La nuova droga che viene dal Medio Oriente

Lo chiamano impropriamente captagon, come un farmaco proibito dall’Oms nel 1986. È “la droga dell’Isis” e circola da qualche anno soprattutto in Medio Oriente. Solo il potenziamento dell’azione concertata a livello internazionale può tentare di contrastarne la diffusione.

In Italia, e non solo in Italia, si parla molto poco di un nuovo stupefacente che imperversa in Medio Oriente da qualche anno. Si tratta di un’evoluzione del captagon: la nuova versione è una metanfetamina potenziata (con tramadol e altre sostanze di sintesi), detta anche “droga del jihadista” o “droga dell’Isis”. Il nome di fantasia deriva dal fatto che i jihadisti kamikaze l’assumerebbero prima di un attacco suicida, ma vi ricorrerebbero spesso anche miliziani e foreign fighters di vari gruppi islamisti. Un altro motivo dell’appellativo deriva dal fatto che la diffusione del nuovo captagon sarebbe direttamente promossa da trafficanti legati all’Isis e ad altri gruppi jihadisti, con lo scopo di finanziare le attività terroristiche. Il captagon nuova versione inibisce la paura e il dolore, non fa percepire fatica, fame e sete e provoca euforia e sensazione di potenza. E crea rapidamente una forte dipendenza.

L’ultimo di una serie di grandi sequestri di captagon è avvenuto al porto di Beirut il 29 dicembre scorso: la polizia libanese ha infatti scovato una nave in partenza per il Golfo Persico con un carico di 9 milioni di pillole (ca. 1,7 tonnellate) nascoste all’interno di finte arance inserite in una spedizione di frutta. Metodo ben noto: in passato si sono trovate pasticche dentro a melograni, confezioni di latte e the; o nascoste in pezzi di sapone artigianale. Non più di una settimana prima del blitz di Beirut un altro carico da un milione di pillole di abu hilalain (il nome attribuito in arabo al nuovo captagon) era stato sequestrato negli Emirati, nascosto dentro finti limoni.

A partire dal 2015 i sequestri di grandi quantità di captagon si sono succeduti a ritmo incalzante in vari paesi del Medio Oriente: oltre che in Libano, cospicui quantitativi sono stati scoperti soprattutto a Dubai, in Egitto, Turchia e Arabia saudita. Ma l’Europa non è estranea al traffico di captagon: dopo alcuni sequestri in Grecia, nel giugno 2020 la polizia italiana ha intercettato nel porto di Salerno un maxi carico di 14 tonnellate di captagon, 84 milioni di pillole avvolte in grandi bobine industriali di carta, per un valore stimato in circa 1 miliardo di euro. Si sono trovati inoltre indizi di collegamento fra produttori siriani e varie organizzazioni mafiose, che smercerebbero poi la droga agli intermediari e quindi ai clienti per un prezzo medio molto economico di circa 13-15 euro per una pillola. Secondo uno studio dell’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (Emcdda) i produttori afghani della materia prima sarebbero in grado di immettere sul mercato internazionale migliaia di tonnellate all’anno di metanfetamine, che verrebbero poi “arricchite” in laboratori mediorientali (pare soprattutto in Siria e Libano) per produrre il nuovo captagon e avviarlo attraverso la rotta balcanica o via mare verso l’Europa, dove come è risaputo ci sono grandi mercati di spaccio, e verso il sudest asiatico. Alcuni esperti stimano che negli ultimi 4 anni il commercio di captagon sia aumentato di 18 volte e siano state prodotte centinaia di milioni di pillole che, per quanto ne sappiamo, hanno raggiunto Turchia, Egitto, Arabia saudita ed Emirati; ma anche la Malesia e, in Europa, Romania, Grecia, Italia, Francia e Germania.

Non è possibile ignorare il pericolo anche sociale che questo stupefacente rappresenta, soprattutto per le grandi quantità immesse sul mercato clandestino e per il basso prezzo di vendita.

Difficile immaginare che un singolo stato possa contrastare un traffico di questa portata, ma solo attraverso una maggiore collaborazione e sinergia a livello internazionale si può sperare di arginare un attacco che, oltre a mietere vittime fra le persone, appare in grado, o forse lo pretende, di mettere in crisi la società e le istituzioni.

In questo senso un rafforzamento in ambito Ue delle sinergie europee nel campo della prevenzione, dell’intelligence e del contrasto potrebbe poi trovare in Medio Oriente collaborazioni e intese. Ma occorre che qualcuno cominci e abbia la forza di creare un nucleo forte, sufficientemente esteso e fondato su un approccio culturale ben individuato e condiviso (certamente non di tipo repressivo-autoritario alla Rodrigo Duterte, per intenderci). Quello che appare comunque evidente, anche in questo difficile campo, è l’inadeguatezza di un approccio nazionalistico orientato alla repressione interna.

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