La morte di Ginevra in una Regione senza terapie intensive pediatriche

La Calabria è in coda tra le regioni italiane per il numero di posti letto in terapia intensiva attivati: solo 10,9 posti letto ogni 100mila abitanti. E come in altre Regioni (la Valle d’Aosta, il Trentino Alto Adige, l’Umbria, l’ Abruzzo, la Sardegna, il Molise, la Basilicata) il numero di posti letto di terapia intensiva pediatrica per milione di abitanti è pari a zero.
Terapie intensive. foto Ap

“Neanche te lo immagini. Dietro non si può tornare, non si può tornare giù”. Attraverso i social, affida alle parole di una canzone di Vasco Rossi il suo dolore la mamma di Ginevra, la bambina di 2 anni di Mesoraca, in provincia di Crotone, morta nella tarda serata di sabato a seguito delle complicanze respiratorie dovute al Covid, all’ospedale “Bambin Gesù” di Roma.

Per la comunità di Mesoraca e per la Calabria sono giorni e ore di dolore estremo. Un dramma consumatosi in poche ore. La sera di venerdì la bambina, con febbre alta, sintomi da polmonite, insufficienza respiratoria, viene portata da Mesoraca al reparto pediatrico dell’Ospedale “Pugliese – Ciaccio” di Catanzaro, a un’ora e mezza circa di distanza.

I polmoni della piccola sono compromessi, la saturazione al minimo. Viene trasferita nel reparto di rianimazione. Ma la terapia intensiva dell’ospedale di Canzaro è un reparto “per adulti”: tutti i pazienti, dai due mesi in su, si trovano in reparti che mancano di quelle professionalità e strumentazioni specifiche che il trattamento dei bambini in situazione di urgenza richiede. Nella mattinata di sabato, è la prefettura di Catanzaro a disporre il trasferimento d’urgenza della bambina al “Bambin Gesù” di Roma.

A bordo di un C-130J della 46esima Brigata Aerea di Pisa, viene trasportata l’ambulanza all’interno della quale la piccola Ginevra è costantemente monitorata e assistita da un équipe medica. Una corsa contro il tempo quella dei sanitari che si scontra con una situazione disperata, come certificherà l’ospedale pediatrico sabato sera: “arrivata già intubata e in condizioni disperate, con insufficienza respiratoria e compromissione delle funzioni vitali”. Per la piccola, ora è stata disposta l’autopsia che sarà effettuata allo Spallanzani.

La pandemia ha mostrato, soprattutto in realtà come la Calabria, le conseguenze di anni e anni di tagli al comparto sanitario, di politiche non adeguate e  scelte rimandate. Come quella di non dotare ogni regione italiana di terapie intensive pediatriche, con professionisti e attrezzature specifiche.

A denunciarlo è la sezione calabrese della società italiana di pediatria: “nella nostra regione manca un piano organico per la gestione dell’emergenza urgenza in età pediatrica e, soprattutto, della mancata attivazione di una unità operativa complessa di Terapia Intensiva pediatrica regionale. E questo nonostante quanto indicato dall’Accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2017 e, in particolare, quanto stabilito dal Decreto Dca 89/ 2017 con cui era stata autorizzata l’attivazione nella Regione Calabria di una Unità operativa di Terapia intensiva Pediatrica ad alta specialità con quattro posti letto. I bambini calabresi che necessitano di elevata intensità di cure vengono oggi trattati impropriamente nelle Terapie intensive dell’adulto o, molto più frequentemente, trasferiti in strutture extra regionali, con tutte le problematiche assistenziali ed i gravi rischi per la salute dei bambini che un trasferimento in condizioni di emergenza comporta”.

Un’emergenza nell’emergenza, visto anche l’esiguo numero di posti letto di terapia intensiva, nonostante l’ultimo incremento disposto dal presidente Occhiuto abbia portato a poco più di 200 i posti letto disponibili in Regione.  Secondo quanto riportato dai monitoraggi Agenas, la Calabria è in coda tra le regioni italiane per il numero di posti letto in terapia intensiva attivati: solo 10,9 posti letto ogni 100mila abitanti.

A lanciare l’allarme sulla carenza di terapie pediatriche su tutto il territorio nazionale, era stata a maggio scorso la Società Italiana di Pediatria, calcolando in Italia solo 202 posti letto di terapia intensiva pediatrica con una media di 3 posti letto per milione di abitanti, “ben al di sotto della media europea pari a 8 e con forti differenze regionali”. Inoltre, sottolineava la SIP, “non esiste una modalità certa e riconosciuta per identificare i reparti di Terapia Intensiva Pediatrica: manca infatti il codice identificativo della disciplina, come per tutte le altre branche della medicina”

Il Covid che, stando alle statistiche, mostra una minore letalità tra i più piccoli, si è mostrato a Ginevra e alla sua famiglia nel suo volto più crudele, senza pietà, strappando con violenza fredda alla vita un angioletto di soli due anni. La carenza di terapie intensive pediatriche è una delle sfaccettature di un Paese dove ancora l’art.32 della Costituzione è garantito solo sulla carta.  In regioni come la Valle d’Aosta, il Trentino Alto Adige, l’Umbria, l’ Abruzzo, la Sardegna, il Molise, la Basilicata e la Calabria, il numero di posti letto di terapia intensiva pediatrica per milione di abitanti è pari a zero.  Un Paese che non riesce a curare i suoi figli, chi si affaccia alla vita come la piccola Ginevra, è un Paese incapace di futuro.

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