La posta di Città Nuova

Incontriamoci a “Città Nuova”, la nostra città

 

Caro direttore…

Una lettrice ci risponde alla lettera di invito al rinnovo dell’abbonamento

 

«Leggendo i numeri ricevuti, mi sono convinta che dopo la morte di Chiara Lubich la rivista Città Nuova è cambiata e ha un taglio che non mi piace. Ha perso quella presenza “divina” che aveva quando Chiara era in vita! Gli articoli che leggo non mi sembrano diversi da quelli che si trovano in tanti quotidiani o settimanali laici.

«Parole come “abbiamo di che indignarci e preoccuparci” (Città Nuova aprile 2011) non mi appartengono e credo proprio che non appartenessero al vero Ideale di Chiara, che portava l’uomo a cercare il bene e il positivo».

«Con affetto, un’ex abbonata».

 

Gentile ex-abbonata, posso dirle che la sua lettera mi ha dato un grande dolore? La ringrazio comunque per la sua schiettezza, che ci serve e ci stimola.

Mi permette una confidenza? Ricordo un giorno – eravamo all’aeroporto di Stoccarda nel maggio 2004 – quando Chiara Lubich mi prese da parte come giornalista di “Città Nuova”, non ne ero ancora il direttore, dicendomi che sulla rivista dovevamo servire la verità, sempre con amore, avendo come riferimento il Vangelo. Me lo disse con una forza particolare, perché avvertiva che nel nostro mondo opulento e globalizzato, i punti di riferimento poco alla volta stavano scomparendo.

 

Le dico questo perché il Vangelo è un libro che ci interroga continuamente. Non c’è giorno in cui le sue pagine non suscitino nei redattori nuove idee, spunti d’articolo, proposte per trovare un modo di attualizzare il grande carisma che Chiara Lubich ci ha lasciato. Nella riunione redazionale delle 9.15 – mi piacerebbe che lei potesse assistere a una di esse – questo è il centro del nostro pensare, nessun’altro.

 

Certo, poi ognuno ha le sue sensibilità, ognuno presenta il suo punto di vista, ma che cerchiamo continuamente di “superare” con una visione condivisa. Perché lo scopo della rivista e del sito è quello di condividere per unire.

Che dirle d’altro? Posso invitarla un giorno in redazione per verificare che questo, cioè il Vangelo, è il nostro punto di riferimento unico? L’umano e il divino, in Gesù Cristo, si sono esaltati, pur nella loro distinzione. Ripetere il Cristo è lo scopo di noi tutti. A volte ci riusciamo a volte meno. Ma l’impegno c’è. (m.z.)

 

rete@cittanuova.it

 

Sull’art. 41 della Costituzione

«A proposito dell’articolo di Luigino Bruni su Città Nuova del 25 marzo 2011. Gli artt. 41, 42, 43 e 44 hanno come fondamento due princìpi che sembrano trovarsi in opposizione fra loro: quello della libertà del singolo nel campo economico e quello dei limiti a questa libertà imposti dalla solidarietà e dalla utilità sociale.

«L’indiscutibile libertà d’iniziativa economica, anzitutto, deve confrontarsi e porsi in equilibrio con il bene dell’utilità generale della società e con i beni della persona umana (…). Con il costituzionalismo moderno è stata superata la tradizionale teoria liberale secondo cui lo Stato deve svolgere solo funzioni di ordine. Esso ha assunto la figura dello “Stato sociale” a causa della influenza delle radici cristiane, indubbiamente presenti in Europa e, seppure senza esplicito riconoscimento, nelle varie culture laiche e socialiste.

«Luigino Bruni, dubitando della adeguatezza delle leggi nazionali o europee, ritiene discutibile la riserva di legge per la determinazione dei “programmi e controlli”. Ha ragione per quanto concerne la possibilità che le leggi siano insufficienti o, al contrario, troppo complesse. Tuttavia il costituente non può assegnare tale funzione ad altri se non al legislatore ordinario».

Antonio Corbino

 

Risponde Luigino Bruni: «Sono d’accordo che il potere legislativo abbia un ruolo essenziale nel far sì che lo svolgimento dell’attività economica produca effettivamente bene comune. E lo scopo del mio editoriale era proprio sottolineare l’importanza dell’art. 41 in un momento in cui viene messo in discussione. Al tempo stesso credo che nella società contemporanea, caratterizzata dalla globalizzazione dei mercati, non sia possibile che il potere legislativo, né nazionale né sovranazionale, possa da solo orientare l’attività economica al bene comune, ma occorre sviluppare il ruolo (non giuridico, ovviamente) della società civile, dei cittadini che orientino l’attività economica premiando e non premiando le imprese in base al loro comportamento. I “fini” dell’attività economica non possono essere che quelli dei soggetti che realizzano un’attività economica; il potere legislativo e gli altri poteri dello Stato agiscono non sui “fini” ma sugli effetti delle azioni, con gli opportuni strumenti a loro disposizione. Sono convinto che per gestire le sfide civili della post-modernità dobbiamo immaginare nuove sinergie tra i vari livelli della società civile e politica, dove, accanto ai poteri degli Stati e al mercato, si prenda più sul serio la società civile».

 

L’eredità

«Respiravo quell’aria/ che muoveva i pensieri/ raccoglievo l’essenza…/ Perché Tu c’eri!/ Eri nel vento/ con il nostro pianto/

lenta immagine/ di un voltar di pagine…/ Tu, uomo vero/ simbolo unanime/ del nostro Vangelo./ Viaggi senza confini/ per farci sentire/ ancor più vicini/ piegato nel corpo,/ dalla Tua sofferenza/ insegnavi al mondo/ ad avere pazienza…/ Ai potenti della Terra/ gridavi “non più guerra!”./ In tante lingue parlavi d’amore:/ “Aprite le porte del vostro cuore”./ Ogni Tua parola, da tutti era sentita/ quando invocavi/ rispetto per la vita!/ Verso chi ti ha colpito/ hai rivolto il perdono, raccolto pietà/ lasciandoci ricchi… della Tua eredità.

Fiorella Cappelli

 

Pubblichiamo una delle tante lettere giunte in redazione sulla beatificazione di Giovanni Paolo II. È una sorta di ringraziamento collettivo ai nostri lettori (e a Wojtyla, soprattutto!).

 

Vittorio Arrigoni

«La vita spezzata di Vittorio Arrigoni domanda silenzio e verità. Va presa sul serio nella sua tragedia e nel suo mistero. Sono stato tre volte a Gaza e ho visto una prigione a cielo aperto, prodotta dall’occupazione israeliana e dalla politica dissennata di Hamas.

«Vittorio era un militante, con legami complessi e drammatici, così come sono emersi in questi giorni. Io, nel mio piccolo, ho lavorato in questi anni all’unità tra i palestinesi come condizione della riconciliazione con gli israeliani. Ho sempre parlato con tutti e abbiamo lavorato per curare migliaia di bimbi palestinesi. Ma Hamas non c’entra niente con la non violenza; il pacifismo si qualifica per conseguire la pace con mezzi pacifici, non con qualunque mezzo.

«La verità non nega il mistero ma lo avvolge in un quadro che è assai diverso dai nostri desideri e dalle nostre conferme. La riconciliazione ci libera da tutte le prigionie, quelle fisiche e quelle ideologiche. Non svendiamo la parola. Un abbraccio».

Massimo Toschi

Le notizie in arrivo dal Medio Oriente testimoniano una crescente tensione. Urge un accordo di pace globale.

 

Mio padre

«Salve, ho appena trovato nella buca la lettera con cui mi chiedete come mai non sono più abbonato. Premetto che sono il figlio di Mario Silvestris che è morto l’anno scorso, un esempio di vita cristiana con la c maiuscola.

«Città Nuova era un giornale sempre presente in casa e quando sono andato a vivere fuori il mio dolce papà, dopo avermi chiesto se lo avrei letto e se mi faceva piacere riceverlo, mi aveva fatto l’abbonamento. Effettivamente lo leggevo solo in parte e per come sono fatto io con occhio un po’ critico; ma nel complesso mi sembrava un buon giornale e, dopo averlo letto, lo lasciavo sulla panchina del parco, oppure tra le riviste del mio medico curante, così da farlo conoscere anche ad altri.

«Pur avendo un figlio estremamente laico come me, mio padre ha sempre rispettato le mie idee e si è sempre fatto uno con me (come con tutti quelli che gli erano attorno), mi ha dato tanto e mi manca tanto, non so se riuscirei a leggere ancora il vostro giornale adesso… Ora lui non c’è più (o meglio è lassù) e sono sicuro che sarà felice (e comprensivo) nel sapere che mi limito a collegarmi al sito di Città Nuova».

Antonio Silvestris

 

L’importante è che lei ci legga ancora, in un modo o nell’altro. Se poi vorrà sostenerci anche con l’abbonamento, ne saremo felici!

 

Le dieci perplessità

«Una breve integrazione dell’e-mail che ho trasmesso l’11 marzo in cui davo notizia della diffusione che da qualche tempo ho intrapreso di articoli pubblicati sul sito di Città Nuova. Dicevo di un gruppo di destinatari a cui invio gli articoli scaricati dal sito e di come alcuni di essi a loro volta diffondono gli articoli ad altri gruppi di destinatari. Uno di questi ultimi – Matteo Richetti, presidente dell’Assemblea legislativa della regione Emilia Romagna – ha gradito l’articolo “Sulle dieci perplessità della guerra in Libia” e lo ha pubblicato sul suo sito (www. matteorichetti.it), aggiungendo il link del sito della rivista. Un altro destinatario, responsabile di un circolo culturale, ha trovato interesse per l’intervista a Pasquale Ferrara sulla crisi nei Paesi del Nord Africa».

Giovanni Sapienza

 

Valutare gli insegnanti

«In merito all’articolo di Gentile sulla valutazione degli insegnanti, l’autore non ha spiegato (lo sa?) su quali criteri noi docenti dovremmo essere valutati. Il gradimento degli insegnanti da parte degli alunni? Dei genitori? Dei dirigenti? Il nostro lavoro non è produrre, come i lavori manuali; è seminare (senza raccogliere). Come si fa a valutare un’attività simile?».

Un docente

 

Risponde Luca Gentile: «Caro collega, nel mio intervento, parlando della valutazione degli insegnanti sostenevo l’importanza di un riconoscimento civile e culturale del loro lavoro. Concludevo precisando tuttavia che sarà di enorme rilievo stabilire dei criteri intelligenti di valutazione, che per esempio tengano conto del livello di partenza della classe e  –  perché no? –  dello studio effettivo degli alunni. Tali criteri al momento sono probabilmente noti alle scuole pilota che per l’anno in corso hanno accettato di partecipare al progetto ministeriale di valutazione sia degli insegnanti sia degli istituti. A giugno saranno comunque resi noti i risultati e si capirà meglio quale strada si è percorsa. In quella data avremo modo di giudicare il lavoro svolto e avanzare le nostre perplessità, che – immagino – saranno tante. Quello che invece ritengo discutibile è la convinzione che il nostro lavoro, traducendosi in un quantum imprecisabile, unico tra le attività socialmente utili, goda dell’insindacabilità di cui godono le ragioni metafisiche.

 

E questo in primo luogo perché ciò i cui benefici non possiamo valutare non ha umanamente valore, sicché poche categorie sono così universalmente bistrattate come quella degli insegnanti proprio perché non si riesce a misurare il capitale sociale che essa produce. In secondo luogo perché, nella mia esperienza, accanto a straordinari seminatori ho incontrato pessimi corvi capaci di rovinare in pochissimo tempo il raccolto e pertanto mi piacerebbe che ci fossero una maggior trasparenza e una migliore deontologia professionale e se la valutazione può essere un incentivo in questo senso, ben venga. Certamente ci sono anche tanti problemi e tanti rischi, specialmente in una realtà clientelare come quella italiana, motivo per cui sarà opportuno vigilare affinché i criteri di valutazione siano saggi e meritori. Non credo invece che rifiutare la valutazione per principio sia una posizione utile alla scuola e all’insegnamento.

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