La libera iniziativa economica privata

Botta e risposta sull’articolo di Luigino Bruni pubblicato su Città Nuova del 25 marzo 2011 relativo all'articolo 41 della Costituzione
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www.cittanuova.it/contenuto.php«Ecco come commento l’art. 41 Cost. nel mio libro La Costituzione Italiana commentata (scritto in modo semplice e distribuito gratuitamente a molti studenti medi e ad amici – del Meic e non – nella provincia di Ragusa):

 

«Gli artt. 41, 42, 43 e 44 hanno come fondamento due principi che sembrano trovarsi in opposizione fra loro: quello della libertà del singolo nel campo economico e quello dei limiti a questa libertà imposti da solidarietà e utilità sociale. Questi limiti non mortificano la libera attività dei privati, ma ne esaltano la rilevanza sociale, perché sono il frutto dei valori fondamentali fatti propri dalla Costituzione: libertà, dignità, sicurezza degli individui; bene comune e solidarietà, che è l’asse portante della prima parte della Costituzione.

 

L’indiscutibile libertà d’iniziativa economica, anzitutto, deve confrontarsi e porsi in equilibrio con il bene dell’utilità generale della società e con i beni della persona umana sopra ricordati. Perché questo equilibrio non venga turbato si devono, ad esempio, smaltire i rifiuti, fabbricare armi, costruire edifici, importare ed esportare merci, ecc., soltanto nell’ambito delle regole stabilite dalle leggi, per evitare che la libertà di intraprendere iniziative economiche si rivolga contro l’uomo e la comunità e per favorire, anzi, il loro progresso civile oltre che il loro benessere economico.

 

Il terzo comma dell’articolo 41 affida infatti al legislatore il compito di farsi carico dei “fini sociali” con norme che, in modo sapiente e certamente non invasivo, programmino, indirizzino, controllino e coordinino le attività economiche, sia pubbliche che private, conciliando i predetti fini con l’indispensabile fine di lucro delle imprese.

 

Con il costituzionalismo moderno, e in particolare con la nostra Costituzione, è stata superata la tradizionale teoria liberale secondo cui lo Stato deve svolgere solo funzioni di ordine. Esso ha assunto la figura dello “Stato sociale” a causa della influenza delle radici cristiane, indubbiamente presenti in Europa e, seppure senza esplicito riconoscimento, nelle varie culture laiche e socialiste.

I vari strumenti utilizzati (piani, programmazioni, tutela della concorrenza) hanno dunque lo scopo di fornire alla imprese una sorta di codice deontologico che tenga conto, nello svolgimento delle attività imprenditoriali, del principio di solidarietà.

 

Per le imprese pubbliche, quand’anche organizzate come società per azioni di diritto privato, il discorso è più chiaro: il perseguimento di finalità di natura sociale è, per esse, lo scopo essenziale della loro azione imprenditoriale. L’art. 41, dunque, sebbene stia stretto ad alcuni economisti (che si sentono liberali, ma lo sono soltanto tenendo rivolto lo sguardo verso chi esercita attività e poteri economici), svolge un’importante funzione a tutela del bene comune».

 

Luigino Bruni, dubitando della adeguatezza delle leggi nazionali o europee, ritiene discutibile la riserva di legge per la determinazione dei “programmi e controlli”. Ha ragione per quanto concerne la possibilità che le leggi siano insufficienti o, al contrario, troppo complesse. Tuttavia il costituente non può assegnare tale funzione ad altri se non al legislatore ordinario (e, in via indiretta, con gli strumenti legislativi che a lui competono, alle autorità politico-amministrative alle quali egli voglia affidare il compito in argomento).

 

Del resto, in uno Stato di diritto, strutturato come pietra angolare di un regime democratico, deve spettare al potere legislativo l’onere di farsi carico dei fini sociali con norme che, in modo sapiente e certamente non invasivo, programmino, indirizzino, controllino e coordinino le attività economiche, sia pubbliche che private, conciliando i predetti fini con l’indispensabile fine di lucro delle imprese».

Antonio Corbino

 

 

Sono d’accordo che il potere legislativo abbia un ruolo essenziale nel far sì che lo svolgimento dell’attività economica produca effettivamente bene comune. E lo scopo del mio editoriale era proprio risottolineare l’importanza dell’art 41 in un momento in cui viene messo in discussione. Al tempo stesso credo che nella società contemporanea, caratterizzata dalla globalizzazione dei mercati, non sia possibile che il potere legislativo, né nazionale né sovranazionale, possa da solo orientare l’attività economica al bene comune, ma occorra sviluppare il ruolo (non giuridico, ovviamente) della società civile, dei cittadini, i quali orientino l’attività economica premiando o non premiando le imprese in base al loro comportamento.

 

I “fini” dell’attività economica non possono essere che quelli dei soggetti che realizzano un’attività economica: il potere legislativo e gli altri poteri dello Stato agiscono non sui “fini” ma sugli effetti delle azioni, con gli opportuni strumenti a loro disposizione.

 

Sono convinto che per gestire le sfide civili della post-modernità dobbiamo immaginare nuove sinergie tra i vari livelli della società civile e politica, nazionale e internazionale, dove, accanto ai poteri degli stati e al mercato, si prenda più sul serio la società civile.

Luigino Bruni 

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