La questione economica

Tre proposte concrete per fronteggiare la crisi.
Una mamma con la figlia disabile

La situazione della famiglia in Italia pone una questione che riguarda tutti perché essa è l’agenzia fondamentale della nostra comunità nazionale, non solamente dal punto di vista naturale, giuridico e sociale, ma anche e sempre più, economico. Una conseguenza immediata che deriva da questo ruolo attiene al fatto che proprio sulla famiglia si scaricano maggiormente i costi della crisi economica che stiamo vivendo. Tali costi sono pesanti e allo stato attuale si sta facendo molto poco per cercare di mitigarne l’impatto.

Sono convinto che una prospettiva d’azione differente emergerebbe nel momento in cui iniziassimo a pensare alla famiglia non solo come una somma di diritti individuali, ma come un’entità propria, una società nella società. 

 

Ci sono alcuni fronti su cui operare. Un primo punto di questa lista non esaustiva riguarda il lavoro. Bisogna poter conciliare i tempi di vita, di lavoro e di cura, in modo particolare per le donne. In Svezia le lavoratrici della Volvo possono scegliere l’orario di lavoro, con entrata flessibile dalle 8,00 alle 10,00 e uscita altrettanto flessibile; in Inghilterra, le donne che lavorano hanno la possibilità di stare lontane dal posto di lavoro fino a un massimo di cinque anni, che poi potranno recuperare più avanti durante il rapporto lavorativo.

 

Questo tema ci porta direttamente al secondo elemento, cioè quello dei servizi di welfare; pensiamo agli asili, alle strutture per anziani non autosufficienti che funzionano secondo la logica della “delega”: la famiglia delega a un altro soggetto la cura dei figli o dei genitori anziani. Un modello alternativo è quello della cosiddetta doulia, un’antica parola greca che indica l’attività che compiono coloro che si prendono cura di chi si prende cura. In altre parole i servizi di welfare non devono sostituirsi alla famiglia, ma piuttosto sostenerla nei suoi ruoli di supporto. In questo modo, per esempio, la fornitura di un voucher a una famiglia con un figlio piccolo potrebbe consentire alla mamma o al papà di scegliere se occuparsi in prima persona del figlio, chiedendo un’aspettativa dal lavoro, pagare una baby sitter di fiducia, oppure iscriverlo a un asilo tradizionale.

 

Veniamo invece al terzo tema: un fisco “a misura di famiglia”. Su questo punto dobbiamo essere molto chiari. “Quoziente familiare” o “fattore famiglia”, le proposte in campo sono molte, modulabili, graduabili, migliorabili, ma indubbiamente non più rinviabili. Tarare la pressione fiscale sulla base del carico familiare e non solo sul reddito, renderebbe disponibili alle famiglie risorse indispensabili, tra l’altro, per far ripartire i consumi, e magari anche per cercare di riequilibrare il bilancio demografico. Non dimentichiamoci che l’Italia è il Paese al mondo con il più basso tasso di natalità, con una media di 1,4 bambini per donna.

 

Si può certo obiettare che il costo di tali manovre sarebbe troppo alto. Ma quanto è costato salvare l’Alitalia? Quanto ci costerà pagare le multe per le quote latte? Quanto ci sono costati i vari condoni in termini di minori entrate future? Qui si tratta di operare una scelta politica. Vogliamo investire oppure no sulla famiglia? Vogliamo creare le condizioni per una maggiore equità non solo tra i redditi ma anche tra le scelte di vita dei cittadini? Ma poi davvero potremmo dire che si spende troppo per la famiglia quando in Italia attualmente tali spese rappresentano circa l’1,3 per cento del Pil, mentre in Francia queste raggiungono il quattro per cento?

 

La politica, al di là delle solite vuote promesse, deve scegliere urgentemente che prospettiva dare all’Italia: una nazione che investe sul futuro, un futuro per tutti, o un Paese sempre più vecchio, iniquo e destinato al declino. Questa scelta, bisogna esserne consapevoli, non può non passare per la “questione famiglia”.

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