ormai da anni di feroci omicidi rimasti per lo più irrisolti, legati a vicende connesse allo smaltimento illegale di rifiuti tossici, al ciclo del cemento, al riciclaggio del denaro sporco, all’imposizione di dinamiche forzate nella commercializzazione dei prodotti dell’agroalimentare in ambito nazionale ed europeo, all’usura e al traffico internazionale delle sostanze stupefacenti».

 

E se la situazione è quotidianamente esposta in maniera allarmata dalle forze di polizia, il riscontro, secondo le due associazioni, è quello del «silenzio totale delle Istituzioni politiche e amministrative», con episodi significativi come il trasferimento del prefetto Bruno Frattasi «protagonista nella Provincia di Latina di coraggiose battaglie per la legalità» e oggetto di «una campagna di delegittimazione culminata con l’affermazione di esponenti politici locali che lo hanno definito, assieme ai commissari, "pezzo deviato dello Stato"», mentre «associazioni ambientaliste di carattere nazionale sono definite "terroriste" e messe all’indice solo perché impegnate nella denuncia dei gravissimi abusi commessi per favorire l’insediamento dei clan e delle mafie in genere attraverso il riciclaggio del denaro sporco investito nell’edilizia e nel ciclo del cemento».

 

La coraggiosa presenza di realtà civili impegnate sul fronte del contrasto del malaffare ha recentemente permesso, tra l’altro, di riportare nella giusta luce l’uccisione avvenuta nel 1995 di don Boschin, l’anziano parroco di Borgo Montello in provincia di Latina, che si era opposto ad un traffico di rifiuti illegali nella zona.

 

Un primo dossier sulla penetrazione delle mafie nel Lazio ad opera di Antonio Turri, referente regionale di Libera in regione, è del 2009. Più recentemente è stato prodotto il documentario La quinta mafia realizzato dai ragazzi di Latina dell’associazione Libera e presentato al Salone editoria dell’impegno di Grottaferrata, vicino Roma, assieme all’intervento di tanti esponenti delle amministrazioni locali e dell’arma dei Carabinieri nei castelli romani, nell’ambito del convegno dal titolo emblematico «La realtà oltre l’apparenza».

 

Sulle colline romane, cioè nell’ormai nuova Parioli della Capitale, sono, infatti, significativi gli investimenti da parte delle mafie, come dimostra il sequestro e la confisca di prestigiosi immobili, tra cui anche noti ristoranti. Ma come ha affermato Roberto Scarpinato, Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Caltanissetta, nella sua relazione del 30 marzo al Parlamento europeo, bisogna saper intendere la dimensione globale del fenomeno di «organizzazioni criminali transnazionali» che gestiscono «una quota di ricchezza, e quindi di potere globale, superiore a quella degli stati e delle più grandi multinazionali», e che quindi sono insensibili « al destino penale dei loro singoli componenti e alla confisca di piccole porzioni del fatturato illegale globale».

 

Devono fare ancora i conti, però, con un’altra forza che cresce e si consolida, quella della coscienza personale e collettiva, coscienza che ha risorse inaspettate, capace di rivoltare ordini consolidati e ritenuti inscalfibili. Bisogna solo rompere il silenzio.  

 

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons