La lezione degli uragani

L’uragano Rita è passato, lasciando quasi indenne – bontà sua – le grandi città di Houston e Galveston. Naturalmente ha fatto gravi danni, come ogni uragano che si rispetti (in certe città gli sfollati non potranno rientrare prima di 2-3 mesi per il pericolo presentato dalle infrastrutture distrutte), ma niente al confronto dell’apocalisse rappresentata dal recentissimo passaggio di Katrina. Questa volta si è prodotto un esodo biblico che ha tenuto conto dei fallimenti di New Orleans ed ora si sta assistendo al grande riflusso di oltre un milione di persone. Più di un milione sono invece i senza tetto ed i senza lavoro nella zona di New Orleans e tali resteranno per molti mesi. L’America è abbastanza ricca per arginare nel medio periodo i danni economici subiti dalle infrastrutture, ma non le ferite e il dissesto che hanno colpito i singoli, soprattutto i più poveri. Mentre sul piano psicologico resta legittimo il grande dubbio che si è insinuato nella gente, che cioè il più forte e progredito paese del mondo si sia mostrato talmente disorganizzato davanti alle calamità naturali e ai danni sociali che ne derivano. Intendiamoci: nessun paese è in grado di fermare un uragano, ma di costruire dighe meno fragili di quelle crollate lungo il Mississippi, sì. Basta guardare a cosa ha saputo fare l’Olanda. Edotto da questa brutta esperienza e umiliato davanti all’opinione pubblica nazionale e mondiale, certamente il governo degli Stati Uniti saprà reagire e rimediare a livello ingegneristico per provvedere a protezioni adeguate. Ma si spera che riesca a cogliere la chance del momento per cambiare radicalmente atteggiamento in campo previdenziale per difendere le fasce più deboli della popolazione. Per non parlare dei piani di emergenza che ogni città negli Usa sta ora rivedendo e dei gravi ripensamenti a livello ambientale che l’evidenza dei fatti sta suscitando sempre più nell’opinione pubblica. In questo contesto risalta però, molto positivamente, la generosità della gente e di politici e istituzioni locali. Ce ne ha offerto un’autorevole testimonianza, in un’intervista concessa a Città nuova, il cardinale Theodore McCarrick, arcivescovo di Washington, al suo ritorno da una lunga visita ai territori colpiti dall’uragano Katrina. Vi aveva accompagnato l’inviato speciale del papa, l’arcivescovo Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, l’agenzia vaticana per aiuti umanitari. Mons. Cordes ha portato la solidarietà e l’aiuto concreto del papa alle popolazioni colpite. Nella zona di New Orleans, più del 90 per cento delle chiese, scuole cattoliche e altri edifici della diocesi sono stati danneggiati. Le diverse Caritas nordamericane hanno avviato un’operazione abitazione per offrire un degno alloggio agli sfollati. Quale la sua prima impressione dopo questa visita? Non ho mai visto niente di simile. E pensare che ho 75 anni ed ho viaggiato dappertutto nel mondo, sia in buoni che cattivi momenti, ma la devastazione in queste regioni è così vasta… A Biloxi (Mississippi) l’uragano è entrato per centinaia di miglia dalla costa, spazzando via tutto. Le case appaiono ora come scatole di fiammiferi sparsi per ogni dove. Una straordinaria forza della natura che ci fa comprendere la nostra fragilità. Quale è il ruolo della chiesa nel processo di ricostruzione? La chiesa ha tre ruoli da svolgere: innanzitutto l’aiuto materiale tramite agenzie come Catholic Charities Usa, o anche quella mondiale Catholic Re- lief Services, che ha richiamato esperti da altre zone del pianeta per aiutare queste regioni con la loro esperienza in casi di emergenza umanitaria. Queste agenzie possono fornire medicine e tutto il necessario per la ricostruzione di abitazioni e aziende. Secondariamente farsi portavoce delle persone colpite nei confronti del governo a tutti i livelli. Quando ero con mons. Cordes a Baton Rouge con tutti i vescovi della Louisiana, ci siamo incontrati con il governatore e varie autorità civili locali. La chiesa può e deve facilitare l’incontro della popolazione, soprattutto i poveri, con il governo e agenzie non governative. Il terzo ruolo, forse il più importante, è che la chiesa può ricordare ai singoli che sono amati da Dio, che non sono stati abbandonati, e che Dio li aiuterà a rimettere in piedi le loro vite. È quanto la chiesa sta già facendo in questi tre stati: Louisiana, Mississippi e Alabama. Abbiamo sentito dalle notizie giornaliere quante chiese, famiglie e persone singole stiano aiutando le vittime. Gli ospedali sono di grandissimo aiuto. Quelli cattolici di Baton Rouge, per esempio, hanno ammesso persone evacuate dagli ospedali di New Orleans, ed in molti casi gli stessi medici ed infermiere (anch’essi evacuati) hanno continuato a curare i loro pazienti, senza interrompere le cure. Sono stato a visitare il reparto pediatrico di un ospedale. Mentre parlavo con la madre ed il medico, un bambino di 7-8 mesi malato di cancro mi ha preso il dito e non me lo voleva mollare più. Mi è parso il simbolo di tutte quelle vittime: si aggrappano a chiunque può aiutarli. C’è da ringraziare Dio per tutti quelli che sono lì sul posto e a cui essi si possono aggrappare. Una parola per i nostri lettori… Direi: pregare per queste persone. So quanta generosità e aiuto materiale sta arrivando da ogni dove, ed è giusto. Ne avranno bisogno per molto molto tempo. Non è una crisi che si risolverà in una settimana o un mese. Baton Rouge, per esempio, ha accolto 200 mila sfollati che per molti mesi non potranno tornare a casa perché hanno perso veramente tutto e devono ricominciare da zero. Molti non hanno neanche un diploma di studio, né preparazione professionale. Sarebbe terribile se si scoraggiassero .

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