La querelle sul Senato

Il prossimo mercoledì la riforma del Senato arriva in Commissione a Palazzo Madama. Dopo le esternazioni di Berlusconi a "Porta a porta", sono in molti a chiedersi se reggerà ancora l’accordo del Nazareno fra Pd e FI
Palazzo Madama

L’ottimismo di Renzi. La settimana che si apre sarà decisiva per comprendere come evolverà il quadro politico. Per il premier le fibrillazioni sono solo legate alla campagna elettorale e Renzi conta ancora che si possa arrivare all'approvazione in prima lettura della riforma del Senato entro la scadenza delle europee.

La discussione approderà il prossimo mercoledì in Commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama. Non è stato agevole il compito di fare sintesi in un testo elaborato dalla relatrice di maggioranza Finocchiaro e dal relatore di minoranza Calderoli, essendo ben 52 i disegni di legge depositati. Su due punti esiste tuttavia un’ampia condivisione: superamento del bicameralismo paritario e riduzione del numero dei senatori.

Due bozze si fronteggiano. Quella elaborata dall'esecutivo (accordo Renzi-Berlusconi) e quella di Vannino Chiti (della minoranza Pd). La prima, sul modello del Bundesrat tedesco, prevede che il nuovo Senato sia una Camera bassa non elettiva, composta da 148 senatori, rappresentanti di Comuni e Regioni oltre a 21 membri di nomina del capo dello Stato. I senatori non percepiranno indennità e non voteranno né la fiducia né il bilancio. È sostenuta dalla maggioranza e, in larga misura, anche da FI, anche se, nella sua apparizione da Vespa, Berlusconi ha dichiarato che il tema della non elettività dei senatori non faceva parte dell’accordo raggiunto con Renzi.

La seconda sostiene invece la necessità di un Senato elettivo e riscuote consensi trasversali, da Sel alla Lega. Per Chiti l’ipotesi rigorosa del Bundesrat tedesco (federalismo solidale, con presenza dei soli governi regionali) potrebbe essere condivisa, solo all’interno di una riforma organica che riguardasse anche la Camera e la legge elettorale, perché «la Costituzione esige equilibrio fra le istituzioni e fra i poteri».

Anche il M5S guarda con favore alla bozza-Chiti, in particolare per «la previsione del dimezzamento di deputati e senatori ed il taglio delle indennità, facendo salvi gli equilibri costituzionali fra Camera e Senato, entrambi totalmente elettivi», e propone alcuni «elementi migliorativi di democrazia partecipata e diretta».

Fuori dal Parlamento si discute. Eugenio Scalfari su la Repubblica ha scritto che «Nessuno, tranne il movimento di Rodotà e Zagrebelsky, si oppone all’abolizione del bicameralismo perfetto». Puntuale la replica di Libertà e Giustizia, il movimento in parola che ha promosso l’appello contro la riforma del Senato e del Titolo V: «Entrambi i giuristi hanno sempre affermato che bisogna andare oltre il bicameralismo perfetto».

Stefano Rodotà ricorda il suo disegno di legge del 1985 sul monocameralismo. «Vigeva a quel tempo il sistema proporzionale con le preferenze multiple, c’erano i grandi partiti di massa e regolamenti parlamentari che davano enormi poteri ai gruppi di opposizione. Il nostro obiettivo era dare la massima forza alla rappresentanza parlamentare, mentre oggi la si vuole mortificare».

L’idea – chiarisce Rodotà – era quella di «un sistema che abbandonava il bicameralismo perfetto, configurando un Senato di garanzia, privo in particolare del potere di votare la fiducia al governo e di approvare la legge di bilancio».

Più lapidario Gustavo Zagrebelsky: «L’insieme della proposta dell’esecutivo mi pare configuri una fuoriuscita dalla Costituzione. Non sono chiari i compiti del nuovo Senato: piuttosto che farne un pasticcio, sarebbe meglio abolirlo del tutto».

La ministra Marina Elena Boschi invita i costituzionalisti Rodotà e Zagrebelsky al confronto, ma «l'importante – dice – è che non sia solo un dibattito accademico. Loro fanno i professori, noi abbiamo la responsabilità delle scelte».

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