La meraviglia del cinema

Al cinema Spielberg e Vicari in due raffinate pellicole sul cinema che diventa vita e la racconta nelle sue trasformazioni
The fabelmans
Steven Spielberg al red carpet di The Fabelmans a Los Angeles (Foto LaPresse)

Scoprire la propria strada nella vita, la propria “vocazione. Steven Spielberg in The Fabelmans si rivede in un personaggio, Sammy, che nel 1952 grazie al papà ingegnere scopre il cinema. Ne è attratto, non riesce più a farne a meno: i suoi occhi luminosi e azzurri ne sono incantati. Quando poi vede un treno deragliare nel film di De Mille, Il più grande spettacolo del mondo, è rapito. Acquista una piccola cinepresa e mese dopo mese, anno dopo anno, l’infanzia e l’adolescenza sono tappe decisive nella scoperta di questo mezzo di suggestione, di creatività, di arte. L’incontro con uno zio stravagante attore gli fa capire che il cinema è arte non solo tecnica.

Spielberg ovviamente racconta di sé, piccolo e brutto ebreo, bullizzato dai compagni perché non è cristiano, non è sportivo, è impacciato con le ragazze. Ma con la macchina da presa è un numero uno, conquista anche i ragazzi del liceo con un suo documentario sulla classe.

Il ragazzo cresce, affronta i primi drammi della vita – il divorzio dei suoi – lascia l’università e si dedica faticosamente a cercare qualcuno che lo faccia lavorare nel cinema. Fino all’incontro con uno scorbutico John Ford che gli farà scoprire il “vero orizzonte” facendolo volare con l’anima. Perché il cinema ormai per lui è la sua strada: un’arte che soggioga, fa sognare, sconvolge, tradisce, nasconde, celebra e ama. Insomma, è la vita e insieme visione, sogno, realtà.

Il film ha un ritmo lento, calmo, indugiante, poetico. È raffinatissimo nell’indagare l’intimo del ragazzo nei suoi meandri più segreti ma anche quello degli adulti che lo circondano, l’amico di famiglia, il padre, la madre musicista, le sorelle, la prima fidanzata nel viaggio a scoprire gradualmente come è fatta l’umanità, per poi raccontarla, e sé stesso, la sua strada: capire che il cinema è poesia e tecnica fuse in armonia. Ma non sarà una scoperta solitaria, perché accompagnata, consigliata da chi gli sta vicino e gli vuol bene: deve solo fidarsi.

Ci sono momenti bellissimi nel film sempre lucente, morbido nei colori: le gite fra i boschi, la morte della nonna, il finale luminosissimo a sorpresa. Perfetti gli attori, a cominciare dal protagonista Gabriel LaBelle in un lavoro in cui anche Spielberg, dopo Fellini, Sorrentino, Inarritu ed altri racconta la sua personalissima scoperta del proprio cammino. Esce il 22 dicembre.

Orlando di Daniele Vicari

Il cinema è sempre sorpresa. Come questo nuovo film di Vicari che ha debuttato al recente Torino Film Festival. Vicari è autore attento da sempre al sociale, alle trasformazioni del mondo e della storia, ai sentimenti. Questa volta, con un risultato molto profondo e vero – anche grazie a Michele Placido, perfetto nel ruolo, e alla giovanissima Angelica Kazankova – salta la generazione di mezzo spesso frustrata e frustrante, e ci riporta all’essenziale: l’adolescenza e la vecchiaia. La vita che si apre e quella che si chiude.

Il regista Daniele Vicari (Foto Stefano Colarieti / LaPresse)

Il regista assembla ricordi personali e ci porta in un paesino in provincia di Rieti dove Orlando, 75 anni e vedovo, vive solo tra gli animali e l’orto. L’unico figlio lo ha lasciato e se n’è andato a Bruxelles contro il suo parere. I figli oggi non ce la fanno a rimanere esuli di fatto in un borgo antico di secoli e di tradizioni, senza sbocchi. Da allora i due non si sono più sentiti o meglio l’uomo rigido e selvatico non lo ha più cercato. Una lettera arriva dicendo che il figlio sta male. Orlando parte per Bruxelles, la sua prima volta fuori d’Italia e all’estero: parla solo il dialetto. Bruxelles lo frastorna, il figlio muore, si deve prendere cura della ragazzina Lisa di cui non si conosce la madre.

La convivenza fra i due è difficile: lui scontroso, lei abituata alle amicizie interculturali, alla danza, allo sport, alle aperture. Lui vuole tornare a casa, affidarla ai servizi sociali. Intanto lavora, fatica con servizi umili per pagare l’affitto. I due si isolano e al vecchio pesa far l’emigrato in terra straniera, alla sua età… Sono due solitudini che faticano ad incontrarsi: in fondo è quello che succede nella nostra società dove la parola amore, inflazionata, è così scontata che a usarla si ha paura, anche ad esprimerla.

Ma è un dolore improvviso che avvicina i due che in mezzo al traffico cittadino possono darsi la mano e ritrovarsi con un gesto che dà sicurezza alla ragazzina e conforto al vecchio, aprendo alla speranza. Fotografato con cura, facendo “parlare” il clima, la natura, gli ambienti, il film è un lavoro prezioso, sintetico, delicato e poetico da non perdere.

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