La “in-esperienza” di Dio

Siamo ancora capaci di fare esperienza di Dio, di "sentire Dio" nella nostra vita? Dalla natura alla società, dall'interiorità alla intersoggettività. L'esperienza originale e straordinaria di Chiara Lubich e la novità della spiritualità di comunione.
Intersoggettività

“Quidquid recipitur, ad modum recipientis recipitur”. L’antico adagio scolastico, nella sua applicazione alla conoscenza umana, ci ricorda l’influenza della nostra struttura conoscitiva nell’accoglienza delle realtà che conosciamo. Così come non possiamo percepire gli ultrasuoni o vedere gli infrarossi, perché superano – o non raggiungono – le soglie percettive della nostra sensibilità acustica o visuale, poter conoscere determinate realtà richiede sempre una struttura umana di ricezione, di accoglienza, senza la quale risulta semplicemente impossibile l’accesso a tale conoscenza.

Logicamente, se nel mondo sensibile le soglie di percezione si possono delimitare con precisione fisica, e nel mondo dell’intelligenza con una certa approssimazione (i test di intelligenza), nel mondo dello spirito risulta molto più complesso. Ciò nonostante, gli studi della Fenomenologia della Religione hanno fatto comprendere che l’uomo ha una “mano religiosa” con la quale cerca di afferrare Dio, una struttura di avvicinamento al mondo del divino che si nutre di esperienze vitali, interiori, di esigenze personali, di interrogativi che nascono dalla sua coscienza.

Questo significa che tutta la vita di fede ha come infrastruttura una serie di “esperienze del sacro” che determinerebbero la forma di accedere e di intendere il mondo della religione. Così è possibile parlare di una dimensione “esperienziale” del fatto religioso. Con una conseguenza rilevante: una trasformazione significativa di dette esperienze di base potrebbero condizionare in forma notevole lo stesso accesso alla fede.

Questo non è solo una congettura. La modificazione dei comportamenti e delle attitudini nell’ambito della religione nella società secolarizzata è conseguenza, in buona parte, di una trasformazione di queste esperienze di base. Basta considerare due aspetti per comprendere il fenomeno.

Molte delle esperienze umane nelle quali si percepiscono i nostri limiti creaturali (quelle che hanno a che fare con i misteri fondamentali: vita, morte, sopravvivenza, pericolo, ecc.) hanno sofferto una profonda trasformazione nel contesto urbano della società tecnologica e di consumo nella quale viviamo. È evidente che è molto diversa l’esperienza vissuta da chi, per alimentare i suoi, deve uscire a cacciare, con il rischio di tornare con le mani vuote o di essere catturato, se si confronta con quella della mamma di casa alla quale le basta avvicinarsi a un supermercato e acquistare, con poco denaro, lo stesso prodotto, nella sua asettica confezione plastificata o addirittura “precotta”. È normale che il primo invochi la divinità, affinché gli sia propizia. Invece alla mamma di casa né le si chiede né le occorrerà raccomandarsi a Dio prima di uscire di casa.

I nostri limiti creaturali ci rinviavano inevitabilmente a Dio. Oggi non è più così. Circondati dall’universo artificiale che noi stessi abbiamo creato, nel quale la maggior parte degli errori si aggiustano chiamando un tecnico, affinché faccia la riparazione adeguata, tendiamo a vedere i nostri limiti creaturali intrinseci come se fossero errori di funzionamento, difetti che un’adeguata tecnica permetterebbe di sanare sin dall’inizio. Non ci rivolgiamo a Dio né a nessun fondamento, se non allo stesso uomo, come una sfida alla sua attività dominante, organizzatrice. Questo è ciò che potremmo chiamare la perdita della dimensione di creaturalità. Non ci sentiamo creature di Dio, né sperimentiamo i nostri limiti o la nostra dipendenza come espressione di questa condizione.

Vie che, in un altro tempo, erano un cammino sicuro per l’accesso a Dio si sono convertite in un cammino bloccato, perché le esperienze che rinviavano a Dio e servivano da accesso alla trascendenza, oggi non sono più adeguate a questo accesso.

Qualcosa di simile possiamo dirlo della tradizionale ricerca di salvezza. Non è che oggi, in mezzo a questa società si sperimenti con meno forza il nonsenso o l’assurdo della vita, al contrario si è molto acutizzato e l’aumento esponenziale delle depressioni, delle nevrosi lo dimostra. Però gli uomini di oggi, sperimentando l’assurdo di tante situazioni, non si fermano ad elevare, ansiosi, i loro occhi al cielo. Non sperano più una salvezza o un salvatore.

Al massimo visitano lo psicologo, inseguono metodi di auto-aiuto o di ipnosi, perché, nel fondo, credono che basta un adeguato aggiustamento mentale o emozionale. Questo, quando non raccomandano le loro speranze ai maghi, divinatori, curatori o si affidano a tante altre promesse facili che ci offrono i venditori di sogni della religiosità magica, o si offrono con le mani e i piedi legati a qualcuna delle evasioni che la società propone per superare la frustrazione e l’ansia. La maggioranza conclude col ridurre le sue aspettative ai piccoli surrogati di salvezza che ci offre la tecnologia attuale, oggetti di consumo con i quali ci bombarda la pubblicità.

La ricerca del “senso” sembra un’altra via bloccata per far esperienza di Dio, perché molti ormai partono da questa posizione: “niente più ha senso ed è una perdita di tempo impegnarsi nel ricercarlo”.

Questi esempi, che potrebbero moltiplicarsi, ci dicono che molti uomini e donne del nostro tempo, non soltanto sono “analfabeti” dal punto di vista religioso, ma sono privi delle esperienze umane fondamentali che in passato permettevano di compiere il “salto” verso Dio. Soffrono ciò che ho voluto chiamare, in modo apodittico, la “in-esperienza” di Dio.

Questa situazione richiede la necessità di promuovere altre possibili vie di accesso a Dio, suscitare altre possibili “esperienze” di Dio. È molto difficile che una persona si lanci alla ricerca di un Dio che gli venga annunciato soltanto “per sentito dire”.

Il presente numero di Unità e Carismi vuole approfondire l’esperienza di Dio da differenti punti di vista. La sfida di annunciare il Vangelo passa, oggi, in non poche occasioni, attraverso una previa ricostruzione del tessuto umano sul quale deve inserirsi il messaggio della Buona Notizia. Trovare le vie più adeguate, affinché l’uomo secolarizzato dell’occidente possa sentire il profumo del divino dentro le coordinate nelle quali sviluppa la sua vita, mi pare un’urgenza assoluta. Speriamo che questo piccolo contributo possa suggerire delle piste ai lettori.

 

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