La Polonia che attende i giovani nel tempo del Giubileo

Intervista di Nouvelle Cité a mons. Celestino Migliore, nunzio apostolico in Polonia, recentemente nominato a Mosca, ma ancora impegnato nella preparazione delle Giornate mondiali della gioventù a Cracovia. (Seconda parte)
polonia

Continuiamo la pubblicazione dell'intervista della Città Nuova francese a monsignor Celestino Migliore.

 

Come prepara le Giornate della Gioventù che si svolgeranno a Cracovia la prossima estate?

Ogni GMG è un grande evento che richiede monumentali organizzazione, logistica, regia, ma anche collaborazione, solidarietà fattiva, supporto di preghiera e compassione, nel senso di “patire con e per” questo evento affinché sia un momento di Dio e non un mero successo umano. Talora ho l’impressione che stiamo realizzando un ricamo di cui per ora vediamo soprattutto il risvolto aggrovigliato di fili diversi sul quale, poi, la fraternità, la festa, la preghiera e l’audacia dei giovani faranno fiorire il disegno della misericordia messa in atto.

 

Nei raduni delle GMG ci sono tantissimi giovani. Lei pensa che tra così tanta gente si riesca ad andare spiritualmente in profondità e a vivere in pieno questo evento?

I giovani delle Gmg compiono un pellegrinaggio. La peregrinazione fa parte delle miserie umane, perché il pellegrino è in cerca di qualcosa, di qualcuno, che ha perso o che ancora non ha trovato nella sua vita. In questo senso, le centinaia di migliaia di giovani che affluiranno in Polonia sono miseri e l’accoglienza e la partecipazione non possono essere altro che la misericordia. Alcuni dei giovani che si metteranno in viaggio per la Gmg non saranno in grado di dire con certezza perché si sono incamminati. È il dubbio su se stessi, sulle scelte compiute, sulla condizione in cui si sono posti, a costituire un primo elemento di miseria umana. Questi interrogativi instillano il senso della precarietà personale a cui rispondono solo atti di misericordia. Altri giovani si mettono in viaggio per ragioni precise e nobili, come la testimonianza pubblica della propria fede, la consolazione spirituale di una vasta comunità di credenti, la speranza di trovare risposte ai propri interrogativi. Perché io mi trovo ora a condividere giornate di festa e fede con altri giovani, a bussare alla porta di un santuario o a quella di un confessionale? La profondità di questa domanda richiama il ruolo della misericordia nella comunità dei giovani, negli organizzatori, nel personale del santuario e del confessionale. Altri partono per trovare una dimora fraterna almeno per qualche giorno, un luogo di pace e di amicizia. Eppure un luogo che corrisponda pienamente a quanto si cerca non c’è. Giunti alla meta si ritrova anche lì la persistenza dell’incredulità, dell’indifferenza, delle proprie sofferenze interiori. A che cosa è servita la gran fatica del pellegrinaggio? Ecco un’altra domanda che immediatamente richiede il valore aggiunto della misericordia. 

 

Questa volta le Gmg si svolgono in un Paese vicino a noi. Nelle parrocchie si sente che i giovani vivono per l´incontro con  il Santo Padre, sono pieni di entusiasmo e di decisione. La Chiesa cosa si aspetta oggi dai suoi giovani?

Che facciano l’esperienza e si rivestano di misericordia. Papa Francesco ci dice spesso che misericordia non è solo devozione, ma soprattutto stile di vita, pratica di vita cristiana, criterio di azione sociale e internazionale. La misericordia oggi interpella tutti: individui e comunità, governi e sistemieconomici, interessi personali e nazionali, assurdità ideologiche che distruggono interi Paesi  e producono massicce ondate di rifugiati e migranti. L’opera di misericordia spirituale di ‘consigliare i dubbiosi’ ha un ruolo importante a fronte dello stravolgimento dell’idea dei diritti e dei doveri delle persone. Si esita o si trascura di garantire il debole e l'indifeso rispetto alla persona adulta, istruita, sana o ben curata. Si spacciano per di­ritti umani e progresso civile pratiche che avviliscono la persona umana e portano alla disgregazione della società. L’ultima delle tradizionali quattordici ope­re di misericordia, ‘pregare Dio per i vivi e per i morti’, ci mette in guardia dalla presunzione e dall'orgoglio di chi pensa di poter camminare da solo e fi­darsi solo di sé. Per questo papa Francesco ricorderà ai giovani che siamo un popolo in faticoso cammino e non degli arrivati.

 

Cosa può dirci della Polonia oggi? Dei suoi giovani? Della Chiesa?

Non credo di sbagliarmi nel dire che quella polacca figura tra le comunità cattoliche, in Europa e nel mondo, maggiormente solidali e creative nel campo sociale e umanitario. Me ne rendo conto viaggiando nelle diocesi dove trovo una fioritura ed una freschezza di iniziative sociali, umanitarie, educative, formative, promozionali dei ragazzi e giovani le cui risorse umane non sempre trovano il sostegno di quelle economiche; degli anziani, degli esclusi perché affetti da dipendenze varie; dei diversamente abili, delle donne che subiscono violenza, degli orfani della migrazione da lavoro, e così via.  Basta poi guardare alle statistiche: proporzionalmente al numero di abitanti e al livello di benessere, certamente i polacchi si distinguono per solidarietà e ‘fantasia della carità’. La carità non è ostentativa diceva San Paolo, traducendo l’evangelico la destra non sappia cosa fa la sinistra. Ed è così che non si conosce abbastanza l’enorme attività sociale ed umanitaria della comunità cattolica in Polonia, ma essa esiste, viene capillarmente praticata e si sviluppa. Questo, insieme alla preghiera, è il fiore all’occhiello della fede dei polacchi.

 

Nella Chiesa ci sono sempre meno vocazioni. Come può un giovane nel nostro mondo consumistico trovare l´attrattiva nella consacrazione completa a Dio? Le comunità autentiche sono forse una strada in questo?

Certamente. Infatti se guardiamo al panorama generale della Chiesa, vediamo che le vocazioni provengono da parrocchie vive, dove il sacerdote è contento di esserlo e di vivere lui per primo da cristiano trasparente. In quell’ambiente è sorta la mia vocazione. Dove la comunità vive la parola di Dio, la mette in pratica, si lascia modellare da essa nei suoi comportamenti. Dalle associazioni e movimenti ecclesiali che coinvolgono l’intera famiglia: dove genitori e figli vivono legami non solo naturali, ma si preoccupano di tenere viva la presenza di Gesù  in mezzo ad essi. Eppoi, la vocazione al sacerdozio non è la chiamata a far parte di un fascia sociale privilegiata. Spesso nasce dal discernimento e dalla decisione di servire, in modo anche ministeriale, la comunità cristiana. La vocazione matura nel cammino, talora faticoso ma sempre appassionante, di amicizia con Gesù.

 

E’ possibile svolgere attività diplomatica ed essere sacerdote allo stesso tempo? Come concilia le due cose?

Me lo chiedevo spesso, e con po’ di inquietudine, anni fa quando iniziavo questa attività. Ora non più. Allora avevo una grande passione per essere prete in mezzo alla gente e per la gente, come lo era il parroco che ammiravo e aveva suscitato in me la scintilla del sacerdozio. Subito dopo l’ordinazione, il mio vescovo mi destinò agli studi per intraprendere l’attività che conduco ora. Una decisione che faceva cadere i miei progetti come castelli di carta. Sarebbe forse stata una tragedia personale se non avessi incontrato, ancora da seminarista, un gruppo di giovani, i Gen, i quali avendo accolto il carisma di Chiara Lubich, cercavano di vivere a fondo ogni parola del vangelo che fa poi capo al comandamento nuovo di Gesù. Non erano diversi dagli altri giovani, ma cercavano di mettere Dio prima di ogni altra cosa e persona. Ho condiviso con essi questa semplice ma esaltante prospettiva. Fu questo clima di vita che mi portò a capire che non sono le cose di Dio, i bei progetti personali, ma Dio stesso che conta nella vita. Ho iniziato il mio lavoro nelle Nunziature e mi sono accorto che la mia attività specifica non era altro che vedere ogni cosa, ogni evento ed incontrare e trattare ogni persona, dal Capo di Sato al povero nella strada, in questa luce. Questo è anche l’essenza del sacerdozio, questa è lo spirito di ogni iniziativa pastorale di un prete in parrocchia. Non si sceglie il sacerdozio, ma Dio nel sacerdozio: e il Signore riserva sempre molte sorprese, perché ti porta là dove vuole Lui e fa scoprire in ogni ambiente delle potenzialità meravigliose e soprattutto dà la forza, la gioia e la soddisfazione di servire dove ti mette. In questo tipo di attività ho spesso l’impressione di essere al centro di eventi storici, insomma di cose grandi. Ma, le luci della ribalta si spengono presto. Ciò che ricordo, ciò che rimane, ciò che mi fa gustare la vita di ogni giorno sono le cose piccole, quelle ispirate dal comandamento nuovo di Gesù.

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