La mia amica Lia

Una fede incrollabile in Dio e nella sua Provvidenza a 95 anni compiuti.
Donna in piedi accanto a donna su una sedia in legno bianco rivolto verso il corpo d'acqua. Licenza: Pexels - Pixabay

Quando l’ho conosciuta, era una donna forte, risoluta, capace di dire quello che pensava, ma nascondeva un animo sensibile, generoso, abituato alla sofferenza. Eppure, anche se il suo comportamento per molte sue amiche risultava non piacevole, mi comunicava, direi, una quasi simpatia sapendo quanto ne soffrisse ed ero portata a dirle, vedendo il suo rammarico: «Lia, mi piaci così come sei». E lei si sentiva accettata e amata.

Dopo qualche contatto telefonico, decido di andare a trovarla. Gli anni avanzano e chissà se la rivedrò più. Ho condiviso con lei tanti momenti difficili. Gli anni non sembrano passati: è ancora in possesso delle sue piene facoltà intellettive. La trovo seduta vicino al suo deambulatore. Non l’avevo più vista da oltre 10 anni. L’ho conosciuta negli anni ’90. Gli acciacchi fisici li ha ancora: le gambe “ballerine” la tormentano da anni.

Rimasta vedova giovane, ha portato avanti lei i tre figli, con cui i problemi, anche gravi, non sono mancati. Motivi di droga, carcere e problemi di famiglia per il maggiore, che inizialmente ben sposato, è stato abbandonato dalla moglie allontanando anche i figli dal padre. Insomma, una serie infinita di dispiaceri, ma affrontati con il suo consueto carattere forte e allo stesso tempo aiutata da una grazia speciale. Sì, perché in lei la fede non è mai venuta meno.

Sono sorpresa di trovare una Lia veramente cambiata. Via via che parla, mi commuove. La trovo ancorata a Dio: «Non cammino più, devo usare il deambulatore, ma a volte ho paura di cadere, eppure riesco ad andare a Messa. Mio figlio è di nuovo in prigione e sono qui sola e dico: “Signore, se hai permesso questo, c’è un perché. Se lo vuoi tu, lo voglio anch’io”. Prima non avevo un vero rapporto con Gesù, non capivo. La cosa più bella è aver conosciuto Chiara Lubich. Ora mi viene quasi da piangere. Se non ci fosse stata lei, non sarei la Lia di adesso. Sono più umile, prima sapevo tutto e non sapevo niente… Oggi mi sento piena di Dio, parlo con Lui».

Mi racconta di essere stata ricoverata per motivi di cuore. E proprio in quei giorni d’ospedale, è avvenuto un incidente a suo figlio maggiore che, portato al pronto soccorso, gravissimo, si trovava al piano inferiore del suo stesso ospedale. Non le viene permesso di andare a trovarlo a causa della pandemia. Intanto, un’infermiera che nota la sua grande pace interiore gliene chiede il motivo e lei le parla della sua fede. L’infermiera resta ammirata e vuole sapere di più di questo Dio che non conosce. Resta così colpita che non può non raccontare alle colleghe di questa donna speciale e, a loro volta, sono attirate a conoscerla e si avvicendano al suo capezzale.

Poi il figlio muore. E il direttore del reparto, saputo che era suo figlio, si arrabbia molto con i responsabili per non averle permesso di andare a trovarlo. Nell’ospedale cala un silenzio prolungato per rispetto. Può partecipare al funerale e abbraccia per l’ultima volta il suo Paolo, gli parla come fosse ancora vivo. Viene a sapere che nell’ultimo tempo aveva avuto contatto con un sacerdote che l’aveva seguito. Così, sorretta dalla Croce che sempre l’accompagna, Lia va avanti e continua a dire il suo sì all’Amore riscoperto.

 

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