La prima volta di Respighi

Gianluigi Gelmetti ama ridare vita ad opere di valore, messe in oblio. Marie-Victoire, quattro atti e cinque quadri dal dramma di Edmond Guiraud, mai rappresentata dal 1913, ha visto la luce per l’inaugurazione dell’Opera romana. L’allestimento di Hugo De Ana ha inscenato un teatro nel teatro di indubbia suggestione: l’idea dell’attesa del treno da parte di una compagni di guitti che inganna il tempo rivisitando la storia di Marie-Victoire, Maurice e Cloriviere negli anni dal Terrore a Napoleone legando la Rivoluzione francese al 1913, è apprezzabile, insieme al binario che, aprendo e chiudendo la (non sempre chiara) vicenda, simboleggia lo scorrere del Tempo e della Vita. De Hana alterna poi rutilanti effetti visivi, privilegiando le tinte rosso sangue (in particolare nelle coreografie) a scene ora scabre ora barocche, muovendo a dovere le masse. Il risultato è notevole, pur col rischio di diventare talvolta un artificio nell’artificio – qual è l’opera -, sovrapponendosi al complesso testo musicale. Respighi distilla abilmente i momenti lirici da quelli drammatici, regalando emozioni pregnanti, come il duetto del primo atto, il poema sinfonico della scena d’amore nel carcere, oltre alle sferzate in cui un’orchestra ora irridente, quasi sguaiata, ora delicata, svolge un discorso in bilico fra tonale e atonalità, fra tradizione, tardoromanticismo e avanguardie dodecafoniche. Per nulla imitatore, raccoglie i germi musicali contemporanei in una sua vena dove il dramma, lento e ostico al prim’atto, si scioglie poi rapidamente verso il finale. Musica quindi non facile, ma che, entrati nella sua atmosfera, regala una policromia e un melodiare originale. Un’operazione simile esige un cast appropriato: Anna Rita Taliento (secondo cast) ha voce sicura, è disinvolta in scena, come Dario Solari (Maurice di rilievo) e Massimiliano Gagliardo (Simon), mentre il Clorioviere di Alberto Cupido abbisognava di maggior delicatezza. Sempre buono il coro diretto da Andrea Giorgi. Quanto a Gelmetti, vero mattatore dell’impresa, merita un plauso per la direzione attentissima ai colori, alle dinamiche, agli impasti strumentali cui ha ben risposto l’orchestra. Non fitto il pubblico, ma convinto della bontà di Marie-Victoire. EVENTI CECILIANI Christian Zacharias. Il pianista tedesco, 54 anni, ha chiuso con Mozart (Piccola Marcia funebre in do min., Sonata in do min.) un omaggio alla bellezza assoluta. Grazie al suo tocco magistrale, alla sua fine intelligenza, il Salisburghese ha alternato il Ravel noto (Sonatina, Valses nobles, Pavane”), magicamente impressionista. Zacharias evoca atmosfere ma soprattutto universi: solo chi ha l’anima trasparente li coglie con immediatezza, restandone colpito per sempre. Pubblico in estasi. Gary Bertini. Il Requiem mozartiano è sublime ad ogni ascolto. Pervaso di verità commovente (si riascolti l’Agnus Dei), è una mirabile espressione di preghiera pura e serena, pur nel dramma. Il celebre direttore cosmopolita ne ha dato una lettura chiara e precisa, però esteriore e ad effetto, con rapidità di tempi e sonorità eccessive da togliere il respiro al mistero. Forse il precedente Job di Dallapiccola, così nervoso e angosciante, ha influenzato la resa del Requiem? Gli applausi più forti, comunque, del pubblico sono stati per Mozart. M.D.B.

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