La pena di morte nel mondo

Sono diventati 97 i paesi abolizionisti, mentre in Europa è solo la Bielorussia a mantenere la pena capitale. Le condanne sono diminuite mentre sono cresciute le esecuzioni. Il rapporto di Amnesty International 2013
Manifestazione contro la pena di morte per Sakineh

Un anno contraddittorio il 2012, in quanto agli sviluppi sul fronte dell'abolizione della pena di morte: è quanto emerge dal rapporto annuale di Amnesty International, divulgato oggi dall'associazione. Se infatti sono diminuite le condanne capitali – 1722 in 58 Paesi, contro le 1923 in 63 Stati nel 2011 – sono invece aumentate le esecuzioni – 682 in 21 Paesi, contro le 680 dell'anno precedente.

Secondo quanto si legge nel rapporto, a destare particolare preoccupazione è la situazione in Iraq, dove il boia è entrato in azione ben 129 volte, il doppio dell'anno precedente; ma anche l'India, che ha eseguito la prima condanna a morte dal 2004; il Giappone, che dopo 20 mesi senza esecuzioni ha impiccato quattro uomini; e l'Iran e la Cina, i Paesi che più vi fanno ricorso al mondo, dove però il silenzio delle autorità di governo impedisce di ottenere dati certi. Amnesty ritiene comunque che Pechino sia in vetta a questa triste classifica affidando al boia «più persone che tutto il resto del mondo messo insieme», e pone Teheran al secondo posto con 314 esecuzioni ufficialmente registrate.

In Europa il dito rimane puntato contro la Bielorussia, unico Paese della regione a fare ancora uso della pena di morte e per giunta in forma segreta (ci sono state almeno tre esecuzioni); mentre in America questo ruolo di solo Paese mantenitore – pur all'interno di un quadro legislativo del tutto diverso – è ricoperto dagli Stati Uniti, con 43 esecuzioni nel 2012 (le stesse del 2011, ma in 9 Stati anziché in 13).

Nonostante tutto, ha sottolineato Amnesty, «la tendenza globale verso l'abolizione della pena di morte è proseguita»: la Lettonia ha ingrossato le file dei Paesi abolizionisti per tutti i reati, che sono così diventati 97; negli Usa, il Connecticut è diventato il 17mo Stato ad eliminarla, e in California si è tenuto un referendum che ha mancato di poco lo stesso obiettivo; e anche in Africa, pur essendo aumentato il numero totale di esecuzioni soprattutto a causa dell'instabilità in Sudan e Gambia, diversi Paesi – tra cui il Benin, il Ghana e la Sierra Leone – si stanno muovendo verso l'abolizione, o in concreto non la praticano: se si considerano anche gli abolizionisti di fatto (ossia quelli in cui non si verificano esecuzioni da almeno 10 anni), sono 140 gli Stati al mondo che non vi fanno ricorso, contro i 58 che invece la mantengono.

Considerando i reati per i quali la pena viene applicata, inoltre, si nota come in diversi casi – spaccio di droga, adulterio, apostasia, crimini di natura economica o politica – non si tratti di fatti violenti: per questo, ha dichiarato il segretario generale di Amnesty Sahil Shetty, «la vera ragione per l’uso della pena di morte può spesso essere trovata altrove che nell'effetto di deterrenza: nel 2012 abbiamo ancora una volta assistito al suo uso della pena di morte per quelli che sono sembrati essere scopi politici, o come misura populista o strumento di repressione».

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