La profezia del ciabattino missionario

Di coraggio ne aveva da vendere. Ebbe l’intuizione del “movimento ecumenico”, a Calcutta.
Calcutta

Sono passati alla storia come il “trio di Serampore”: William Carey, John Marshman e William Ward, tre battisti inglesi che lasciarono i tranquilli paesaggi del Northamptonshire dell’Inghilterra pre-vittoriana di fine XVIIII secolo per approdare nell’umidità del Bengala, non lontano da Calcutta. La città indiana era già da più di un secolo il centro dei traffici commerciali della Compagnia delle Indie orientali e, nel giro di qualche decennio, sarebbe diventata la seconda città dell’impero dopo Londra.

Ai tre non era stato concesso di arrivare nella grande città. Prima del 1813, non era permesso ai missionari di operare nei territori controllati dal commercio britannico. La loro presenza avrebbe potuto creare problemi con le popolazioni locali e, quindi, mettere in crisi gli interessi commerciali. William Carey, ciabattino di professione, diventato poi ministro battista, era stato il primo ad aver lasciato la madre patria. Fu invitato ad abbandonare la nave prima dell’attracco al porto di Calcutta e aiutato a raggiungere Serampore, un fazzoletto di terra controllato dalla corona danese, lungo il fiume Hooghly. Un paesaggio di un verde lussureggiante, quello del Bengala occidentale, ma impastato nell’umidità tropicale che rende l’aria difficile da respirare. La zona all’epoca dell’arrivo dei pastori battisti inglesi era tutt’altro che ospitale e la società caratterizzata da forme di religione tipiche dell’induismo ritualista, controllato dai brahmini. Le caste dividevano la società a compartimenti stagni, spesso le vedove si buttavano sulle pire funerarie dei loro mariti per ottenere la loro salvezza, ma anche per non dover sopportare le terribili conseguenze della vedovanza. I matrimoni avvenivano in età scolare e le bambine restavano di fatto analfabete. Eppure, proprio in questo contesto, nel giro di qualche decennio sarebbe partito quel processo religioso-culturale noto come Rinascimento indù o Neo-induismo.

Anche i tre inglesi vi avrebbero contribuito. Avevano scelto loro di partire per la missione, non da soli ma con le loro famiglie: moglie e figli. Decisione eroica. Carey perse un figlio appena arrivato e il colpo fu tale che la moglie fu colpita da problemi mentali. La sua intuizione aveva, però, del profetico. Non solo aveva capito che l’invito di Gesù ad andare e predicare nel mondo la buona novella non si era esaurito con gli apostoli, come molti, soprattutto all’interno della Riforma, sostenevano, ma si era reso conto che per una vera testimonianza cristiana si doveva essere una comunità e, per questo, fino alla morte insistette sull’idea di una missione comunitaria e laica.

 

A Serampore le tre famiglie davano «un raro esempio di vita comunitaria – scrive uno dei loro biografi – dove tutti i membri vivevano sotto lo stesso tetto, ma in appartamenti separati. Tuttavia, i pasti, il lavoro e la preghiera erano insieme perché motivati dallo stesso scopo: tutti erano impegnati nell’annuncio della parola di Dio alla gente del posto e tutti lavoravano per questo con spirito di sacrificio e di cooperazione». I tre avevano diversi impieghi. Carey, dopo aver lavorato in una fabbrica di indaco, per anni insegnò nel primo college britannico a Calcutta, invitato a farlo proprio da quelle autorità che gli avrebbero dovuto impedire la permanenza in India. Marshman, con la moglie Hanna, era impegnato nell’ambito pedagogico; aprirono scuole elementari per favorire l’eliminazione dell’analfabetismo, soprattutto femminile. Ward, aveva messo su una tipografia. Stampava soprattutto la Sacra Scrittura che gli altri due, con l’aiuto di pundit, maestri locali, traducevano a ritmo impressionante e massacrante, nelle varie lingue del posto: sanskrito, hindi, marathi, bengalese ed altre ancora.

 

La Parola di Dio era il centro della loro predicazione e i tre avevano capito che era necessario per la gente del posto poterla leggere nella propria lingua. Lo stesso sistema scolare non era finalizzato alle conversioni, ma piuttosto a permettere la lettura della Scrittura. Ma la comunità costituiva il fulcro di tutto. «Questa settimana – scrivevano qualche tempo dopo essersi trasferiti a Serampore – abbiamo adottato alcune misure per la nostra vita di famiglia. Ognuno di noi guida la meditazione e la preghiera a turno, ogni mese uno di noi ha la responsabilità della guida della famiglia intera. Carey si occupa delle finanze e della parte medica, un altro si occupa della biblioteca. Il sabato sera è dedicato a risolvere i nostri problemi di rapporto e a rinnovare l’impegno ad amarci a vicenda».

L’esperienza delle tre famiglie venne però giudicata troppo impegnativa dalle generazioni più giovani che arrivarono successivamente. Nessuno accettò quelle condizioni di vita che pure avevano attirato da parte di tanta gente interesse e meraviglia per quello «splendido esempio di cooperazione cristiana».

 

Carey aveva intuito che l’unità era un dovere per i cristiani, soprattutto; senza di essa l’evangelizzazione sarebbe stata difficile e senza i frutti che avrebbe potuto portare. A Calcutta i battisti avevano instaurato un rapporto con varie Chiese. Per questo nel 1806 aveva azzardato una proposta: «Un’associazione delle denominazioni cristiane di tutte le parti del mondo per potersi incontrare almeno ogni dieci anni. (…) Sono certo che porterebbe molti effetti positivi. Potremmo capirci meglio fra noi ed entrare nelle prospettive di ciascuno con maggiore facilità». L’invito davvero profetico fu bollato con un semplice pleasing dream, un sogno simpatico. Fu messo nel cassetto fino al 1910, quando fu organizzata la Conferenza di Edimburgo con la quale ebbe inizio il “movimento ecumenico” che ha contribuito al riavvicinamento delle Chiese. L’intuizione di Carey era esatta; avrebbe, con tutta probabilità, anticipato i processi, ma forse i tempi non erano maturi. Il pastore, che aveva cominciato la carriera di ciabattino, prima di diventare ministro battista si spense nel 1834 a Serampore.

L’esperienza sua e degli altri è spesso dimenticata e per niente conosciuta in ambito cattolico. Eppure ha aperto un modo nuovo di portare il cristianesimo: attraverso la scrittura e il sistema educativo, ma soprattutto grazie alla vita e alla testimonianza di una comunità cristiana. «Quando morirò, non parlate troppo di Mr. Carey, ma del suo Salvatore», disse a un missionario scozzese che lo venne a trovare pochi giorni prima della morte. Spesso, e non a torto, Carey e il trio di Serampore sono considerati padri della missione moderna. Di fatto, avevano intuito e testimoniato che l’unità è possibile sia all’interno che all’esterno delle comunità, aprendo un primo varco verso il “movimento ecumenico” e una dimensione comunitaria del cristianesimo.

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