La “marcia in più” di Lidia e Virgilio

Finalmente xe un po’ de vita in questa casa, perché se se fa barufa vol dir che se vol ben! Così mamma commentava in dialetto i nostri battibecchi – ricorda Lidia scoppiando in una delle sue sonore risate -. Sai, nei primi anni, eravamo capaci di stare anche una settimana intera senza parlarci; ma sforzandoci ogni volta di mettere Dio al primo posto, i tempi si sono sempre più accorciati. Adesso invece, dopo cinque minuti tutto è passato: basta guardarci in faccia e ci ridiamo su…. Virgilio è romano de Roma, Lidia invece istriana di Pola: diversi per cultura e mentalità, da sempre il loro è un rapporto piuttosto vivace. Non che corra pericolo la loro armonia, supercollaudata in tanti anni di vita in comune (a proposito, in questo 2004 festeggiano mezzo secolo di matrimonio): si tratta tutt’al più di nuvole passeggere che scoprono poi alla vista un cielo ancora più azzurro di prima. E a proposito di liti, Lidia cita un episodio che sembra una barzelletta, mentre è la pura verità. Una coppia di nostri amici faceva baruffa forse un po’ più del normale. Pensa, arrivavano a telefonarci anche a tarda notte perché li aiutassimo a calmare le acque. Una volta, per sdrammatizzare, ho fatto osservare loro che capitava anche a noi: Non è possibile – hanno reagito -, non ci crediamo nemmeno se vi vediamo coi nostri occhi. Ne erano così convinti che ho risposto che al prossimo nostro bisticcio li avremmo avvisati. Manco a farlo apposta, per una intera settimana – cosa mai successa – tutto è andato liscio. Poi, un giorno, una divergenza di vedute e… Virgilio, che te ne pare? Abbiamo litigato?. Direi proprio di no. Ah be’, pazienza!. Passa un’altra settimana in perfetta armonia. C’era di che preoccuparsi… Solo dopo quindici giorni è arrivato il litigio, quello serio. Non m’è parso vero telefonarlo ai nostri amici, che però mi hanno creduta solo dopo la conferma di Virgilio. La reazione? Quasi di sollievo: Come ne siamo contenti!. Probabilmente ci avevano messi un po’ troppo su un piedistallo, quasi un modello coniugale irraggiungibile: ora finalmente eravamo alla loro portata. Ciò che caratterizza i nostri due sposi è la gioia, la freschezza spirituale, malgrado non siano mancati nella loro storia momenti di prova o addirittura tragici. È il caso di Lidia che, bambina, ha conosciuto i menti su Pola, l’occupazione da parte dei partigiani di Tito e poi, nel febbraio 1947, lo strazio della partenza dalla propria terra con tanti altri profughi. Un trauma che l’ha segnata indelebilmente, senza però stravolgere la sua indole aperta e gioviale. Eravamo cinque tra fratelli e sorelle con papà e la mamma incinta di un sesto. A Roma però, dove eravamo destinati, ci attendeva una brutta sorpresa: l’alloggio che papà riteneva sicuro in quanto ferroviere era già stato occupato. Prima di rimediare un’altra casa, abbiamo trascorso circa un mese tra i disagi e le umiliazioni di un campo profughi allestito nei dintorni della stazione Termini. Avevo avuto un’infanzia felice, dovuta al fatto che eravamo una famiglia unita dove ci si voleva molto bene. Ora, invece, avevo perso tutta la mia spensieratezza. Ricordo che mi svegliavo felice al suono delle campane di una chiesa vicina, scambiate per quelle della nostra parrocchia a Pola, per poi rendermi conto tra le lacrime di trovarmi in una stanza non mia. Ma più di tutti soffriva mamma, che ha rischiato addirittura di morire per la nostalgia. Sì, i primi tempi a Roma sono stati molto duri, soprattutto a causa della mentalità diversa, con la sensazione di essere sempre fuori posto. Ce n’è voluto per integrarmi…. Sia pure in maniera meno diretta, anche Virgilio ha sofferto il distacco dell’Istria e Dalmazia, e il dramma di tanti connazionali esuli da località i cui nomi erano a lui familiari per via del suo lavoro: era infatti impiegato alle poste, fra l’altro in rapporto costante proprio con le direzioni provinciali di quelle terre. Ma come si sono conosciuti, Lidia e Virgilio? Chissà quante volte l’avranno raccontato, nei momenti di intimità, ai figli, ai nipoti e ad altri prima di me. Sono questi, infatti, i veri tesori di famiglia, che ogni tanto è bello condividere. Torniamo indietro di qualche anno, all’estate del 1938. Virgilio, all’epoca vivace tredicenne, è stato giudicato non idoneo al sacerdozio dai religiosi presso cui studia: notizia accolta con vero sollievo da lui che, malgrado la verde età, ha ben chiaro il progetto di formarsi una famiglia. Qualche anno ancora e lui, giovanotto dotato di una folta chioma (che presto ahimè inizierà a diradarsi), fa un sogno destinato a rivelarsi profetico: sogna la sua futura sposa, che giungerà dall’Adriatico. È il 1951 e Lidia, ignara di essere la predestinata, durante un incontro di Azione cattolica, si volta per conoscere l’autore di una battuta che ha suscitato l’ilarità generale e incrocia gli occhi di Virgilio, occhi luminosi di uno che ha e sa trasmettere gioia. Ed ecco un sentimento nuovo nascere in lei. Sarà un caso, ma da allora quel giovane Lidia lo vede passare spesso sotto le sue finestre, additato alle sorelle come il ragazzo che le piace, ma di cui – come Turandot – ancora ignora il nome. L’occasione per l’incontro fatale è fornita dai festeggiamenti in onore di un frate cappuccino che sta per partire in missione. I giovani di Azio- ne cattolica hanno deciso di inscenare un’operetta allora in voga. Coinvolto nelle prove, Virgilio è fra gli invitati in una casa ospitale dove è a disposizione un pianoforte: l’abitazione della famiglia di Lidia. Sentiamolo descrivere la scena, di sapore romantico. Nel salotto c’erano ragazzi e ragazze che cantavano, accompagnati al piano da uno di noi. Ma la mia attenzione era tutta rivolta ad una ragazza che, seduta sul divano, sembrava non partecipare, intenta com’era a cucire o a lavorare a maglia, non ricordo… . Era tutta scena!, ride di gusto Lidia. Vedendola, ho provato una forte emozione – prosegue Virgilio – e un pensiero mi ha attraversato la mente: Questa ragazza io me la sposo. In realtà lei è rimasta incollata al divano per nascondere uno strappo della stoffa, ma non ha perso una mossa o una battuta di quel ragazzo che sempre più l’attrae e, appena tre giorni dopo, tornerà a farsi vivo per chiederle di uscire insieme, mettendo in allerta sua madre, custode di un austero passato asburgico. Il motivo Virgilio verrà a saperlo poi: quella figlia è troppo picia (piccola). Infatti, non ha neanche sedici anni. Messo in crisi da questa scoperta, lui che di anni ne ha ventisei, va a consultare persone più esperte, che lo rassicurano. Essendo poi la simpatia in persona, non fa fatica ad essere accettato dai futuri suoceri; anzi a forza di inculturarsi finirà per essere considerato un figlio dell’Istria come loro. C’è chi ancora ricorda questi fidanzati passeggiare mano nella mano: uno spettacolo da non perdere, affacciandosi alla finestra. Erano lunghe passeggiate di cui ambedue conservano un ricordo indelebile: ore ed ore gioiose trascorse a raccontarsi, a scoprire l’universo dell’altro, e a… recitare il rosario. Gira e gira, finivamo sempre per parlare di Dio – racconta Lidia -, e a me piaceva tanto. Fra l’altro Virgilio, da più tempo di me nell’Azione cattolica, era preparatissimo e mi faceva fare tante scoperte sul vangelo. Erano conversazioni che ci riempivano il cuore, come avviene tuttora. Sì, è stata sempre una nostra caratteristica dirci tutto, comunicarci senza rispetti umani le realtà più profonde dell’anima. E questa apertura reciproca basata sull’amore di Dio, alimentato dai sacramenti, ci ha fatto superare ogni difficoltà della vita in comune. Come quando, dopo i primi anni di matrimonio e già con quattro figli a cui badare, abbiamo attraversato una fase di stanchezza in cui più che mai veniva in evidenza il contrasto tra i nostri caratteri. A dire il vero, però, come aiuto per superare felicemente ogni ostacolo i nostri due sposi hanno usufruito di una marcia in più. Quale? Nel luglio del ’49, Virgilio aveva fatto una scoperta che – come un seme caduto in buon terreno – avrebbe fruttificato ad anni di distanza, coinvolgendo entrambi. Durante una vacanza ai piedi delle Dolomiti, lui che è patito per la montagna come Lidia lo è del mare (una delle tante diversità che li contrassegnano), era rimasto attratto dal modo semplice con cui alcuni giovani come lui s’impegnavano a vivere un cristianesimo integrale. Li chiamavano focolarini, ed erano i primi apostoli di un nuovo ideale, quello dell’unità, che da Trento si andava diffondendo anche in altre città italiane, compresa Roma. Della realtà intravista quell’estate e ritrovata poi nella capitale, Virgilio desidererà far partecipe più tardi anche Lidia. Inizialmente – ricorda lei – ero un po’ infastidita dalla sua insistenza al riguardo: doveva essere una libera scelta per quando sarebbe giunto il mio momento. È trascorso perciò qualche anno, anche perché – come accennavo – eravamo molto assorbiti dai nostri figli nati in successione e dai relativi problemi. Devo dire però che, superata questa fase, ho aderito immediatamente alla proposta dell’unità, pur non capendone forse tutte le implicazioni. E da allora non ho mai avuto crisi né ripensamenti. In tutti questi anni, Lidia e Virgilio hanno visto comporsi non solo a Roma, anche per il loro contributo, ma un po’ in tutto il mondo, un popolo nuovo che della fraternità evangelica si è fatto una legge. A tale proposito, nel prezioso bagaglio di esperienze vissute da questi due istriani (uno dei quali ad honorem), non mancano alcuni contatti casuali, si direbbe – con italiani o croati eredi di un passato doloroso, ma da loro superato in quanto membri di questo medesimo popolo. Sono sempre state occasioni commoventi – nota Virgilio -, che hanno avuto il sapore di una liberazione, capace di risanare antiche ferite. È il miracolo che avviene a chi giorno per giorno si allena a dimenticarsi per gli altri nel presente, l’unico momento che si ha a disposizione. Dio ripaga così chi fa propria quell’arte di amare che si ricava dal vangelo.

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