La pienezza della gioia

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Ma ora io vengo a te e dico queste cose mentre sono ancora nel mondo, perché abbiano in sé stessi la pienezza della mia gioia. Ritorna il Ma ora io vengo a te, motivo fondamentale del discorso della cena: l’imminente partenza dal mondo. Qui, viene ora espresso il motivo profondo del discorso: …dico queste cose…, perché abbiano in sé stessi la pienezza della mia gioia. Non si tratta della futura gioia, quella che verrà dopo la risurrezione e l’ascensione, ma della gioia della passione. Dice Bover: Egli (Gesù) non è soddisfatto d’aver promesso la gioia futura della risurrezione (cf. 16, 20-22), vuole che subito provino la gioia presente della passione: vuole che, anziché turbarsi per la malvagità dei capi giudei e la criminale accondiscendenza di Pilato, essi alzino gli occhi al Padre celeste e contemplino estasiati il suo infinito compiacimento per l’amorosa obbedienza del Figlio, e che questa visione ispiri loro una gioia tale da neutralizzare ogni umana tristezza. La gioia che Gesù vuole infondere nei discepoli è gioia che essi positivamente hanno da ricevere in sé stessi, non è semplice assenza di tristezza. Tutto il discorso, e soprattutto questa preghiera sacerdotale, è un messaggio di gioia. Io ho dato a loro la tua parola e il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Io ho dato a loro la tua parola. Affermando che il dono del Padre è motivo dell’odio del mondo per i discepoli, Gesù presuppone prima di tutto che essi abbiano osservato la sua parola (v. 8) e che la sua parola sia in contrasto col modo di vedere del mondo, come ebbe a dichiarare a Nicodemo: La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagio (Gv 3,19-20). Il mondo li ha odiati. C’è una vera contrapposizione fra i discepoli portatori viventi della parola di Dio e il mondo, che non odia solo la parola ma anche tutti coloro che la ricevono e la diffondono. Perché essi non sono del mondo. È in senso morale e spirituale che Gesù parla; in realtà i discepoli hanno avuto origine nel mondo inteso in senso neutro, ma la loro condotta e i loro costumi sono in contrapposizione con le massime e la condotta del mondo del peccato. Come disse Gesù a Nicodemo, essi sono rinati dall’alto ad una vita nuova, e dallo Spirito. Come io non sono del mondo. Gesù, pur essendo uomo, non è mai appartenuto in nessun modo al mondo del peccato. La sua nascita verginale per opera dello Spirito Santo lo ha posto al di là di questo mondo, pur condividendo con gli altri uomini l’umanità. Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Forse qualcuno dei discepoli aveva il segreto desiderio di partire con Gesù, abbandonando i pericoli e le ostilità, come già Tommaso, che aveva detto agli altri discepoli: Andiamo anche noi a morire con lui (Gv 11, 16), e ciò perché è difficile vivere in questo mondo che giace tutto in mano del malvagio (1 Gv 5, 19), Ma la missione degli apostoli non era quella di morire col Maestro. Essi dovranno essere inviati nel mondo (v. 18) per essere la luce del mondo (Mt 5, 14), anzi dovranno andare ed ammaestrare tutte le nazioni (Mt 28, 19). È per questo che Gesù chiede che non vengano tolti dal mondo, perché contrasterebbe con la loro missione apostolica se ne fossero materialmente separati. Ma che li custodisca dal maligno. Molti traducono: che tu li custodisca dal male, dando un significato neutro alla parola greca ek tou ponerou; ma vi sono valide ragioni per seguire la traduzione della Cei che vede qui il male personificato, cioè il diavolo. Tre sono le ragioni fondamentali: a) la forma personale, il maligno, è impiegata con frequenza negli scritti giovannei (1 Gv 2,13; 2,14; 3, 12; 5, 18; 5, 19) per indicare Satana; b) nell’intero Nuovo Testamento vi è una stretta connessione tra il mondo e il diavolo, del quale si dice che è il dio di questo mondo (2 Cor 4, 4); c) il parallelismo tra le due frasi, l’una delle quali si riferisce al mondo l’altra al diavolo, ricorre sovente nel Nuovo Testamento, ad esempio in Gv 12, 31, ove si dice: Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Questo versetto ci fa comprendere meglio il significato della parola mondo. Esso è sì pericoloso, ma perché è sotto l’influsso di Satana, non perché non si possa sgretolarne il regno operando dal di dentro del mondo; rimanendo nel mondo, i discepoli debbono togliere ad esso la sua mondanità e aprirlo ai frutti dello Spirito. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Sono le medesime parole pronunciate due versetti prima, e potrebbero perciò sembrare una inutile ripetizione. Bisogna notare due cose però, al v. 14b Gesù spiegava lì perché i discepoli sarebbero stati odiati dal mondo. Qui, invece, egli indica la causa per la quale il Padre deve santificarli e custodirli, il contesto è perciò diverso. Ci troviamo inoltre dinanzi ad un discorso che procede a spirale: si preparano perciò i vv. 17-19, ove la preghiera si fa intensa e profonda. Consacrali nella verità, la tua parola è verità. Consacrali. Questa parola domina tre versetti, il 17, il 18 e il 19 ed è perciò di particolare importanza. Molti traducono il verbo greco aghiàzo, con santificali. Esso significa, per prima cosa, separare un oggetto o una persona dal mondo profano; in secondo luogo vuole indicare una consacrazione, un incarico, o meglio, una deputazione ad un ministero divino e a Dio stesso. Più in particolare, aghiàzo indica la consacrazione della vittima offerta in sacrificio (Es 13, 2): Consacrami ogni primogenito, il primo parto di ogni madre tra gli israeliti – di uomini o di animali -: esso appartiene a me. Verità. Secondo il senso che appare frequentemente negli scritti di Giovanni, si tratta qui non della conformità tra l’essere reale e l’essere concettuale, ma della Rivelazione divina oggettivamente considerata, la verità trascendente espressa dal Padre nel Figlio e dal Figlio comunicata ai discepoli. Nella. Che cosa significa esattamente nella è di particolare interesse. La parola può avere due significati, uno ambientale e quasi locale e uno strumentale: per mezzo. Nel primo senso quasi locale, consacrali nella verità, vuoi dire nella verità rivelata, cioè nella sfera della realtà divina; non perciò in una prefigurazione di santità, ma con una vera partecipazione alla santità increata. Nel secondo senso, strumentale, vorrebbe dire sotto l’azione dei princìpi santificanti che reggono il piano della salvezza umana. Entrambi i significati sono fra loro complementari e compatibili. La tua parola è verità. Si contrappone la parola del Padre, il Verbo, alle finzioni e alle ombre del nostro mondo. Con la venuta di Gesù la parola di Dio è definitivamente detta nella storia ed è definitivamente vera. Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo. Si adopera il verbo apostéllo, mandare, inviare, così caro a Giovanni (lo incontriamo sette volte in questo capitolo). Si comprende meglio il significato della consacrazione degli apostoli. Essa è una delegazione alla missione futura. La missione del Figlio ha da proseguire nella missione degli apostoli. Vi è un’analogia tra la missione di Gesù e quella dei discepoli, e vi è una stretta relazione tra la santificazione e la missione Gesù infatti aveva detto: Colui che il Padre ha santificato e inviato nel mondo (Gv 10, 36). La santificazione di Cristo è avvenuta nell’unione della nostra natura con la natura divina del Verbo; l’invio nel mondo consisteva nell’annuncio della Buona Novella, dell’Evangelo della redenzione, operando questa mediante la passione e la risurrezione. La santificazione dei discepoli avviene per opera della partecipazione alla filiazione divina di Gesù. La loro missione consiste nel moltiplicare, in certo qual modo, la presenza di Cristo dopo la sua ascensione, presso tutte le genti. Come il Figlio è la gloria del Padre, i discepoli saranno la gloria di Gesù; come Cristo ha insegnato soltanto la dottrina ricevuta dal Padre, i discepoli saranno solo gli ambasciatori e i portatori del pensiero di Cristo. Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità. Per loro io consacro me stesso. I commentatori antichi e moderni, cattolici e non cattolici, sono concordi nell’interpretare così questa espressione: Io offro la mia vita in sacrificio per loro. Tra i commentatori moderni di questo versetto, Bover emerge per l’accuratezza dell’indagine. Seguiremo, perciò, particolarmente la sua esposizione. Egli traduce aghiàzo con santifico al posto di consacro (abbiamo visto prima, infatti, che la parola greca aghiàzo si può rendere con molte sfumature). Questa santificazione di Cristo non consisterebbe in un atto isolato, ma fu un atteggiamento costante di tutta l’anima che culminò nell’immolazione del Calvario. La santificazione di Cristo consistette nell’assoluta dedizione al Padre celeste, sì che Gesù poteva dire in tutta verità: Io faccio sempre quello che è di suo piacimento (Gv 8, 29). In questo egli faceva consistere tutta la sua missione: Sono disceso dal ciclo, non per fare la mia volontà, ma quella di colui che mi ha mandato (Gv 6, 38). Culmine di questa missione fu la volontà del Padre che il Cristo desse la vita per gli uomini, volontà cui egli si sottomise facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2, 8). La lettera agli Ebrei fa dire a Gesù (Eb 10, 5-7): Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo…. Commenta Bover: Se il sacrificio è la suprema santificazione, l’oblazione sacerdotale e l’immolazione vittimale del Redentore sono il sacrificio supremo offerto a Dio in fragranza di soavità (cf. Ef 5, 2). Quindi, se noi siamo stati santificati mediante l’offerta del Corpo di Cristo (Eb 10,10), qual meraviglia se, unto, mediante il sangue di una alleanza eterna (Eb 13, 20) resta santificato e misticamente consumato il Redentore stesso (cf. Eb 2, 10)? Aronne e i suoi figli, per essere consacrati sacerdoti, ebbero bisogno dell’unzione dell’olio santo e dell’immolazione ripetuta sette volte di un vitello e di due montoni (cf. Es 29, 2-37); Cristo, senza necessità di unzione e di vittime, fu consacrato coll’unzione del suo proprio sangue e l’immolazione della propria vita. Per loro. Innanzitutto significa a beneficio di loro. Ma questo primo significato non esaurisce completamente il senso della frase; occorre richiamarsi alla solidarietà degli uomini in Cristo, quale troviamo in Paolo e che è anche espressa nel sermone eucaristico: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui… Come… io vivo per il Padre… vivrà anch’egli per me (Gv 6, 57-58). In questo contesto, per loro significa anche in loro rappresentanza, solidale con loro. Perché siano anch’essi consacrati nella verità. La consacrazione e santificazione dei discepoli manifesta un duplice aspetto: a) solidarietà con Cristo. Se si applica a tutti gli uomini la frase di san Paolo: Uno morì per tutti, dunque tutti sono morti… (2 Cor 5, 14), a maggior ragione essa deve applicarsi ai discepoli che erano con Gesù nell’ultima cena, tanto più che essi rappresenteranno Cristo dinanzi agli uomini (2 Cor 5, 20); b) il secondo significato implica la derivazione e continuazione del sacrificio di Cristo nell’opera degli apostoli e dei loro successori, quella costante immolazione splendidamente espressa da Paolo: Portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo le sofferenze di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Noi che viviamo, infatti, siamo di continuo esposti alla morte a causa di Gesù, affinché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale (2 Cor 4,10-12). Sotto un aspetto più generale, che riguarda non solo gli apostoli ma tutti i fedeli, la santità cristiana è una riproduzione del sacrificio di Gesù. Questo è il vero significato della mortificazione. Dice Paolo: Quelli che sono di Cristo Gesù han crocifisso la carne colla sua passione e le sue concupiscenze (Gai 5, 24) e, in senso più profondo ed ontologico, sempre Paolo scrive ai Romani: O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesti, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti con lui nella morte…; il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto è ormai libero dal peccato (Rm 6, 3-7). Appare cosi chiara la linea cristiana della santità. Essa, che ha inizio nella misteriosa concrocifissione degli uomini con Cristo sul Calvario, da santità potenziale diventa santità formale e personale coll’attuazione della stessa immolazione nella vita e nella morte. La croce di Cristo, o meglio Cristo crocifisso, è il punto culmine dell’era cristiana. Si comprende allora come san Paolo scrivesse ai Corinti: Ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso (1 Cor 2, 2). E ai Galati diceva: Quanto a me, invece, non ci sia altro vanto che nella croce di Nostro Signore Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso come io per il mondo (Gal 6, 14). Nella verità. I manoscritti non portano l’articolo, si dovrebbe perciò tradurre in verità, col significato cioè di veramente. Il senso sarebbe perciò Santificali con una santificazione vera, non fittizia, ma reale. Buona parte però dei traduttori ritengono che sia più adeguato al senso voluto dal Maestro tradurre con santificai nella verità, dato che, come abbiamo visto prima, la verità esprime la Rivelazione stessa. E in questo senso nella verità abbraccia tre aspetti: l’aspetto quasi locale (nella verità); l’aspetto strumentale (per mezzo della verità); e, subordinatamente, l’aspetto finale (per la predicazione della verità).

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