La passione di Eluana

La morte della giovane donna ha suscitato un ampio dibattito e accese polemiche nel Paese. La questione dai punti di vista umano, medico, plitico e giuridico.

La storia di Eluana è paradossale. I media, generalizzando e schematizzando come al solito la vicenda, hanno presentato uno scontro tra chi crede nella vita eterna e si è battuto affinché vivesse fino al suo ultimo respiro terreno e chi crede solo nella vita terrena e si è battuto affinché terminasse la sua avventura umana. Invece no. Non è stata una battaglia tra credenti e non credenti, né tra Chiesa e Stato, ma sulla concezione della vita di Eluana. A chi l’ha ritenuta morta 17 anni fa, dopo l’incidente, è sembrato naturale che morisse interrompendo il sostegno vitale legato all’alimentazione e idratazione tramite un sondino. Chi l’ha ritenuta viva, anche se in una forma minima, l’avrebbe voluta mantenere tale fino al decorso naturale. I pensieri precedono le decisioni e le azioni, e aver concepito Eluana viva o morta ha orientato la scelta per l’una o l’altra opinione. Dall’una e dall’altra parte è stata una lotta per conservare Eluana nel suo stato, ritenuto ancora di vita o già di morte. Eluana, del resto, era considerata da alcuni un cadavere insepolto dal momento dell’incidente e molti hanno confuso la morte cerebrale con lo stato vegetativo. Nel primo caso siamo di fronte alla certezza della morte clinica, dichiarata dopo sei ore di elettroencefalogramma piatto, assenza di riflessi, di risposte motorie e respirazioni spontanee. Nel secondo caso siamo di fronte ad uno stato vegetativo persistente, in cui la scienza non ha raggiunto risultati definitivi sul grado di consapevolezza di sé, sulle interazioni con l’ambiente, sull’evoluzione dell’irreversibilità. Quel che è certo è che Eluana dormiva, si svegliava e respirava da sola, senza ausilio di nessuna macchina o medicinali perché non aveva alcuna malattia. Il sostegno vitale era fornito da un sondino naso-gastrico che garantiva l’alimentazione e l’idratazione. Non eravamo in presenza di un trattamento sanitario, anche se era sanitarizzata la forma di somministrazione del cibo e dell’acqua. È stata un’azione di sostegno per lo svolgimento di funzioni vitali autonome. Eluana non ha subìto – ha dichiarato lo stesso Beppino Englaro – nessun accanimento terapeutico . La sua dignità della vita aveva un valore in sé, non era incrinata dalle circostanze tragiche in cui è venuta a trovarsi, né dal riconoscimento esterno se la sua vita era degna di essere vissuta. La storia di Eluana è anche archetipale, cioè simbolica delle cose più importanti. Ci ha appassionato non solo perché ci ha posto alcune questioni fondamentali sulla vita e sulla morte, non solo perché ci ha portato sulla soglia del mistero più insondabile, ma perché era la figlia, la sorella, l’amica che ci ha tenuti con il fiato sospeso. Attraverso i media, soprattutto la tv, è entrata nelle nostre case ed è diventata una di noi. Conoscendo la sua storia, abbiamo imparato a volerle bene. Quale cuore, del resto, poteva restare insensibile di fronte alla vicenda di una ragazza di 19 anni che si era schiantata con la propria macchina contro un muro per il fondo stradale ghiacciato ed era sprofondata in un sonno misterioso, di cui la scienza non conosce i confini? Distesa su un letto per ben 17 anni, in stato vegetativo persistente, amata e seguita come una figlia dalle suore misericordine di Lecco che fino all’ultimo hanno chiesto solo di trattarla bene. La sua morte, avvenuta lunedì 9 febbraio alle 19 e 35, ha commosso l’Italia. Avevamo imparato ad amarla, ha concluso Tiziana Ferrario nel Tg1 che ha annunciato la sua scomparsa. Ora si chiude il sipario su questo dramma consumato da eccessivo dolore. Con la speranza che la morte di Eluana ci apra gli occhi sulla realtà di migliaia di italiani in condizioni simili alle sue, abbandonati nella solitudine, nell’incertezza economica, nell’impotenza fisica e psicologica. L’amore dei loro cari è un lumicino di speranza che brilla nel buio e illumina il senso della vita di Eluana.

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