La paura e la grazia

Nei “Dialoghi delle carmelitane”, suo capolavoro postumo, Georges Bernanos “santifica” la fragilità degli umili
Georges Bernanos (wikipedia)

Nel cimitero comunale di Pellevoisin, tranquilla cittadina al centro della Francia, riposano a poca distanza l’una dall’altro, in due tombe modeste, Estelle Faguette, l’umile domestica miracolata dalla Madonna, che le apparve nel 1876, e Georges Bernanos, tra i più celebri scrittori cattolici del secolo scorso.

Niente in comune tra loro, salvo l’esser stati entrambi cristiani convinti e innamorati della Madonna. Ma lasciamo Estelle e parliamo di Georges, che nasce a Parigi nel 1888 e riceve un’educazione profondamente cattolica, legata alle convinzioni monarchiche. Militante sin da giovanissimo in Action française, movimento nazionalista e antiparlamentare, allo scoppio della Prima guerra mondiale si arruola volontario nel 6º Reggimento Dragoni. Nel 1917 sposa Jeanne Talbert d’Arc, lontana discendente di un fratello di Giovanna d’Arco, con cui avrà sei figli.

Sull’onda del successo del suo primo romanzo, Sotto il sole di Satana, lascia il lavoro in una società di assicurazioni e intraprende la carriera di scrittore. Nell’arco di soli dieci anni manderà in stampa Sotto il sole di Satana, La gioia, Diario di un curato di campagna ed altri romanzi caratterizzati da un profondo scavo psicologico dei personaggi, dove sono chiamati in causa il divino e l’umano, la potenza del male e l’aiuto della grazia.

Con I grandi cimiteri sotto la luna, invece, ispirato dalla guerra civile spagnola che lo sorprende mentre è a Palma di Majorca nel 1934, Bernanos stigmatizza sia le atrocità commesse dai franchisti, sia l’appoggio criminale dato loro da cristiani cattolici. Questo pamphlet rappresenta la sua definitiva presa di distanza dai movimenti nazionalisti e dai vecchi amici di Action française.

Seguono anni di volontario esilio in Brasile con la famiglia, mentre infuria la Seconda guerra mondiale (1938-1945). Isolato scrittore in quella che considera sua seconda patria, si dà all’agricoltura e, trascurando la narrativa, alla saggistica politica. Numerosi gli articoli nei quali dà pieno sfogo alla sua vena polemica: un modo per partecipare attivamente alla Resistenza.

Nel 1945 rientra nella Francia liberata. In Tunisia durante l’inverno 1947-48, ritorna a Parigi gravemente malato. Muore a Neuilly-sur-Seine, nel 1848. Ultima sua opera, i Dialoghi delle carmelitane. Pubblicata postuma come testo teatrale, era nata in realtà come sceneggiatura per un film mai realizzato, tratta dal racconto L’ultima al patibolo della scrittrice tedesca Gertrud von Le Fort, che a sua volta si era ispirata alla storia vera delle sedici carmelitane di Compiègne ghigliottinate nel luglio 1794, durante la Rivoluzione francese, e beatificate da papa Pio X nel 1906.

In questo capolavoro di spiritualità tutto ruota attorno al personaggio (inventato) di Bianca de La Force, una giovane aristocratica dominata dalla paura, postulante nel 1789 presso le carmelitane di Compiègne non tanto per vocazione quanto per vivere lontana dai pericoli del mondo. Per ben due volte, infatti, ha rischiato l’assalto della folla imbestialita: la prima, ancora nel grembo della madre, morta poi nel darla alla luce; la seconda, durante una sommossa popolare per la Rivoluzione già in atto.

L’anziana priora madre Enrichetta di Gesù ha compreso cosa spinge Bianca al Carmelo («La nostra Regola non è un rifugio, non è la Regola a custodire noi, siamo noi che custodiamo la Regola»), tuttavia l’accetta per la scelta del nome da religiosa – suor Bianca dell’Agonia di Gesù – «…perché da principio fu la mia un tempo», come spiega alla vice-priora madre Maria dell’Incarnazione, cui in punto di morte affida la giovane. Morirà nel buio di una prova spirituale, anticipatrice di quelle che dovrà affrontare la nuova priora, madre Maria Teresa di Sant’Agostino. Toccherà infatti alla neoeletta far fronte ai drammatici eventi che colpiranno il Carmelo durante il Terrore: la confisca dei beni, la ripetuta profanazione del convento e infine lo scioglimento della comunità.

Prima ancora, però, le novizie suor Bianca e suor Costanza hanno preso il velo coi nomi prescelti. Non solo: in assenza della priora, su richiesta di madre Maria dell’Incarnazione, le sedici suore rimaste hanno fatto «voto di martirio per meritare la conservazione del Carmelo e la salvezza della patria»; voto formulato anche da suor Bianca per evitare il giudizio delle consorelle. Più tardi, nella confusione dovuta all’occupazione del monastero da parte dei militari, la giovane fugge a Parigi dal padre, ignara però che il marchese de La Force è stato ghigliottinato. Serva in casa propria, sorvegliata a vista e terrorizzata per la sorte che l’attende, la giovane riceve la visita inaspettata di madre Maria in abito borghese, che le dà un indirizzo fuori Parigi dove salvarsi. Nel frattempo le altre carmelitane, compresa la priora, sono state incarcerate nella Conciergérie per essersi rifiutate di rinunciare ai voti. La condanna a morte è estesa anche alla vice-priora, in contumacia.

Il 17 luglio 1794 le quindici suore vanno al patibolo cantando; ad esse, in un estremo atto di coraggio, si unisce per ultima suor Bianca. Già oggetto di commiserazione da parte loro per la propria pavidità cui si era rassegnata, malgrado fosse consapevole che seguire lo Sposo nella vita claustrale esige eroismo, è ora finalmente resa conforme a ciò di cui porta il nome da religiosa: l’Agonia di Gesù.

Alla donna forte, invece, che è madre Maria, sopraggiunta a condividere la sorte delle consorelle, il cappellano presente all’esecuzione in abiti da popolano ordina di restare in vita per il Carmelo: toccherà a lei, infatti, scrivere il resoconto degli eventi di cui è stata testimone.

C’è di che meditare sui giudizi affrettati che talvolta si fanno su persone ritenute mediocri, alle quali però Dio concede grazie speciali perché umili. Viene in mente ciò che Bernanos aveva scritto nel romanzo La gioia: «Sotto un certo punto, vedete, la Paura è comunque figlia di Dio, riscattata la notte del Venerdì Santo. Non è bella a vedersi – no! – ora derisa, ora maledetta, rinnegata da tutti… Eppure non illudetevi: essa si trova al capezzale di ogni agonia, essa intercede per l’uomo».

Dai Dialoghi delle carmelitane, nel 1957, il musicista Francis Poulenc ha tratto l’opera omonima, di una essenzialità e forza melodica incantevoli. Da brividi è il finale con la drammatica Salve Regina intonata dalle moriture fra gli schianti secchi della lama della ghigliottina (invisibile) che le miete ad una ad una, interrompendone il canto. Finché, a raccogliere il testimone delle compagne, s’avanza sulla scena Bianca, figura non più esitante, che iniziando il Gloria s’avvia a sua volta verso il patibolo fra i lenti rintocchi di una campana.

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