La lezione dei campi di Parolin

La storia del contadino di Cittadella che ha avviato una cooperativa in cui valore dell’uomo e rispetto per la natura si fondono. Intervista a Pasquale Lubrano, autore per Città nuova della biografia
Giovanni Parolin

In mezzo alla natura − anzi, la campagna se preferite −, si respira sempre la sensazione di assaporare un’altra vita. Quasi distratto però, può diventare il rapporto con essa se non ci si convive ogni giorno, con il rischio di non darle il giusto tributo in termini di riconoscenza per quanto ci offre. Giovanni Parolin, contadino dell’alta padania, il sapore acre della sua terra lo aveva nelle vene e nelle sue mani operose, ma la testa e il cuore erano rivolte all’umanità.

 

Ed era per quell’umanità che fin da giovane si era adoperato per il riscatto dall’asservimento e dall’emarginazione sociale dei contadini. Così negli anni ’80  diede vita ad una cooperativa che fosse ispirata ai principi della fraternità, con allevamenti e coltivazioni non intensivi. La natura per l’uomo, l’uomo per l’uomo dunque, per creare la coscienza di una terra che produce, ma che necessita dell’azione operosa e amorevole di chi la coltiva senza deturparla, impoverirla o  stravolgerla.  E oggi nel comune di Cittadella, in provincia di Padova, è possibile far visita a questa cooperativa La Battistei, che da anni fa parlare di sé attraverso i giornali, incuriosita da una realtà che ha un modo diverso di vivere la terra.

 

Di Giovanni, invece, si racconta che amasse intrattenersi con il poeta veneto Eusebio Vivian e con il regista Ermanno Olmi, e pare che sia stato lui l’ispiratore di due documentari del regista bergamasco La collina e La Terra. Ce lo racconta Pasquale Lubrano Lavadera − passato da artista e scrittore partenopeo −, nel libro edito da Città nuova nel 2011 Cerco un Paese innocente. Il sogno di Giovanni Parolin. Pagine rivisitate rispetto a quelle della prima edizione del 1982, dopo la morte nell’aprile del 2009 di Giovanni quando la terra è più generosa nei colori che nei frutti. Cerco un Paese innocente, ricalca nel titolo l’ultimo verso di una poesia di Giuseppe Ungaretti: Girovago. Il perché ce lo spiega Lubrano nella prefazione «il coraggio di Giovanni (…) nasceva proprio dalla certezza che nel fondo di ogni uomo, c’è sempre una grande sete di innocenza». Abbiamo rivolto delle domande all’autore.

 

Il ricordo che più ti lega a Giovanni Parolin…

«Ero studente universitario quando lo incontrai per la prima volta e fui colpito da quest’uomo che pur con la sola licenza elementare parlava con competenza e forza dei problemi dell’economia italiana, della miopia politica che sottovalutava l’abbandono della terra da parte dei giovani, dell’irresponsabilità degli allevatori che davano gli ormoni alle mucche pur sapendo del grande danno per la salute dei consumatori. La sua passione per l’uomo e per la giustizia, mi contagiarono a tal punto da darmi una grossa spinta a superare le difficoltà che incontravo in quel periodo all’università».

 

L’Italia da società rurale, nel giro di due generazioni, sembra si sia voluta “scrollare di dosso” questa nomea. Parolin invece nutriva un sentimento schietto per quel mondo…

«Giovanni Parolin era convinto che uno degli errori più grandi della società italiana fosse stato questo abbandono delle terra per l’industria. Amava gridare che la salute dell’uomo viene dalla terra. Se abbandoniamo la terra, o se pensiamo solo ad una produzione capitalistica di tipo industriale con concimi chimici, ormoni agli animali, macchine ecc. noi stiamo attentando alla salute dell’uomo».

 

L’immagine del nostro Paese all’estero è legata al successo e alla qualità dei suoi prodotti, ma nella realtà c’è una discrepanza con quanto ci dicono i dati del Pil e la rilevanza che l’agricoltura riveste nei programmi politici odierni. In questo contesto qual è l’esempio de La Battistei?

«Innanzitutto Giovanni ha fatto capire che se ci metteva insieme in una “vera” cooperativa – dico vera perché Parolin sapeva bene che tante di esse non si ispirano ai principi della cooperazione –,  si poteva lavorare meglio. Si liberava la donna, moglie del contadino, dalla schiavitù dei campi. E poi ha fatto in modo che La Battistei fosse una cooperativa dove non ci fosse differenza di valore tra presidente e soci, e lo stipendio dovesse essere uguale per tutti. Anche per quanto riguarda i metodi lavorativi  Parolin ha investito in metodi che non danneggiassero l’uomo. Lavorare per l’uomo e per la sua salute, questo il suo obiettivo».

 

Quale eredità ci lascia Parolin?

«Ha voluto che gli studenti di agraria della sua regione potessero passare quindici giorni nella cooperativa La Battistei, affinché prima delle parole fosse la testimonianza viva di un lavoro a servizio dell’uomo e nel rispetto della terra a incidersi nel loro cuore. Inoltre ha sempre donato loro la sua esperienza che evidenziava il valore di ogni rapporto interpersonale, convinto com’era che le diversità di pensiero, di idee erano una ricchezza da far fruttare. Il dialogo con tutti era, per Giovanni la strada maestra per realizzare il suo sogno e offrire il proprio contributo alla costruzione di una umanità nuova».

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons