La posta di Città Nuova

Città Nuova

Incontriamoci a Città Nuova, la nostra città

 

Per esserci, in questo 2012

 

«Ho iniziato un cammino a settembre 2010 con il primo LoppianoLab. Ho preso coscienza che il carisma dell’unità proposto dal Movimento dei focolari investe tutta la persona nel suo complesso: è una cultura che informa le realtà sociali ed ecclesiali. Non esiste vera formazione spirituale se non abbraccia il mio quotidiano. Da questi laboratori e dai successivi avvenimenti politici ed economici italiani, si è ancora più evidenziata la necessità di essere presenti in tutti i campi del vivere civile e sociale. Di esserci e di farlo sapere. A mio parere Città Nuova ha iniziato un percorso più coordinato con il n. 22/2011, che riportava il documento sulle riforme istituzionali e l’invito ai lettori: “Diffondete il documento (www.mppu.org Mi sono chiesta: perché? La risposta era ovvia. Perché il giornale è mio, come è mia l’Italia e mia la responsabilità di decidere di essere cittadina attiva. ) e create occasione di riflessione. Poi fateci sapere per condividere i risultati”.

 

«Ho notato poi che sempre più sul giornale, ma anche sul web, si dà spazio ai giovani. Mi ha colpito molto sul n. 23/2011 l’articolo “La nuova gioventù. Quattro parole per avere voce”. Queste quattro parole sono: partecipazione, rete, comunicazione, formazione. Sono convinta che queste parole non servono solo ai giovani, ma anche a noi adulti. Un altro spazio che desidero segnalare è “Idee per l’Italia”. Molte le iniziative segnalate promosse dall’Istituto universitario Sophia, dall’Amu, da LoppianoLab, ma anche articoli sulla Costituzione. Grazie! Rispondono all’esigenza diffusa di riscoprire le ragioni della convivenza, chiedendo a esponenti di diversa estrazione la traccia di un dialogo possibile sulle questioni più attuali, a partire da alcune parole della Costituzione.  

 

«E poi che ricchezza il sito web! Con un gruppo di amiche ci segnaliamo gli articoli, perché non possiamo più permetterci di non avere un’opinione sui fatti. E poi Città Nuova mi piace perché non propone un “pensiero unico”, ci tiene al confronto. Soprattutto all’ascolto. D’altronde esiste per questo. Per aiutarci a essere, insieme, protagonisti del nostro tempo. Una segnalazione a parte meritano le esperienze di vita. Credo che ci sia un’estrema necessità di buone notizie. Io ne conosco tante e le passo a Città Nuova. Il bene non interessa al gossip ma è la leva che solleva il mondo».  

 Eugenia Bersani – Milano

 

rete@cittanuova.it

 

Latouche a Loppiano

 

«Ho letto un libretto di Serge Latouche, economista francese, che auspica una “decrescita felice” o “serena”. Le sue tesi mi sono parse interessanti, soprattutto in un momento come questo in cui viene il dubbio, non solo agli economisti, che le società capitalistiche possano continuare a scommettere su una crescita costante. Bisognerebbe conoscere meglio questo pensatore».

Paolo Prini – Genova

 

Certamente la “decrescita felice” di Latouche, che non è rimasta confinata in un libro ma ha dato vita a un movimento internazionale, è un sasso gettato nello stagno, una provocazione che mette il dito nella piaga di società che vivono nell’opulenza (non sempre di molti). Colgo l’occasione per invitare i lettori a un dialogo di Serge Latouche con i professori Stefano Bartolini e Luigino Bruni, che si terrà il prossimo 21 febbraio, alle 17,00, al Polo Lionello Bonfanti in località Burchio, a Incisa Valdarno, alla libreria L’Arcobaleno.

 

Qui si divide, non si moltiplica!

 

«Sempre più si fa strada la certezza che non siamo soggetti a “una manovra”, ma che siamo manovrati. Qualche anno fa, tutti felici e contenti, siamo entrati a far parte della moneta unica dicendo: “Finalmente, è un grande passo”. Ci hanno subito fornito di calcolatrici e ci siamo tuffati nella nuova avventura; ci hanno spiegato che un euro era l’equivalente di duemila delle vecchie lire.

«Per aiutarci ancora meglio e non traumatizzarci, si sono adoperati dal punto di vista psicologico, creando nella nuova moneta i 50 centesimi, un euro, due euro, cinque euro e così via, dandoci l’impressione che potevano essere equiparati alle 50 lire, 100 lire, 200 lire e compagnia bella. Meraviglia delle meraviglie, intorno a noi pochi usavano la calcolatrice, e perciò si era escogitato un sistema più efficace, 1.000 lire = 1 euro, 5.000 lire = 5 euro; vado dal mio amico dentista e invece delle solite 100 mila lire, mi chiede 100 euro.

«Siamo andati avanti così fino a che sempre più persone hanno dilapidato i risparmi per far quadrare i conti. Oggi sono sempre meno le persone che sono felici e contente».

Gigi

 

Certamente l’equivoco da lei segnalato ha avuto il suo peso nel permettere a tanti disonesti di arricchirsi. Ma non generalizzerei, come fa lei. La stragrande maggioranza degli italiani non è caduta nel tranello. Senza euro, ne sono convinto, saremmo in una situazione molto peggiore dell’attuale. Certo, ora siamo a una svolta, come hanno scritto i nostri editorialisti nel numero scorso: se l’Europa non affida l’euro ad autorità politiche e monetarie adeguate, con reale potere decisionale, la moneta non riuscirà più a proteggerci, e finiremo stritolati nella competizione tra le economie più grandi e reattive delle nostre.

 

Spina bifida

 

«Ieri sera ho letto la lettera di R. G. dalla Spagna (Città Nuova n. 24/2011) e vorrei dirle che il mio terzogenito ha la spina bifida e so cosa prova quando dice che avrebbe voluto avere la possibilità di sostituirsi al figlio. Quante volte l’ho detto anche io! Ma poi ho capito che sbagliavo, perché il dolore di mio figlio fa parte del progetto di vita di Dio per lui e per quanto possa essere dolorosa, la mia parte di mamma è quella di accompagnarlo nel vivere la volontà di Dio. Mi sembra sia stato il prof. Albert Dresdon a dire che Dio aveva donato suo Figlio per la nostra salvezza, non per la croce; allora perché non è intervenuto quando ha visto la sofferenza di suo figlio? Perché quello era il cammino del figlio e doveva viverlo».

Letizia Risaliti – Como

 

La domanda sulla sofferenza innocente attraversa la storia dell’umanità e resta senza risposta plausibile, razionalmente parlando… Mi accorgo che sto scrivendo queste parole nel Giorno della memoria, ricordo della Shoah: un genocidio che più di ogni altro esprime la gravità della domanda. Le risposte vanno cercate nella coscienza personale e collettiva. Vanno forse cercate piuttosto esistenzialmente, seguendo la via del Figlio morto in croce. In quell’amore taluni hanno trovato risposta alle loro domande. Come la signora Risaliti.

 

Accanto alla persona malata

 

«Vi ringrazio di un articolo in cui mi sono sentita compresa: “Accanto alla persona malata”, n. 20/2011. Era l’esperienza di un sacerdote con i malati e diceva come queste persone hanno bisogno di essere ascoltate senza sentirsi dire frasi fatte. Personalmente sono stata ricoverata più volte e mi sarebbe piaciuto incontrare questo sacerdote durante le mie degenze!».

Marianna Ercolano

 

Chiesa e cultura

 

«Il card. Bagnasco, al punto 8 della sua ultima prolusione, parla di molteplici iniziative di formazione sparse su tutto il territorio, facenti capo direttamente alle diocesi, oppure alle diverse aggregazioni ecclesiali espresse in Retinopera, così come il nostro Progetto culturale, che costituiscono quel “soggetto unitario diffuso” che, da una parte si offre come palestra formativa e, dall’altra, come laboratorio stimolante per la riconsiderazione dell’alfabeto della società e della politica. Non sarebbe il caso di ordinare le idee su questo soggetto unitario diffuso, lo stato di queste aggregazioni, i possibili sviluppi diocesani?».

Piero Platto

 

Retinopera sta svolgendo da anni un lavoro di tessitura di rapporti e legami tra esponenti di diverse associazioni del mondo cattolico. È un’opera meritoria che ci sembra non sia ancora conosciuta abbastanza. Certo è che lo Spirito soffia come, quando e dove vuole. Anche in Retinopera, anche nelle mille iniziative che associazioni e movimenti organizzano dal Nord al Sud della Penisola. Sul nostro sito può leggere alcuni approfondimenti sull’argomento. In queste poche righe, però, vorrei sottolineare come tale “soggetto unitario diffuso” debba essere naturalmente molteplice al suo interno. E le suggerisco di leggere il “Primo piano” di questo numero.

 

Parola vissuta

 

«Il n. 1 del 2012 riporta alcune riflessioni sulla Parola: “Lasciarsi vivere dalla Parola”. Questa espressione è poco chiara, sembra porre l’individuo in una dimensione di passività, annullandosi. È comprensibile vivere la Parola, identificarsi con essa. Se vivo la Parola, in un certo senso divento quella Parola vissuta, la mia vita diventa Vangelo vissuto».

Matteo Rinaldi – Foggia

 

Il linguaggio forse un po’ troppo libero di cui ci serviamo oggigiorno ci porta a usare espressioni che grammaticalmente e sintatticamente non sempre sono corrette o comprensibili. Nel caso in questione, potrebbe effettivamente sembrare che l’espressione indichi una passività che invece non è ipotizzabile nel vivere la Parola. Ma, a ben guardare, l’invito cosa vuole dirci? Semplicemente che una delle presenze di Gesù nel nostro mondo – la Parola appunto – può avere tutta la sua influenza se noi lasciamo che Gesù agisca in noi, se noi ci abbandoniamo a lui, come il Figlio ha fatto col Padre. E come noi facciamo, forse più facilmente, quando riceviamo l’Eucaristia.

 

Non ho mai scritto a un giornale

 

«Non ho mai scritto a un giornale, ma oggi volevo dirvi un grande grazie per tutto il lavoro che fate e soprattutto per questo ultimo numero di Città Nuova. Ieri mattina mi sono concessa il grandissimo lusso di guardare e leggere qua e là la rivista mentre sorbivo il caffè a colazione. È di solito il mio primo approccio, sperando poi di trovare il tempo di un approfondimento successivo. Questo per me è stato un numero speciale, mi è parso avesse un “di più”. Subito dopo mi sono sentita di parlare con Dio in modo diverso, di dirgli tante cose ed è aumentato il desiderio di far conoscere meglio tanta ricchezza. Continuate così».

Maria Grazia Aleotti 

 

Lettere come queste danno un senso al nostro lavoro, grazie.

 

Precisazione

 

«Grazie per aver pubblicato la nostra lettera (“Disabilità come risorsa”, Città Nuova n. 1/2012, p. 81). Un chiarimento: noi non siamo “dispiaciuti” – come pubblicato –. La cosa ci è stata fatta notare: Siete dispiaciuti? Come mai? Qualcuno vi ha fatto un torto? L’Abc non è dispiaciuta, né chi ci lavora, né l’organizzazione in quanto tale… Anzi mi è sembrato di capire che fosse Città Nuova dispiaciuta per l’errore commesso».

Rita Polo – Coordinatore generale Abc

 

I lettori si ricorderanno che l’associazione sarda Abc, operante nel campo dei cerebrolesi, scriveva un’ampia lettera per sopperire alla mancata menzione, rilevata da alcuni amici sardi, in una lista di associazioni che si curano di disabili, apparsa sul libretto di Ezio Aceti Mio figlio disabile, allegato alla nostra rivista nel n. 18/2011. È successo che, per motivare la pubblicazione della lettera, il nostro redattore ha aggiunto la frase incriminata: “Abbiamo notato con dispiacere”. Duro mestiere quello del giornalista! Bisogna mettere assieme i pezzi, rendere il tutto comprensibile, e alla fine appare impossibile accontentare tutti. Fa parte del nostro lavoro, e dobbiamo assumercene la responsabilità. Grazie all’Abc, comunque.

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