La paura della guerra e la lezione della marmotta

Il comportamento degli animali può essere utile agli uomini? Per l'etologo Daniel T. Blumstein nelle situazioni di pericolo possiamo seguire l'esempio della marmotta.
Una marmotta, foto Pixabay.

Sono le 8.50 del mattino, mentre corro per strada per andare a lavoro, osservo l’incontro tra due donne davanti ad un bar, una dice all’altra: “Possiamo abbracciarci? Sì, il Covid non c’è più (?!!!), adesso c’è la guerra!“. Una battuta ironica che nasconde una grande verità.

Ore 18.40, l’ultima persona che entra al mio studio, mi dice: “Sto bene, per come si può stare bene in questo momento”. Leggiamo e ascoltiamo le notizie seguendo passo passo cosa accade: le bombe, i palazzi distrutti e le persone che dall’Ucraina fuggono in altri Paesi europei. Con dispiacere, empaticamente, entro nelle sensazioni di quei testimoni di guerra dalla voce tremolante e gli occhi ludici. Nell’aria c’è paura!

Siamo passati dalla paura del virus alla paura della guerra, possiamo facilmente costatare come stiamo rispondendo a complessi eventi sociali e politici che si stanno susseguendo. Il nostro modo di reagire, le nostre ansie di fronte a questa realtà.

L’etologo (studia il comportamento degli animali, ndr) Daniel T. Blumstein in un suo libro intitolato “Paura”, utilizza alcune informazioni derivanti da studi sugli animali per spiegare dei fenomeni anche umani. Uno degli esempi che fa è come possiamo imparare dalla marmotta che è in noi e quale lezione possiamo trarne dagli animali rispetto al poter vivere meglio in un mondo pericoloso. Le marmotte, dice Blumstein, emanano dei suoni non appena vedono un predatore, un cervo, per avvisare tutti del possibile pericolo. La paura ci porta ad una condizione naturale di risposta attacco/fuga, ci attiviamo dal punto di vista neurofisiologico e comportamentale a combattere contro qualcosa o a fuggire da esso.

Impegnare continuamente il nostro organismo nel meccanismo di lotta-fuga per combattere le situazioni nocive, potrebbe avere delle conseguenze anche per la nostra salute; come la comparsa di malattie da stress. Invece, un effetto positivo che questa emozione ha sulla nostra vita è data dalla spinta verso un cambiamento che può generare; ci interroga per modificare qualcosa che non va. Nel tempo tuttavia, tendiamo ad abituarci ai messaggi spaventosi, probabilmente tra qualche settimana l’effetto delle notizie sulla guerra su di noi avrà un effetto emotivo differente, minore rispetto ad adesso. Come lo è per i focolai di guerra che ci sono in tante altre parti del mondo più lontane da noi (pensiamo a come ci siamo abituati alla guerra in Siria).

La gestione della paura è una parte inevitabile della vita, della nostra quotidianità, e non solo è impossibile eliminare totalmente il rischio che qualcosa di negativo accada, ma è anche impossibile eliminare le emozioni che l’accompagnano. Possiamo accogliere quello che sentiamo, dargli un senso nel presente, e poi decidere come rispondere a tutto ciò.

Insieme all’evitamento della paura sembra coesistere nell’uomo anche il desiderio di oltrepassare il limite, di rischiare, ed è impossibile eliminare tutti i rischi, come è impossibile eliminare tutte le paure.

La nostra eredità evolutiva prevede che reagiamo alle minacce, ci predisponiamo a iper-reagire a una molteplicità di stress. Questi stati di allerta sono numerosi: abbiamo una lunga storia di conflitti, teniamo lontani gli outsider (cioè chi non appartiene al nostro gruppo), temiamo le interazioni con i potenziali predatori umani, siamo preoccupati per la perdita delle nostre risorse e tutto ciò incide sul nostro senso di sicurezza personale, familiare, e comunitario.

Un altro effetto della paura è quello di condizionarci in modo adattivo, imparando dalle esperienze negative possiamo prevedere e gestire gli errori, quindi, avere un atteggiamento prudente; come è stato fatto per tanti anni, dopo la Seconda Guerra mondiale (evitando conflitti per non cadere nell’orrore che hanno vissuto i nostri nonni).

La marmotta che è in noi si è evoluta per affrontare nessi causali semplici, come per esempio: se vede un predatore in un certo luogo in più occasioni diverse, probabilmente, vuol dire che è un luogo pericoloso. Quindi la marmotta rinuncia a mangiare in quel luogo anche se affamata, perché può essere pericoloso e così potrà vivere più a lungo. La paura che oggi stiamo vivendo per questioni politiche internazionali ci aiuterà a trovare soluzioni e a cambiare i nostri comportamenti affrontando il problema. La paura di trovare gli ospedali pieni e le terapie intensive intasate durante la pandemia da Covid 19, ci ha portato a cambiare alcune abitudini. In questo momento storico particolare cosa attiva in noi la paura? Come facciamo a valutare un rischio quando qualcosa ci spaventa? Un modo semplice, può essere quello di valutare due fattori: la probabilità che una cosa accada e la conseguenza se questo accade.

Il nostro rapporto con la paura è un un insegnamento ancestrale, che ha permesso di generazione in generazione la sopravvivenza umana. Non potendo eliminare totalmente i rischi, le emozioni (se ascoltate) possono aiutarci a prendere delle decisioni, non possiamo cancellare le paure, ma possiamo accettarle e affrontarle.

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