La madre che non avevo avuto

Ero di carattere chiuso, ribelle, mi credevo incapace d’amare. Qualcosa cominciò a cambiare quando…
Illustrazione di Valerio Spinelli

Avevo quattro anni quando un giorno sentii da mia zia dire alla nonna: «Maria sta morendo». «Chi è questa Maria?». Come tutti i bambini che vivono solo con adulti m’interessavo sempre di tutte le cose. «Una signora! – fu la risposta laconica –. Va’ a giocare ora!».

Alla sera quando mio padre tornò a casa seppi che la persona morta era la mia mamma. Ricordai la signora salutata tempo prima, in una grande casa vicino al lago Maggiore. Sapevo che tutti i bambini hanno una mamma; ora io non l’avevo più.

 

Ma le cose non cambiavano molto per me che non ero mai stata con lei.

In seguito mio padre si trasferì in un’altra città, e quando si risposò andai a vivere con lui. La nuova mamma era tanto diversa dai miei parenti. Parlava anche un’altra lingua, aveva altre abitudini, ma soprattutto – cosa tanto nuova per me – frequentava la chiesa.

 

A causa del mio carattere chiuso e ribelle non riuscii ad andare d’accordo con lei. Anche quando m’invitava ad accompagnarla in chiesa mi veniva da ribellarmi: cosa c’entrava lei con me? Quale diritto aveva? In questo però non riuscii mai a disobbedirle. Qualcosa di nuovo pian piano incominciò a farsi strada in me: la coscienza che esiste Dio e la chiesa era la sua casa, dove sempre si può andare a pregarlo.

 

Mi sentii meno sola: avevo scoperto qualcuno il cui amore era sicuro! Ciò fu di grande aiuto per superare le difficoltà che

incontravo a scuola, in famiglia, con le persone che spesso mi deludevano perché non erano come in un primo momento m’erano apparse. Il perché vedevo tutto così negativamente lo capii solo più tardi.

In chiesa mi attirava tanto sentire ripetere e commentare le parole del Vangelo. Avrei voluto vivere anch’io come Gesù ci insegnava! Ma come fare se la fiammata d’entusiasmo durava in me al massimo un giorno? Giustificavo così la mia incapacità di amare: non ero mai vissuta con accanto una mamma, non avevo conosciuto l’amore.

 

Così per molto tempo. Finché un giorno: «Ciao, come ti chiami?». Era la figlia del padrone del negozio dove avrei trovato lavoro. Strano, mi vedeva per la prima volta e mi dava del tu! Nessuno mai aveva fatto così con me; ma era stato detto con un tono che non toccava la suscettibilità. Poi, dopo avermi spiegato brevemente il lavoro: «Se vuoi, dammi pure del tu!»; «Oh, no! Con me faccia come vuole, io però non posso darle del tu!». «Sei cristiana?». «Sì!». «Credi che abbiamo un unico Padre?»;. «Sì!». «Allora, se siamo sorelle, possiamo e dobbiamo trattarci come tali, non ti pare?».

 

Mi piacque. Sentivo che diceva cose vere, parte della sua vita. Incominciai a lavorare con lei. Era una ragazza come tante. Le piacevano le cose belle, cantava e scherzava volentieri. Alla fine del primo giorno costatai d’aver passato una giornata serena, gioiosa.
Nei giorni seguenti osservai ogni sua mossa.

Frequentava la chiesa. Questo lo facevo anch’io! Una cosa aveva attirato in modo particolare la mia attenzione: come trattava i clienti. M’aspettavo però che in qualche occasione cambiasse. Un giorno, due, tre… Chiunque fosse: benestante o povero, vecchio o giovane, simpatico o meno, veniva accolto con un sorriso, servito con amore; sembrava che per lei tutti fossero d’una sola famiglia. «Come fai a voler sempre bene alla gente?», le chiesi costatando quanto naturale fosse dare del “tu” quando ci si scopre figli dello stesso Padre.

 

Mi raccontò esperienze per me insolite fatte da lei e altre persone di tutte le età, nel cercare di rivivere Gesù. Pian piano con l’aiuto di chi era più esperto di me, mi sforzai di mettere in pratica diverse parole evangeliche. Che pedagogia meravigliosa aveva portato Gesù perché si potessero trasformare anche i caratteri più difficili! «Se vai all’altare a fare la tua offerta e il tuo fratello ha qualche cosa contro di te…».

Potevo io presentarmi all’altare, con la disposizione chiesta da Gesù? Com’era il mio rapporto con la seconda mamma? Sì, qualcosa era cambiato dopo che avevo scoperto l’amore di Dio.

 

Ma avevo fatto fino in fondo la mia parte, era tutto cancellato, tutto dimenticato? No! Da anni non l’avevo più chiamata “mamma”. Mai le avevo chiesto scusa per tutto il patire di cui ero stata causa, mai avevo riconosciuto il bene fatto per me. Non fu difficile trovare l’occasione per rimediare.

Dio si era servito di lei per introdurmi nella via della fede finché, così preparata, ero stata capace di cogliere ciò che a Gesù sta più a cuore: «Amatevi a vicenda come io ho amato voi».

E tutto ciò lo devo a una mamma come questa, comunemente chiamata matrigna. Dopo aver condiviso gioie e dolori, con lei ora c’è un rapporto speciale, soprannaturale e naturale allo stesso tempo. E a mia volta sono certa di averle procurato più gioia di tutto l’amore dei suoi figli.

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