La pace come ostinazione, a 70 anni da Tu non uccidere di Mazzolari

Un contributo sull’attualità della testimonianza di don Primo Mazzolari in vista dell’incontro “Guerra alla guerra. Mazzolari e Milani profeti di pace ” promosso sabato 13 gennaio a Bozzolo dalla Pastorale sociale della Cei
Archivio Fondazione Mazzolari ANSA/TO

«Non si fanno le guerre per perderle». Terribile verità, che spiega l’escalation di violenza e morte ogni volta che l’uomo si rifugia nella guerra per risolvere i conflitti.

Con queste parole di estrema concretezza don Primo Mazzolari rifletteva sulla pace settant’anni fa. L’opuscolo Tu non uccidere, infatti, veniva pubblicato anonimo nel 1955, ma era già pronto il 15 agosto 1952.

Dopo aver vissuto le due guerre mondiali del Novecento, il parroco di Bozzolo ha condiviso con i giovani del suo tempo pagine di meditazione sull’inutilità della guerra. L’attualità di quel libro, alla luce dei fatti di questi giorni, appare luminosa, persino profetica. Almeno tre temi meritano una ripresa.

Il primo è l’assurdità della corsa agli armamenti. È follia allo stato puro. Ci si mette nelle condizioni di fare la guerra pensando di evitarla. «E nel frattempo, – scriveva – sempre nuovi ordigni e sempre più micidiali vengono inventati, esperimentati e conservati per la giusta guerra di domani».

Preparare la guerra significa allestire le basi per farla: «Se vuoi la pace prepara la pace; se vuoi la guerra prepara la guerra». Non è facile resistere alla tentazione di volere imporre la pace con le armi. Talora con la scusa di evitare la guerra si tenta di giustificarne la preparazione e «la vittoria da raggiungersi ad ogni costo fa lecito l’illecito».

Così, «la guerra incomincia quando, per non fare la guerra, mi metto nella disperazione di doverla fare». Da queste premesse derivano logiche conclusioni: è illusorio pretendere di promuovere valori con la violenza, il bene con il male. «Chi pretende di difendere, con la guerra, la libertà, si troverà in un mondo senza nessuna libertà. Chi pensa di difendere, con la guerra, la giustizia, si troverà con un mondo che avrà perduto perfino l’idea e la passione della giustizia».

L’unica arma di difesa, per Mazzolari, «è la giustizia sociale più che l’atomica».

Il secondo tema è che «ogni guerra è fratricidio». Rappresenta un oltraggio a Dio e all’uomo, al Creatore e alle creature. La distruzione realizzata dalla guerra è opera di de-creazione. Proprio della mentalità bellica è la costruzione del nemico. La pace, invece, riconosce il prossimo, perché «chi non ama è nella morte», secondo l’insegnamento evangelico. «La gara del più forte ha divorato e divora continuamente uomini e città, nazioni e continenti», commenta Mazzolari. Se la guerra è negazione della fraternità, essa comincia con stili accondiscendenti verso la violenza, verso gli investimenti in armi, verso le forme di ingiustizia e di povertà: «il tacere, il non muoversi, o il muoversi lentamente, è nostro; ed è uno dei segni della nostra decadenza, che poi ci fa chiusi, lamentosi e sterili oppositori delle iniziative altrui». La guerra non è solo quella degli esplosivi, ma nasce col trattare «il fratello come utensile, materialisticamente».

La terza riflessione è che la guerra va sempre a scapito dei poveri. «E quelli che ci lasciano la vita, coloro che cadono, a migliaia, sono sempre gli umili, gli anonimi, il popolo che non ha mai voluto le guerre, che non le ha mai capite; mentre desiderava unicamente vivere libero e in pace».

La guerra appare come «strage degli innocenti». La gente comune è costretta a fuggire, le città diventano inferno, i civili subiscono massacri. E quando i poveri vengono lasciati nella tentazione di spargere sangue in difesa del pane e della dignità, la pace non godrà mai di buona salute.

Don Primo osserva «che è stupido moltiplicare stragi, rovine e disordini irreparabili sotto pretesto di riparare i torti: i superstiti dovranno alla fine mettersi a ragionare, se non vogliono distruggersi completamente: allora, tanto vale incominciare subito a fare l’uomo, visto che non giova a nessuno fare la bestia».

Non c’è niente, dunque, di tanto disumano quanto la guerra. L’uomo retrocede allo stadio animale e regredisce rispetto a ogni possibile sviluppo. Tornano indietro drammaticamente le lancette dell’orologio della storia. Invocare la guerra a soluzione dei conflitti appare inutile, aggiunge sofferenze a sofferenze e non risponde più alle esigenze del bene comune. Crimine contro l’umanità.

Don Primo ricorda che «l’animalità fa il male per star bene», ma finisce per svuotare la fiducia in Dio e nell’uomo. La pace, invece, è l’unica ostinazione da perseguire. Tuttavia, diventare costruttori di pace significa non essere mai in pace.

Parole che non passano.

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